Ennesimo episodio di democratica repressione |
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Denunciamo
la brutale repressione delle forze dell’ordine sui giovani del
“Laboratorio Sociale No War” di Monselice, nel padovano, il 9 settembre.
La difesa attiva dallo sgombero e la rivendicazione
di uno spazio di socializzazione ha
portato all’inevitabile scontro con le istituzioni. L’episodio
di Monselice è un’altra delle azioni con cui le istituzioni statali e il
governo stanno cercando di disorganizzare e sfiduciare le iniziative con cui
gruppi di giovani e proletari provano a ricostruire un argine
difensivo contro l’attacco dei padroni e dello stesso governo, contro
l’attacco del capitalismo globalizzato. Da Napoli (quando al governo era
ancora il centro-sinistra) a Genova fino ad oggi, infinite provocazioni,
intimidazioni e misure repressive hanno colpito ovunque forze politiche e
sindacali e singoli militanti (dai Cobas a Iniziativa Comunista, ai Carc,
agli stessi militanti della Cgil e di Rifondazione) e, più di tutti, gli
immigrati e le loro associazioni, con un giro di vite forsennato ai loro già
precari livelli di sopravvivenza. Si
sente ripetere spesso che questa blindatura delle istituzioni statali
italiane (e occidentali) sia iniziata dopo l’11 settembre. In realtà essa
era in atto già dagli anni precedenti. Era ed è un aspetto della guerra
che l’Occidente imperialista sta portando avanti da decenni (ben da prima
dell’11 settembre) contro il mondo degli sfruttati. Una guerra che è
rivolta contro un duplice bersaglio. Da
un lato, verso l’“esterno”, essa ha nel suo mirino la ribellione che i
popoli oppressi oppongono indomiti al pugno di ferro e al saccheggio del
dollaro e dell’euro. A cos’altro è servita se non a questo l’ultima
guerra contro l’Iraq? A cos’altro serve l’occupazione del paese da
parte delle forze armate ed economiche degli Usa e dei suoi alleati, Italia
ben presente nel mazzo? Cos’altro sono andati a fare i Carabinieri a
Nassiriya? Attraverso le scarne notizie che si riesce ad avere, non vediamo
che la “democrazia” esportata dalle truppe tricolori è fatta di
lacrimogeni e spari contro la resistenza della popolazione irachena? Dall’altro
lato, all’“interno” dei confini occidentali, la “guerra infinita”
di Bush- Berlusconi (e di Schroeder-Chirac-Prodi) si prefigge di far
accettare ai proletari italiani e occidentali i tagli alle conquiste dei
decenni passati (tutele sanitarie e pensionistiche, per esempio), di
ostacolare la risposta dei lavoratori al consistente aumento del costo della
vita, di imporre -soprattutto alla nuova generazione- un lavoro sempre più
flessibile e snervante. Servono ad oliare questa politica gli appelli al
rilancio della competitività delle aziende e dell’Italia, le misure
anti-sciopero, l’atomizzazione prodotta dall’avvolgente industria dello
spettacolo e, quando ciò non basta, le intimidazioni, le schedature sui
posti di lavoro, gli attacchi repressioni. Se
queste sono le ricette per i lavoratori bianchi, ben più aspre sono quelle
per i lavoratori immigrati. Dai ricatti sul permesso di soggiorno alla
detenzione nei Cpt, dalla chiusura delle moschee alle campagne
anti-islamiche, dalla crescente pressione razzista ai ricatti sul lavoro e
sulla casa, mille sono le tenaglie con cui i padroni e la democrazia
italiani cercano di impedire che gli immigrati si organizzino e resistano al
destino di super-sfruttamento e di discriminazione che li “accoglie” in
Italia e in Occidente. Di
fronte a questo attacco globale, i lavoratori e i giovani di “buona volontà”
sono chiamati ad organizzare un linea difensiva che superi i limiti e le
difficoltà emerse in questi anni nel movimento sindacale e nel cosiddetto
“movimento no-global”, da ultimo in occasione delle mobilitazioni contro
il pacchetto Maroni sul mercato del lavoro e di quelle contro
l’aggressione all’Iraq. L’esperienza
ha mostrato che non possiamo dare nessuna fiducia agli stati europei, i
quali di “diverso e alternativo” agli Usa hanno solo una minor potenza e
una maggior ipocrisia davanti allo stesso bisogno di uscire da una crisi
dell’accumulazione capitalistica sempre più strutturale e disgregatrice.
