Lavoratori, compagni, il tempo stringe.

Sciopero generale, lotta a fondo contro Berlusconi!

 

Ci troviamo di nuovo in piazza contro la guerra al popolo iracheno e per i diritti dei lavoratori. Due "temi" sentiti da milioni di lavoratori. Lo provano le tante, affollatissime manifestazioni avvenute negli ultimi tempi in tutto il mondo e in Italia. Nonostante ciò, e le crescenti difficoltà di Bush&C., il conto alla rovescia contro l’Iraq non si è arrestato e l’attacco ai diritti dei lavoratori (due facce della stessa medaglia) va avanti. Come mai succede questo? Come mai la nostra volontà rimane nella sostanza inascoltata?

Succede perché il fronte dei signori della guerra e dello sfruttamento, dei Bush, dei Berlusconi, etc., è più determinato e organizzato del nostro, ha più chiari i suoi obiettivi e i mezzi necessari per raggiungerli.

Non possiamo dire la stessa cosa per il nostro fronte. Abbiamo dalla nostra parte il potere che ci deriva dal "numero" e dal fatto che, col nostro lavoro, mandiamo avanti tutta la società, macchina della guerra compresa. Ma se vogliamo far pesare queste armi, dobbiamo usarle per davvero e fino in fondo. Come? Innanzitutto con un vero sciopero generale e generalizzato senza limiti di spazio e di tempo che si metta di traverso come una montagna tanto alla guerra che all’aggressione ai nostri diritti.

Di sciopero generale si parla qua e là, strutture sindacali come Fiom e Cobas si sono dette a favore, ma a pochi giorni dall’aggressione all’Iraq manca una vera preparazione, politica e "tecnica", di esso. È questa la prima mancanza che dobbiamo affrettarci a colmare! Con un’iniziativa diretta in prima persona dei gruppi di lavoratori più decisi e coscienti, che miri anzitutto a chiarire qual è l’altissima posta in gioco, chi sono i nemici e come batterli, chi i compagni di lotta, come unire le forze degli sfruttati, e sappia dare risposta a tre dubbi che trattengono tanti lavoratori dallo scendere in campo.

Primo dubbio: perché fare tanto casino qui in Italia? dopotutto il "nostro" paese non è in guerra come accade invece con gli Stati Uniti o l’Inghilterra. Non è qui che si decidono le cose.

Certo, è un fatto: le forze armate italiane non saranno direttamente impegnate nella distruzione di Baghdad. Ma è un fatto altrettanto incontestabile che questa nuova aggressione è un anello di una catena di aggressioni contro i popoli arabo-islamici (Afghanistan, Palestina, embargo contro l’Iraq...) che si regge su complicità e aiuti reciproci che coinvolgono tutti i paesi dell’Occidente, incluse le "pacifiste" Francia e Germania (che ha permesso l’uso delle basi Nato poste nel suo territorio e accettato di rifornire Israele di missili e altri armamenti). Questa catena può e deve essere spezzata ovunque sia possibile: se salterà anche solo un singolo anello, gli effetti si risentiranno poi su tutti gli altri e sull’intera catena. Impegniamoci a spezzarla qui. L’Italia non è affatto fuori dalla guerra! Vi è dentro, in mille modi. Con l’invio degli alpini in Afghanistan, col sostegno all’embargo dell’Onu, col supporto logistico alla macchina da guerra anglo-americana, con l’ininterrotta semina di odio anti-arabo e anti-islamico, etc. etc.

Secondo dubbio: scioperando, e quindi danneggiando le "nostre" aziende e il "nostro" paese, non finiamo per danneggiare noi stessi? non finiamo per esporre soprattutto i proletari più precari e gli immigrati alle rappresaglie e ai ricatti delle direzioni aziendali?

Anche qui, lasciamo parlare i fatti. Da almeno venticinque anni si dice: "salute delle aziende = salute dei lavoratori". Ma è falso. Innumerevoli volte i lavoratori hanno accettato tagli all’occupazione, riduzioni salariali, flessibilità, aumento dei carichi di lavoro con la speranza che ciò, ristabilendo la competitività delle imprese, avrebbe in secondo tempo portato benefici ai lavoratori. Ogni volta tale speranza è andata delusa. I sacrifici accettati sono sempre stati la premessa perché padronato e governo esigessero altri sacrifici.

La tutela delle condizioni e dei "diritti" dei lavoratori non dipende dalla salute delle imprese, dipende solo dalla quantità e qualità delle lotte della classe lavoratrice. Non è la lotta, è l’assenza della lotta e della organizzazione di classe che ci espone alle intimidazioni e ai ricatti governativi e padronali. Ecco perché insieme alla lotta contro la guerra, e dentro di essa, deve vivere e acquistare forza la battaglia per equiparare verso l’alto i diritti e i salari di tutti i lavoratori, per cominciare a mettere un alt nella reale vita del paese alla diffusione di precarietà e flessibilità, a partire dal settore della classe lavoratrice più ricattato: quello immigrato.

