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CONTRO LA FINANZIARIA 2005 PUNTIAMO SULLA LOTTA DI PIAZZA CONTRO IL GOVERNO, I PADRONI, I GRANDI POTERI FINANZIARI
Il governo parla di tagli agli sprechi, ma la finanziaria per il 2005 costituisce un altro colpo alla condizione dei lavoratori. Vengono messi dei tetti alla spesa sociale delle regioni e degli enti locali. Le regioni e gli enti locali, a loro volta, per recuperare i soldi, dovranno aumentare il prelievo fiscale locale e tagliare la spesa per strade, asili, scuole e sanità. Tra le tante altre “piccole” misure previste da questa finanziaria ci sono inoltre meno “agevolazioni” sui listini delle medicine (in pratica aumento di alcuni farmaci), la scomparsa del fondo per gli asili nido e tagli ai finanziamenti dei libri scolastici. Il tutto mentre si sono già regalati circa 500 milioni euro alle scuole private e mentre è stato drasticamente diminuito il fondo per la sicurezza nelle scuole. Vi sarà invece un aumento dei finanziamenti per la guerra di rapina contro l’Iraq che andrà a rimpinguare i già robusti fondi messi a disposizione in questi anni per le politiche belliche.Per quanto riguarda la “riforma” fiscale varata dal governo Berlusconi, essa avvantaggerà esclusivamente i ceti più alti. Per i lavoratori i leggeri tagli alla tassazione previsti saranno più che compensati in negativo dal progressivo incremento dei costi della sanità, dell’istruzione e di quant’altro. La situazione dei lavoratori negli Stati Uniti indica il futuro che la politica fiscale del governo Berlusconi intende riservare ai lavoratori in Italia. Le critiche della Confindustria al governo non sono rivolte alla “logica di fondo” della “riforma” fiscale, ma alla richiesta di una azione complessivamente ancora più incisiva contro il mondo del lavoro ed a vantaggio delle imprese: non è un caso che nei giorni scorsi il neo-presidente della Confindustria, Montezemolo, abbia sollecitato il governo a seguire con coerenza la politica fiscale degli Stati Uniti. Il fatto che una parte delle risorse per finanziare i cosiddetti “tagli fiscali” venga dal blocco del turn-over nel pubblico impiego dimostra inoltre come si cerchi di mettere l’uno contro gli altri i lavoratori: si butta un tocco di pane per farli litigare tutti. La “riforma” fiscale, inoltre, insieme alla riforma federalista appena varata, mira a rendere ancor più difficoltoso per i lavoratori difendersi tutti insieme e collettivamente: non più un sistema pensionistico, sanitario e scolastico unitario, ma tanti sistemi e sotto-sistemi regionali e locali tutti differenti e separati per favorire la divisione e la contrapposizione tra i lavoratori delle varie aree geografiche, e per renderli tutti più deboli. Dove sta la forza dei padroni e del governo, dove sta la debolezza dei lavoratori. La riforma federalista e la finanziaria fanno arrivare altre pietre sulla vita dei lavoratori, già segnata da salari reali decrescenti, tempi di lavoro più lunghi, ritmi di lavoro più intensi, infortuni più frequenti, contratti di lavoro sempre più precari, e da qualche mese anche da tanti licenziamenti. A tutto ciò, si aggiunge per i lavoratori immigrati l’ulteriore mannaia del rinnovo del permesso di soggiorno, le intimidazioni e i ricatti connessi con la crociata razzista diretta contro di loro, soprattutto quando provengono dal mondo musulmano. I lavoratori, italiani e immigrati, sanno bene che davanti a questo continuo attacco del governo di Bossi-Fini-Berlusconi e del padronato bisognerebbe erigere un argine. Sanno altrettanto bene però quanto sia difficile farlo. Pesa il ricatto delle direzioni aziendali che un’ora sì e l’altra pure minacciano: “Se non accetti questa minestra, ci sono tanti lavoratori che hanno bisogno di lavorare al tuo posto, italiani, immigrati o lavoratori dell’Est e del Sud del mondo nei loro stessi paesi.” La debolezza dei lavoratori e la forza dei padroni e del governo nasce da questo fatto: i capitalisti possono contare su un esercito di lavoratori mondializzato e sulla concorrenza dura tra i proletari dei diversi continenti, dei diversi paesi, delle diverse regioni di uno stesso paese. Questa situazione non è però inevitabile: lo stare tutti in una stessa barca (anche se con condizioni molto diverse) può diventare la leva per ribaltare i rapporti di forza con i padroni... può diventarlo se i lavoratori riescono a fermare la concorrenza reciproca, se stabiliscono una organizzazione e una lotta unitaria per imporre ovunque, in Lombardia e in Campania, in Italia e in Romania, in Occidente e nel Sud del mondo, uguali e migliori condizioni di vita e di lavoro. Se fanno valere la forza del loro numero e quella che deriva loro dal produrre con le loro mani e i loro cervelli tutta la ricchezza sociale.
