Lo stabilimento

 

Lo stabilimento Fiat-Sata[58] di Melfi sorge nel mezzo della piana di San Nicola. Si tratta di un’area prevalentemente agricola e il nuovo complesso industriale appare come un intruso così adagiato tra il grano, gli ulivi, e la terra ocra delle colline lucane. Il distretto automobilistico di Melfi occupa una superficie complessiva di 2.700.000 metri quadrati. Di questi, almeno 700.000 appartengono all’area riservata alle industrie fornitrici di primo livello. I due blocchi, ovvero le strutture Sata vere e proprie e l’indotto, sono separati da una dorsale lunga un chilometro e mezzo. Si tratta di una vera e propria arteria viaria, immediatamente soprannominata l’”autostrada” dagli operai, in grado di garantire il flusso frenetico ed ininterrotto dei componenti così come richiesto dalla logica del just in time. L’area riservata alla Sata ospita la pista per il collaudo delle vetture, i piazzali logistici, i servizi, e le strutture delle quattro unità produttive dell’impianto: stampaggio, lastratura, verniciatura e montaggio. In questa area trovano impiego altri 7.000 addetti, suddivisi tra 6.300 operai e 700 impiegati e dirigenti[59].  Il parco fornitori è costituito invece da 25 aziende che aderiscono al consorzio Acm (Consorzio Autocomponentistica Mezzogiorno) e che impiegano nell’insieme circa 3.400 addetti[60].  Tutto il distretto automobilistico di Melfi, come si può osservare dalla fig.3,  è stato progettato per garantire la continuità fisica dei flussi di produzione. La disposizione a filiera delle unità produttive e la presenza “muro a muro” dei fornitori diretti costituiscono il tentativo di organizzare l’intero ciclo produttivo secondo il principio del “flusso teso” (heijunka secondo la dizione ohnista). È questo il tentativo di adeguare l’hardware produttivo, o in termini marxiani il capitale fisso, all’ideale della “produzione fluente”  ovvero di un flusso produttivo continuo, senza tempi morti o sprechi temporali. Alla base di questa linearizzazione del layout produttivo vi è un duplice scopo:

 

“1) ottenere nuovi guadagni di intensità e produttività del lavoro (quindi accrescere il tasso di sfruttamento della forza-lavoro, il tasso di plusvalore); ma anche 2) accelerare la velocità di rotazione del capitale costante, lottando contro la “pigrizia” del capitale produttivo; coniugando i due fattori per migliorare il profitto del capitale[61].

 

Vedremo in seguito quali siano le trasformazioni riservate invece al capitale organico della fabbrica fluida.

Il processo produttivo si sviluppa tendenzialmente senza soste attraverso le quattro unità produttive. Le singole automobili scorrono linearmente dalla prima fase, lo stampaggio della lamiera, attraverso i differenti reparti, fino a giungere ad una biforcazione della catena produttiva nell’unità montaggio. È in questo settore che si concentra maggiormente il “lavoro vivo”. Qui, due linee parallele, definite Melfi 1 e Melfi 2, procedono affiancate dalle rispettive aree di preparazione della componentistica. Questo sdoppiamento della linea di montaggio è un espediente per elasticizzare il ciclo produttivo già presente nella fabbrica fordista.

Innovativa è invece l’organizzazione logistica del flusso delle forniture. Infatti,

 

“l’interscambio di informazioni fra Fiat e fornitori interni avviene attraverso una rete informatica integrata e i componentisti lavorano in autocertificazione e consegnano le parti direttamente alle linee di montaggio”[62].

 

Terminata questa fase non rimane che sottoporre le vetture alle operazioni di collaudo ed avviarle alla rete commerciale. Questo processo, definito “operazione con flusso monopezzo”[63], consente l’eliminazione teorica delle scorte e dei polmoni intermedi dove, nella fabbrica fordista, era possibile ammortizzare le soste produttive. Secondo i dati aziendali, il tempo teorico complessivo di realizzazione di ogni singola vettura ammonta all’incirca a 21 ore e 48 minuti[64]. La produttività di Melfi, calcolata in 450.000 vetture all’anno, risulta così sei volte maggiore rispetto al gigantesco stabilimento di Mirafiori. Gigantesco non solo in termini dimensionali ma anche occupazionali dato che nello stabilimento torinese si è arrivati a toccare i 70.000 dipendenti[65]. La causa di tali prestazioni non è da ricercare nella densità tecnologica, addirittura inferiore rispetto ad altre esperienze produttive della Fiat, come ad esempio gli stabilimenti di Cassino e di Termoli. Occorre piuttosto concentrarsi sulle trasformazioni operate nell’organizzazione del lavoro.

 

Fig. 3 – Il distretto automobilistico di Melfi. Lo stabilimento Fiat (in alto) e l’area dei fornitori (in basso) Fonte: Domenico Cersosimo, Viaggio a Melfi. La Fiat oltre il fordismo, Roma, Donzelli, 1994, p. 68.