No alle truppe militari italiane in Iraq!

No all’occupazione

neo-coloniale occidentale dell’Iraq!

 

Il governo italiano afferma che le truppe militari italiane saranno inviate in Iraq per un nobile scopo. Per Berlusconi, Fini e Bossi, esse contribuiranno a costruire, dopo le sofferenze dell’embargo e dei bombardamenti, una “giusta pace”, in Iraq nel Medioriente e nel resto del mondo.

La realtà è completamente diversa, per almeno tre motivi.

 

Primo. Le truppe italiane andranno a occupare un paese, a fare i gendarmi contro i popoli che lo abitano, a reprimere ogni tentativo di questi ultimi di opporsi al saccheggio del petrolio che le imprese statunitensi, italiane e occidentali si preparano a compiere.

 

Secondo. Le truppe italiane inviate in Iraq (qualunque sia la bandiera -Onu, Nato o Ue- dietro cui si muoveranno) serviranno a preparare le guerre prossime venture già segnate sull’agenda di Bush, Blair e Berlusconi. I bersagli? La Siria, l’Iran, la Corea, la Cina... e, attraverso questi stati, i miliardi di sfruttati dell’intero Oriente. L’obiettivo? Ridurre questi ultimi in schiavi al servizio delle “nostre” imprese.

I gangster della Casa Bianca lo hanno già dichiarato: “Quello che abbiamo fatto al popolo iracheno serva di lezione agli altri popoli che non vogliono sottomettersi all’ordine del dollaro (e della lira)...”

Ma i popoli mediorientali e asiatici potranno accettare di vivere in una condizione peggiore di quella già infernale in cui vivono oggi? Sbagliano a respingere questo piano schiavista dell’Occidente capitalista? Sbagliano a difendersene con ogni mezzo? Se i proletari e giovani d’Italia fossero al loro posto, cosa farebbero? Cosa farebbero davanti a un mostro sfruttatore che non esita ad usare contro di loro le armi più moderne e distruttive?

Bush, Blair e Berlusconi hanno la ricetta pronta per piegare la (sacrosanta) resistenza dei lavoratori e degli oppressi dell’Oriente: altre guerre, altro terrore... Altro che finita! La guerra è solo cominciata. Ne sanno qualcosa i palestinesi, ai quali il “dopoguerra” ha regalato un governo, quello di Abu Mazen, sintonizzato con Tel Aviv e Washington sull’obiettivo di seppellire l’Intifada... Ah, che pace! che liberazione!

 

Terzo. Le truppe militari italiane inviate in Iraq, al pari dei bombardamenti  e dell’embargo degli ultimi tredici anni, serviranno anche per portare avanti la guerra “interna” iniziata da tempo dal governo e dai padroni italiani. Il nemico che intendono colpire, su questo fronte, sono, oltre ai lavoratori immigrati, i lavoratori e i giovani italiani. Le rampe dei missili contro gli iracheni erano ancora calde, quando qui in Italia è ripresa l’offensiva per imporre la totale libertà di licenziamento, per estendere la precarizzazione del lavoro, per preparare un nuovo taglio alle pensioni, per azzerare la capacità di difesa collettiva dei lavoratori davanti alla rapacità delle direzioni aziendali. È un caso che la (provvisoria) vittoria sugli iracheni coincida con un nuovo affondo contro il mondo proletario in Italia? Che questo affondo abbia visto alla sua vigilia un nuovo giro di vite razzista contro la Baghdad in casa nostra, cioè contro i lavoratori immigrati?

 

Opporsi all’invio e alla presenza delle truppe militari italiane in Iraq (e in Afghanistan e in tante altre parti del mondo) vuol dire opporsi a questo triplice piano di Bush, Blair e Berlusconi.

