Dal manifesto
del 24 luglio 2005
Le bombe
di Tony Blair, premier inadatto,
di JOHN PILGER
Gli
ultimi attentati di Londra hanno evidenziato una verità fondamentale che
lotta per emergere. Qui e là qualcuno ha rotto il silenzio, come un
abitante dell'est londinese che è andato davanti a una troupe della Cnn
mentre il corrispondente ripeteva le sue banalità. «L'Iraq!» ha detto. «Abbiamo
invaso l'Iraq e cosa ci aspettavamo? Avanti, lo dica.» Il parlamentare
scozzese Alex Salmond ha cercato di dirlo alla Bbc radio. Gli è stato
risposto che le sue parole erano «di cattivo gusto... prima ancora che i
corpi siano inumati». Il parlamentare George Galloway del Respect Party si
è sentito dire dal presentatore della Bbc television di essere stato «grossolano».
Il sindaco di Londra, Ken Livingstone, ha dichiarato l'esatto contrario di
quanto aveva detto in precedenza, cioè che l'invasione dell'Iraq sarebbe
arrivata nelle nostre strade. Con l'eccezione di Galloway, non un solo
parlamentare cosiddetto «contro la guerra» ha preso posizione in un
inglese chiaro e inequivoco. È stato consentito ai guerrafondai di fissare
i confini del dibattito pubblico; uno dei più idioti, sul Guardian,
ha definito Blair «il più importante statista del mondo».
E tuttavia, come il passante che ha interrotto la Cnn, le persone
capiscono e sanno il perché. Proprio come la maggioranza della popolazione
inglese, che è contraria alla guerra e considera Blair un bugiardo. Questo
spaventa l'élite politica britannica. A un grande party per la stampa cui
ho partecipato, molti degli importanti ospiti pronunciavano le parole
«Iraq» e «Blair» come una sorta di catarsi per ciò che non osavano dire
professionalmente e pubblicamente.
Le bombe del 7 luglio sono state le bombe di Blair. Blair ha portato in
questo paese l'avventura illegale sua e di Bush in Medio Oriente,
un'avventura senza senso e intrisa di sangue. Se non fosse stato per la
sua epica irresponsabilità, i londinesi morti nella metropolitana e sul
bus numero 30 quasi certamente oggi sarebbero vivi. Questo è ciò che
Livingston avrebbe dovuto dire. Per parafrasare forse l'unica domanda
stringente rivolta a Blair alla vigilia dell'invasione, ora è sicuro che
quest'uomo non è adatto ad essere primo ministro. Quante altre prove
servono? Prima dell'invasione, Blair era stato messo in guardia dal Joint
Intelligence Committee (Commissione congiunta per l'intelligence), secondo
cui «la minaccia terroristica in assoluto più grande» nei confronti di
questo paese sarebbe stata «aumentata da un'azione militare contro l'Iraq».
Era stato messo in guardia dal 79% di londinesi che, secondo una ricerca
di YouGov del febbraio 2003, ritenevano che un attacco britannico all'Iraq
«avrebbe reso più probabile un atto terroristico su Londra ».
Un mese fa è stato fatto trapelare un rapporto riservato della Cia che
rivela come l'invasione abbia trasformato l'Iraq in un punto focale del
terrorismo. Prima dell'invasione, secondo la Cia, l'Iraq «non aveva
esportato alcuna minaccia terroristica», perché Saddam Hussein era «implacabilmente
ostile ad al-Qaeda». Adesso, un rapporto del 18 luglio dell'organizzazione
Chatham House, un «think tank» addentro all'establishment britannico,
potrebbe dare a Blair il colpo di grazia. Esso sostiene che l'invasione
dell'Iraq «senza alcun dubbio» ha «alimentato la rete di al-Qaeda» nella
«propaganda, nel reclutamento e nella ricerca di finanziamenti», fornendo
allo stesso tempo una zona ideale per individuare ed addestrare i
terroristi. «Viaggiare insieme a un alleato potente» è costato vite
irachene, americane e britanniche. Tra le righe, il rapporto dice che il
premier è ora seriamente esposto. Coloro che governano questo paese sanno
che Blair ha commesso un grande crimine; il «collegamento» è stato fatto.
Il ritornello di Blair è che il terrorismo c'è da molto prima
dell'invasione, in particolare dall'11 settembre. Chiunque conosca la
dolorosa storia del Medioriente non è stato sorpreso dall'11 settembre o
dagli attentati di Madrid e Londra, ma solo dal fatto che non fossero
accaduti prima.
Ho fatto il corrispondente dalla regione per 35 anni, e se dovessi
descrivere con una parola come si sentivano milioni di arabi e musulmani,
direi «umiliati». Quando sembrò che l'Egitto avesse riconquistato il suo
territorio nella guerra con Israele del 1973, sono passato attraverso
folle giubilanti al Cairo: era come se si fossero liberati del peso
dell'umiliazione storica. Con un'espressione tipicamente egiziana, un uomo
mi disse: «Una volta raccattavamo le palle da cricket al club britannico.
