Conclusioni

 

Melfi, a differenza di quanto è stato ampiamente propagandato, è stata innanzitutto un immane laboratorio dove sperimentare il maggiore sfruttamento ed assoggettamento possibili oggi della forza-lavoro. I risultati ottenuti sono stati tali da farne un modello da esportare immediatamente in ogni altro settore della produzione industriale. Tutto questo è accaduto sotto gli occhi accondiscendenti delle dirigenze sindacali e quelli distratti di un movimento operaio settentrionale convinto di poter mantenere la propria posizione di “privilegio”. Ma i calcoli iniziali si sono rivelati ben presto errati. Gli attacchi antioperai, resi sempre più tenaci da una competizione mondiale inesorabile, hanno ben presto mirato all’assalto generale del welfare, la roccaforte in cui il tradizionale mondo operaio si era illuso di resistere. Contemporaneamente, le “cavie” del laboratorio lucano hanno iniziato un lungo cammino di autoattivazione e di reazione alle massacranti condizioni di lavoro impostegli. Sebbene questa resistenza non sia ancora radicata tanto quanto dovrebbe, è però innegabile una sua lenta crescita. Infatti, parallelamente alla lotta per le tematiche più immediate e strettamente legate alle condizioni di lavoro, la classe operaia di Melfi e degli altri stabilimenti meridionali ha lanciato un chiaro appello alla lotta unitaria. Si tratta di un appello rivolto evidentemente soprattutto alle realtà industriali del Nord, ma non solo. A ben vedere Melfi è riuscita ad inserirsi simbolicamente in un vasto quadro di lotte sociali. Nei comunicati e nelle mobilitazioni si riscontra infatti una sempre maggiore saldatura tra le principali problematiche del lavoro industriale e tematiche come la disoccupazione, l’ambiente, la questione femminile, la precarizzazione generale del mondo del lavoro, le politiche nazionali per il Mezzogiorno, perfino le questioni internazionali. Il tentativo di modellare l’intera società lucana ed assoggettarla alle proprie esigenze produttive attraverso la fabbrica integrata, sembra essersi rovesciato, provocando ora una saldatura tra le aspirazioni operaie e quelle della società circostante. Le tute amaranto si trovano così al fianco degli studenti, dei lavoratori precari, dei disoccupati, degli autoferrotranviari in lotta. Si riconoscono tra le mobilitazioni popolari di Scanzano Ionico, Rapolla, Lavello. Si mescolano con le tute blu di Termini Imerese, Termoli, Cassino, Arese, Torino e così via, nel tentativo di arginare un sempre più violento attacco alle condizioni di vita e di lavoro del mondo operaio. Queste tute amaranto sono la prova tangibile dell’instabilità dell’esperimento di Melfi. Dalle sue stesse contraddizioni interne stanno così sorgendo nuove dinamiche, nuove possibilità, nuove prospettive.