Questi signori affermano che i lavoratori italiani e occidentali avrebbero tutto da guadagnare dallo schiacciamento della resistenza degli sfruttati del Medioriente e del Terzo Mondo. L’esperienza mostra il contrario. Negli anni sessanta la lotta dei popoli e degli sfruttati di colore costrinse alla ritirata l’Occidente imperialista, dal Vietnam alla Libia all’America Latina: guarda caso!, furono gli anni in cui i lavoratori italiani e occidentali riuscirono anche loro ad avanzare e a far avanzare la loro organizzazione di lotta. Negli anni ottanta e novanta, i grandi poteri capitalistici sono tornati a ri-colonizzare le periferie. Nello stesso tempo, per il mondo del lavoro, qui in Italia, è iniziato, guarda caso!, l’indietreggiamento…

 

Il destino dei proletari italiani è legato a doppio filo con quello dei proletari e dei popoli mediorientali e del Sud del mondo. O si avanza insieme, o inevitabilmente si arretra, qui e là. Vero ieri, tanto più vero oggi, nell’era della turbo-globalizzazione capitalistica.

 

Opporsi al destino che Bush, Blair e Berlusconi ci stanno preparando è possibile. E non certo affidandoci all’Europa di Chirac, Prodi e Schroeder, che condivide gli obiettivi di rapina di Roma, Londra e Washington pur differenziandosene, per ora, nei metodi.

È possibile se noi proletari, noi giovani, noi immigrati, prenderemo nelle nostre mani il nostro destino.

È tempo di cominciare ad organizzarci, ad incontrarci per vedere come difendere i nostri interessi di classe lavoratrice, come opporci alle divisioni che i nostri padroni e le nostre istituzioni fomentano ad arte, ad esempio dei lavoratori italiani verso i lavoratori immigrati, dei lavoratori “padani” verso i lavoratori “terroni”.

È tempo di cominciare a fare politica, la nostra politica, basata sul nostro impegno quotidiano nei posti di lavoro e nei quartieri, una vera politica comunista e proletaria, senza alcuna delega e alcuna fiducia nel parlamento, nelle elezioni, nei partiti della “destra” e della “sinistra” (borghese) tutti ubbidienti, pur se con miscele diverse, alle esigenze delle imprese e delle borse, alle esigenze di quel sistema, il capitalismo, da cui nascono i nostri problemi e l’offensiva militare e “pacifica” che ci vuole atterrare.

  • Cominciare a fare politica;

  • cominciare a vedere come sostenere la resistenza degli iracheni (e del resto degli sfruttati mediorientali) agli eserciti di occupazione occidentali;

  • cominciare a ritrovare, in questo comune cammino condiviso con gli sfruttati del resto del mondo, un nostro partito, e arrivare a rimettere in campo l’unica bandiera che può darci la forza e la bussola per battagliare efficacemente con l’imperialismo: la bandiera senza macchia del comunismo internazionalista...

ecco la strada per superare l’impotenza che molti lavoratori e giovani, italiani e immigrati, sentono sulla propria pelle ogni giorno.

Senza aver paura di difendere i propri interessi in modo intransigente, e di penalizzare così la competitività delle imprese e del paese. La tutela delle nostre condizioni e dei nostri diritti non dipende dalla salute delle imprese. Dipende solo dalla nostra organizzazione e lotta. Dipende dalla nostra capacità di tendere la mano agli sfruttati presi nel mirino in Medioriente e nel resto del mondo dal “nostro” stato tricolore, dalle nostre truppe, dalle nostre imprese. Dipende dalla nostra capacità di opporci al razzismo e alla campagna anti-islamica che colpisce gli immigrati. Sta qui l’insufficienza che non ha permesso al movimento contro la guerra dei mesi scorsi di rovesciare la corsa alla guerra in un boomerang contro i grandi poteri capitalistici che l’hanno organizzata e dispiegata.

Oggi dobbiamo e possiamo superarla.

Basta restare alla finestra! Altrimenti ci ritroveremo sempre più incatenati in una vita e in un lavoro inumani e, i più giovani, sospinti su una rampa di lancio per i prossimi capitoli della “guerra infinita”. Come carne di cannone, al servizio degli interessi del profitto, della distruzione dell’umanità e della natura.

È questo il futuro che vogliamo?

 

Via le truppe italiane e occidentali dall’Iraq!

Viva la resistenza dei popoli e degli sfruttati iracheni agli eserciti di occupazione! Viva l’Intifada palestinese!

Per l’unità di lotta dei lavoratori italiani e occidentali con gli immigrati e con gli oppressi del Medioriente e del Terzo Mondo!

Per il comunismo internazionale

 

Organizzazione Comunista Internazionalista