Ora siamo liberi».
Non erano liberi, naturalmente. Gli americani hanno equipaggiato
l'esercito israeliano e loro hanno perso quasi tutto di nuovo.
La gravità degli attentati di Londra, ha detto un commentatore della Bbc,
«può essere misurata dal fatto che segnano il primo attentato suicida in
Gran Bretagna». E l'Iraq? Non c'erano kamikaze in Iraq prima che Blair e
Bush l'invadessero. E la Palestina? Non c'erano kamikaze in Palestina
prima che Ariel Sharon, un noto criminale di guerra sponsorizzato da Bush
e Blair, andasse al potere. Secondo l'Onu, nella «guerra» del Golfo del
1991 le forze americane e britanniche hanno lasciato sul terreno più di
200.000 iracheni morti e feriti, e l'infrastruttura del paese in «uno
stato apocalittico». Il successivo embargo, studiato e promosso da
fanatici a Washington e a Whitehall, non è stato diverso da un assedio
medievale. Denis Halliday, il funzionario Onu incaricato di amministrare
le dotazioni alimentari da fame, lo ha definito «genocida». Ho visto le
conseguenze con i miei occhi: tratti del sud dell'Iraq contaminati
dall'uranio impoverito e cluster bombs pronte a esplodere. Ho visto i
bambini morire, alcuni del mezzo milione di bambini la cui morte l'Unicef
ha attribuito all'embargo - tutte morti che secondo il segretario di stato
Usa Madeleine Albright «valevano la pena». In occidente di questo si è
parlato pochissimo. In tutto il mondo musulmano, il rancore era come una
presenza, che contagiava molti giovani musulmani britannici.
Nel 2001, per vendicare l'uccisione di 3.000 persone nelle Twin Towers,
più di 20.000 musulmani sono morti nell'invasione anglo-americana
dell'Afghanistan. Questo è stato rivelato da Jonathan Steele sul
Guardian e non è mai diventato notizia, per quanto ne so. L'attacco
all'Iraq è stato il Rubicone, ha reso la ritorsione contro Madrid e gli
attentati di Londra del tutto prevedibili.
Dal dibattito pubblico è cancellato il fatto che il terrore di stato di
Bush e Blair, al confronto, fa apparire al-Qaeda una bazzecola. Immaginate,
per un momento, di trovarvi nella città irachena di Fallujah. È uno stato
di polizia americano, come un grande ghetto recintato. Dall'aprile dello
scorso anno gli ospedali della città sono stati sottoposti a una politica
americana di punizioni collettive. I marines Usa hanno attaccato il
personale ospedaliero, hanno sparato ai medici, hanno bloccato i farmaci
di pronto soccorso. Ci sono stati casi di bambini ammazzati davanti alle
loro famiglie.
Ora immaginate tutto questo imposto agli ospedali londinesi in cui sono
affluite le vittime degli attentati. Quand'è che qualcuno traccerà questo
parallelo a una delle «conferenze stampa» in cui Blair può emozionarsi a
beneficio delle telecamere affermando che «i nostri valori prevarranno sui
loro»? Il silenzio non è giornalismo. A Fallujah «i nostri valori» li
conoscono fin troppo bene. E quand'è che qualcuno inviterà l'ossequioso
Bob Geldoff a spiegare perché il fumo negli occhi della «cancellazione del
debito» ammonta a meno della cifra che il governo Blair spende in una
settimana per brutalizzare l'Iraq?
Torcersi le mani su «dove va l'anima dell'Islam» è un altro diversivo. La
cristianità uccide l'Islam come un killer su scala industriale. La causa
dell'attuale terrorismo non è né la religione, né l'odio per «il nostro
stile di vita». È politica, e richiede una soluzione politica. Sono
l'ingiustizia, i due pesi e le due misure, a radicare i più profondi
risentimenti. Questo, la colpevolezza dei nostri leader, «le telecamere
che si girano dall'altra parte», ne sono il cuore.
Blair sta usando le bombe di Londra per ridurre ulteriormente i nostri
diritti e quelli degli altri, come Bush ha fatto in America. Il loro
obiettivo non è la sicurezza, ma aumentare la repressione.
La memoria delle loro vittime in Iraq, Afghanistan, Palestina e altrove
richiede che la nostra rabbia si rinnovi. Le truppe devono tornare a casa.
Niente di meno è dovuto a coloro che sono morti e hanno sofferto a Londra
il 7 luglio, senza necessità. Niente di meno è dovuto a coloro le cui vite
sono segnate se questa farsa continuerà.
(Traduzione Marina
Impallomeni)