UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI VENEZIA

CA’ FOSCARI

Facoltà di Lettere e Filosofia

Corso di laurea in Storia

 

TESI DI LAUREA

La Fiat di Melfi

Una fabbrica “tutta luce e libertà”

 

 

 

 

 

Relatore: Prof. PIETRO BASSO

Correlatrice: Prof. Maria Turchetto

 

 

Laureando: Luigi Di Noia

                                                                                          Matricola:765830

 

ANNO ACCADEMICO 2002-2003

 

 

 

Introduzione

 

Vedrai com’è bello

lavorare con piacere

in una fabbrica di sogno

tutta luce e libertà!”

 

Questi versi, appartenenti da decenni al patrimonio del canto sociale italiano, ben si adattano all’immagine che la Fiat ha voluto propagandare del proprio stabilimento di Melfi. Le dirigenze aziendali, e tutta la letteratura organica all’azienda fiorita attorno a questa esperienza, lo hanno infatti descritto come un luogo dove la linea di montaggio si è definitivamente umanizzata. Dove si è realizzata una fabbrica moderna, innovativa, finalmente liberata dalla fatica muscolare e dall’oppressione delle gerarchie. Una fabbrica antropocentrica, fondata sulla qualità del prodotto e sul coinvolgimento dei lavoratori. Una fabbrica, infine, dove si sarebbe finalmente realizzato il superamento del sistema fordista e, conseguentemente, l’estinzione dell’operaio-massa col suo intrinseco bagaglio di coscienza di classe e di conflittualità sociale.

Nei progetti del Gruppo Fiat, un requisito imprescindibile per la realizzazione di questo paradiso della produzione post-industriale sarebbe stato la mancanza di precedenti esperienze industriali nell’area designata. La presenza di una “memoria operaia” avrebbe infatti potuto, sempre a detta dell’azienda, invalidare la costruzione di una nuova organizzazione del lavoro. Melfi venne allora scelta in quanto “prato verde”, al centro di un territorio caratterizzato da un bassissimo grado di industrializzazione. La localizzazione “meridionalistica” non è bastata, però, a garantire il successo dell’“esperimento” lucano. Nonostante gli inevitabili ed ingenti incentivi pubblici, nonostante le agevolazioni, nonostante l’alto tasso di disoccupazione, l’elevata scolarità e la “verginità industriale”, sulla piana di Melfi non è sbocciata la fabbrica-miracolo descritta dai manager di Torino. Così, l’ideologia e la propaganda della “Fabbrica integrata” si sono scontrate ben presto con la soggettività di chi alla catena ci lavora ogni giorno. La Fiat di Melfi, lungi dal creare nei lavoratori “consapevolezza e orgoglio”, e dal renderli partecipi alla creazione di “un nuovo modello di relazioni umane nella fabbrica, ha creato essa stessa “cultura operaia”. L’immagine propagandata si è infranta inevitabilmente davanti ad una realtà che registra a Melfi un aumento dell’intensificazione del lavoro del 20% rispetto alla media degli stabilimenti della Fiat. La saturazione individuale media del tempo di lavoro degli addetti di linea arriva al 94,3%, mentre la produttività per addetto è sei volte superiore a quella degli altri stabilimenti di vecchia concezione. Lavoro notturno anche per le donne, slittamento dei riposi settimanali, produzione ininterrotta per sei giorni alla settimana con la domenica dedicata alla manutenzione, il tutto ripagato con uno stipendio medio del 20% più basso dei colleghi di Mirafiori. La realtà che trapela dalle inchieste operaie parla anche di un sistema interno gerarchizzato, di politiche apertamente antisindacali, della continua minaccia di licenziamento o di mancato rinnovo del contratto in una regione con un tasso di disoccupazione attestato attorno al 23%. Tutto questo ha spinto i giovani operai meridionali (tutte le assunzioni avvengono tramite contratti di formazione-lavoro che escludono i maggiori di 32 anni) ad intraprendere fin dalla metà del decennio scorso tutta una serie di agitazioni che hanno definitivamente sancito il fallimento di un modello che si pretendeva a-conflittuale. Condizioni di lavoro, mobilità interna, comportamento antisindacale, nocività, velocità di linea: ecco i motivi principali delle mobilitazioni. Ma sono vive anche tematiche più profonde, segno del raggiungimento di una certa consapevolezza politica, quali la partecipazione agli scioperi nazionali, le astensioni dal lavoro in difesa dei lavoratori interinali e le prese di posizione contro i processi di terziarizzazione, contro le politiche nazionali “per” il Mezzogiorno, la richiesta di vere inchieste operaie di massa. La reazione operaia alle condizioni oggettive di lavoro ha smascherato così definitivamente quella “produzione snella” che si vorrebbe antitetica al sistema di produzione fordista-taylorista. Ha riaffermato con forza come sia la stessa fabbrica a generare il conflitto attraverso le insopprimibili contraddizioni interne del sistema di produzione capitalistico. Ecco perché, oggi a Melfi, nello stabilimento che si vorrebbe “tutta luce e libertà”, sono ancora validi questi versi:

 

“Qui dentro non c’è tempo

non c’è spazio per la gente,

qui si marcia con le macchine

e non si parla di libertà.”