Terzo dubbio: ma davvero il destino di Baghdad e del popolo iracheno ci riguarda così da vicino?

Dagli anni ottanta l’Italia ha partecipato a numerose spedizioni militari oltre confine. I "nostri" governi hanno sempre detto: "sarà a vantaggio di tutta la nazione, quindi anche dei lavoratori italiani". Ma è accaduto il contrario. Si pensi a quello che è stato fatto nei Balcani, a suon di sanzioni e bombardamenti all’uranio impoverito, sotto le bandiere dei "pacifisti" Clinton, Schroeder e D’Alema (e con l’assenso "contingente" della direzione della Cgil…): l’apparato produttivo della Jugoslavia e della regione è stato devastato, molti lavoratori gettati sul lastrico e perciò costretti a svendersi alle multinazionali occidentali. Le quali ne hanno fatto un’arma di ricatto contro gli stessi lavoratori italiani per imporre anche a loro condizioni di lavoro peggiori. Bombardata e affondata la Zastava, ora la stessa sorte sta toccando a Mirafiori…

Anche la guerra all’Iraq servirà a questo: forse sarà (lo sperano Berlusconi e D’Amato) un ricostituente per l’azienda Italia e la sua competitività; di sicuro sarà un bastone contro i lavoratori, che i padroni e il governo useranno (stanno già usando) per rafforzare l’attacco ai diritti in corso, per limitare le libertà sindacali, per imporre una disciplina da caserma in tutta la vita sociale. Per difendere i nostri diritti occorre dunque lottare anche contro l’aggressione all’Iraq.

Essa inoltre sarà un acceleratore della corsa alla guerra contro i popoli e i lavoratori di colore che l’Occidente capitalista intende portare ben oltre il Medioriente, verso Corea del Nord e Cina innanzitutto. Per torchiare questi popoli e questi lavoratori, per piegarne la resistenza e la lotta, infatti, non bastano più i ricatti dei piani di aggiustamento strutturali, gli embarghi, le "operazioni umanitarie"... occorre passare alla guerra infinita e al terrorismo atomico! Gli Usa, più delle altre potenze capitalistiche, sono pronti a questo mostruoso balzo in avanti. Ma anche i paesi europei ne sono pienamente parte: il loro contrasto cogli Usa è solo sulle modalità di attuazione di questa politica e sulla spartizione del bottino con il gangster n. 1, che sarà compiuta (come è già accaduto per due volte nel novecento) armi alla mano, con un cataclisma che coinvolgerà direttamente (vittime e carnefici allo stesso tempo) anche i lavoratori degli stessi paesi occidentali. Opponiamoci per tempo, e frontalmente, a questa deriva fratricida! Convinciamoci che oggi...

..."Baghdad è il mondo!"

Il "destino" riservato al popolo iracheno, ai palestinesi, ai curdi è il destino che il capitalismo prepara anche a noi lavoratori (sempre meno) "garantiti" dell’Occidente e alla classe lavoratrice mondiale. Reagiamo con la massima forza (e non soltanto con atti simbolici o mediatici) a questo "destino"; diamoci l’obiettivo di fermare e sconfiggere sul campo i nostri nemici, di fermare sia la guerra che l’attacco ai nostri diritti trasformandoli in altrettanti boomerang che vadano a spezzare i denti dei poteri capitalistici che ce li hanno scagliati contro. Le forze per farlo? Beh, non partiamo da zero.

Il sentimento, così diffuso, di contrarietà alla guerra e di rabbia per la continua privazione dei diritti, e le grandi mobilitazioni degli scorsi anni, mesi, settimane, nel Nord come nel Sud del mondo, sono un’ottima base per fare la nostra parte anche qui in Italia. Facciamo leva su questo sentimento, su questa rabbia, sulle mobilitazioni che già ci sono state per costituire comitati permanenti contro la guerra ed il razzismo e per i diritti dei lavoratori. Per allargare la mobilitazione e l’organizzazione di questa lotta all’intera massa della popolazione lavoratrice. Per mettere in campo iniziative capillari nei posti di lavoro e nei quartieri finalizzate a preparare lo sciopero generale ad oltranza che si ponga l’obiettivo di licenziare dalla piazza il governo Belusconi. Per stringere la più stretta e incondizionata solidarietà con i popoli aggrediti e la loro resistenza alla guerra e alla "pace senza giustizia" che la genera. Per opporci all’assedio che partirà (è già partito) contro la Baghdad che è in casa nostra, cioè contro i lavoratori immigrati, e per formare insieme con essi organismi di lotta comuni. Per prendere contatto con gli organismi sindacali e del movimento "no-war" che negli Usa e negli altri paesi occidentali si stanno mobilitando spinti dalle nostre stesse paure e dalle stesse nostre speranze. Per rimettere in campo, nel fuoco di questa battaglia, il lievito di cui essa ha bisogno per arrivare a sprigionare tutte le sue potenzialità: un programma e un’organizzazione comuniste ed internazionaliste.

 

Organizzazione Comunista Internazionalista