La politica del centro-sinistra di Prodi-D’Alema-Bertinotti non può aiutare i lavoratori a costruire questo argine. Il governo Prodi degli anni novanta ha spianato la strada all’aggressione del governo di Berlusconi-Bossi-Fini. Cosa farebbe un nuovo governo Prodi lo sta indicando il governo “fratello” di Schroeder in Germania: tagli profondi alla “spesa sociale”, protezione dei dirigenti delle imprese che impongono aumenti secchi degli orari di lavoro con salari congelati come è successo alla Opel e alla Siemens! L’aria che tirerà con un nuovo eventuale governo Prodi l’ha fatta capire il commento di D’Alema alla vittoria elettorale di Bush: per D’Alema questa vittoria è stata causata dall’eccessivo radicalismo della campagna elettorale di Kerry (sigh!) e quindi, alle elezioni che si preparano in Italia, occorre moderare le richieste, naturalmente quelle dei lavoratori. Per noi comunisti internazionalisti, la lezione che viene dagli Stati Uniti è ben diversa: non è sul terreno della conta delle schede nelle urne che potremo organizzare le fila dei lavoratori e cementarne la solidarietà di lotta. L’arma sindacale e politica dei lavoratori è quella della lotta in difesa intransigente dei loro interessi, è quella della loro organizzazione unitaria nei posti di lavoro, nei quartieri e nelle scuole. È per questo tipo di campagna che occorre rimboccarsi le maniche, senza delegare i propri interessi a dirigenti parlamentari asserviti al vangelo del denaro e delle borse. Negli Stati Uniti si è rafforzato il potere di Bush, anche tra molti proletari, perché i lavoratori anti-Bush non sono stati sufficientemente radicali sulla questione decisiva: come si fa fronte alla concorrenza mondiale tra i lavoratori?, e perché si sono limitati a puntare su Kerry, la cui politica è quella di Bush, senza la coerenza di Bush. E dopo la sciopero di oggi? Lo sciopero di oggi contro la finanziaria non deve limitarsi ad essere una pura “testimonianza di dissenso” rispetto all’operato governativo. Facciamone un momento per vedere come e quanto sia necessario iniziare a dare continuità alla lotta ed alla mobilitazione, come e quanto sia fondamentale puntare sulla lotta di piazza contro il governo, i padroni, i grandi poteri finanziarii, come e quanto sia indispensabile dotarsi di una politica che non chini la testa dinanzi alle “esigenze del mercato” ma sappia contrapporre ad esse le esigenze ed i bisogni dei lavoratori. L’esperienza secolare del movimento operaio ci insegna che la tutela delle condizioni dei lavoratori non dipende dalla salute delle aziende e dell’economia nazionale ma solo dalla forza della loro organizzazione di lotta. Abbiamo bisogno di gettare a mare le condizioni di precariato in cui sono costrette a lavorare le nuove generazioni. Abbiamo bisogno di stracciare le condizioni di ricatto e di supersfruttamento a cui sono costretti i lavoratori immigrati e che si riverberano prima o poi anche sui lavoratori italiani: battiamoci per cancellare la legge Bossi-Fini e per imporre al governo la concessione del permesso di lavoro per tutti, come chiedono le associazioni dei lavoratori immigrati in Italia. Abbiamo inoltre bisogno di riconquistare un salario decente e un meccanismo automatico di difesa dei salari dall’aumento dei prezzi. Ne abbiamo la forza! Mettiamola in campo, impegniamoci per farlo, impegniamoci per costruire l’indispensabile organo di questa lotta: un’organizzazione politica dei lavoratori per i lavoratori. Poiché la concorrenza tra i lavoratori dipende anche e soprattutto da quello che accade nel mercato del lavoro mondiale, occorre impegnarsi anche a questa scala per parificare verso l’alto le condizioni dei lavoratori dei diversi continenti. A tal fine, ha un ruolo prioritario la lotta contro l’aggressione ai popoli e agli sfruttati dell’Iraq e del mondo musulmano e di tutto il Sud del mondo. Quest’aggressione, condotta con le guerre “umanitarie” e con i piani di saccheggio finanziario, serve ai capitalisti occidentali per avere manodopera priva di ogni prospettiva e sottomessa. La difesa degli interessi dei lavoratori in Italia chiede quindi il rilancio della mobilitazione per il ritiro delle truppe italiane e occidentali dall’Iraq, dall’Afghanistan, dai Balcani e per stabilire una fratellanza di lotta con la resistenza del popolo e degli sfruttati dell’Iraq, della Palestina e degli altri continenti del Sud del mondo. 29 novembre 2004 |
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Organizzazione Comunista Internazionalista |
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