Nei giorni scorsi, tanto per rimanere all’attualità, i più intransigenti
a Cancun contro la piattaforma dei “21” non sono stati i paesi europei,
le multinazionali e le banche del “nostro” continente? Un altro esempio
recente: l’inserimento di Hamas da parte dell’Unione Europea tra le
organizzazioni terroristiche mostra che non c’è alcuna differenza
sostanziale nella politica verso il “Sud” del mondo tra gli Usa e i
paesi europei. Riguardo poi
alle politiche interne alla Cee, non è Prodi a dire un giorno sì e
l’altro pure che i parametri di Maastricht vanno rispettati, che i bilanci
statali devono quadrare, che il mercato del lavoro deve diventare più
flessibile? Non è stata la “diversa” Europa a recepire, a Salonicco,
come suo piano futuro verso gli immigrati le linee del pacchetto Bossi-Fini? Nessuna
illusione inoltre nelle istituzioni democratiche e nelle democratiche forze
di polizia italiane, che agiscono, da Tambroni a Scelba sino a D’Alema e
Berlusconi, a difesa dello stato borghese
democratico: ossia della dittatura del mercato. I loro attacchi
repressivi non nascono da esagerazioni di alcuni dirigenti delle forze
dell’ordine. Sono inscritti nella politica che è loro assegnata dai
poteri capitalistici e dal mercato capitalistico internazionale a cui
rispondono. La
leva per ritessere l’organizzazione e la lotta dei proletari e dei giovani
in Occidente non sta né in una fantomatica “Europa borghese sociale” né
in inesistenti forze sane della democrazia. E neanche in una coalizione di
sinistra, da sostenere più o meno criticamente: Fassino, Rutelli, D’Alema
e Prodi (i massacratori dei popoli jugoslavi!) ricordano ogni giorno cosa
prevede il loro programma verso i lavoratori in Italia, i popoli dominati
dall’Occidente e i lavoratori immigrati. Né la politica di questa
coalizione può essere ribaltata a livello locale con candidati
“indipendenti”. La nostra possibilità di erigere una coerente difesa
all’attacco capitalistico è legata alla ripresa della lotta, alla
rivitalizzazione e alla ricostituzione dell’organizzazione sindacale,
all’impegno per ridare al mondo del lavoro un suo partito capace di
difenderne gli interessi in modo intransigente senza accettare alcuna
subordinazione alle esigenze di competitività delle imprese e del paese. La
nostra forza, la forza degli sfruttati, non è piccola, non è impotente
davanti alla macchina mostruosa dell’imperialismo. Oggi riesce con
difficoltà a rintuzzarne i colpi, qui nelle metropoli occidentali, perché
è frantumata, perché non è “usata” nell’unico modo in cui può
pesare: organizzata e in lotta nei posti di lavoro, nei quartieri, nelle
scuole e nelle piazze; in lotta e unita al di là delle divisioni di età,
di nazione e di sesso che il mercato, il padronato e la democrazia
imperialista creano e alimentano ad arte; in lotta e saldata all’alleato
che essa ha nei paesi dell’Est e del Sud del mondo. Quest’alleato sta
nella resistenza del popolo iracheno e del popolo palestinese, nella volontà
degli sfruttati terzo-mondiali, da Cuba al Sudafrica alla Corea, di non
piegare la schiena al dominio dell’imperialismo. Questa resistenza viene
presentata dai governi occidentali, dai dirigenti della “sinistra” e del
sindacato come una minaccia per i lavoratori occidentali. È vero il
contrario. Ogni colpo da essa inferto all’imperialismo è vitale per la
ripresa della lotta proletaria qui in Occidente, è parte di questa stessa
lotta. Il nemico è unico, benché esso, “là” e “qua”, domini in
modo molto diseguale. Per difendercene e sconfiggerlo abbiamo bisogno di
unire le forze oggi frantumate del proletariato mondiale, abbiamo bisogno di
ricostruire un fronte di lotta unitario tra i lavoratori bianchi e i
lavoratori e i popoli di colore. Abbiamo bisogno di ritrovare il programma
adeguato per questa battaglia, che per noi sta nel comunismo
internazionalista. Rilanciamo
contro l’“Enduring Freedom” globale tanto la battaglia contro i
licenziamenti, l’attacco alle pensioni, la precarietà, la repressione, la
perdita del potere di acquisto, la mannaia sugli immigrati quanto il
movimento contro la guerra, per il ritiro delle truppe italiane e
occidentali dal Medioriente e per la solidarietà ai popoli aggrediti
dall’imperialismo!
13
settembre 2003
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Organizzazione Comunista Internazionalista |
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