Alla "gente" del movimento no war
Fare un passo avanti nella lotta contro Bush-Blair-Berlusconi, anziché... due indietro.
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Mentre in Iraq la guerra continua e s’intensifica, in Occidente il
movimento per la pace è in uno stato di semi-paralisi. Un paio di folte e
belle manifestazioni si sono tenute a Washington e a Londra, e ne parliamo
in altra parte del giornale. In Italia e nel resto d’Europa, però, quasi
zero. Eppure, la gente che manifestò nei mesi scorsi è più preoccupata di
allora. Nutre un senso di paura per quanto sta succedendo laggiù. Paura
che la guerra, finora rimasta lontana, si stia poco a poco avvicinando a
"casa nostra". Paura che la guerra, invece di chiudersi rapidamente,
diventi lunga, molto lunga. Questo timore è del tutto fondato. Il problema è: come fronteggiare questa situazione? Finora si sono fatte avanti due "proposte", in parte intrecciate tra
loro. Da un lato, l’appello di Emergency, affinché tutti cessino il
fuoco. Dall’altro, la richiesta di un intervento dell’Europa sotto l’egida
dell’Onu. Noi crediamo che, al di là delle intenzioni di chi le propone e,
soprattutto, della gente comune che le fa proprie, queste due "soluzioni"
avrebbero un unico effetto: quello di spingerci ancor più a fondo nel buco
nero della "guerra infinita" da cui si ha paura di essere inghiottiti. Perché questo? E come, in alternativa, affrontare efficacemente questa
situazione preoccupante? È ciò di cui discutiamo negli articoli del numero 62 del che fare
dedicati alla situazione irachena.
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Organizzazione Comunista Internazionalista |
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