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3 Novembre 2004, da ZNet Lavoratori in concorrenza, di Wolfgang Schaumberg
Circa 25 anni fa, i dirigenti
della fabbrica della Opel/General Motors in cui lavoravo, cominciarono a
sorprenderci con un nuovo genere di informazioni. Alla catena di montaggio
e in tutti i dipartimenti della fabbrica c'erano tabelloni in cui potevano
leggere, per esempio: "il vostro salario qui può essere visto come il
100%. Per lo stesso lavoro la Opel paga il 75% in Inghilterra. Il 50% in
Portogallo". E alla fine: "In Messico, la General Motors paga il 12%". Cos'era successo? A quel tempo le multinazionali avevano cominciato ad organizzare la produzione in un nuovo modo. Con l'aiuto dell'elettronica e delle nuove tecnologie, il management era diventato capace di comparare i costi a livello globale in pochi secondi. E cominciarono a ricattarci sempre di più: "se non la smettete di chiedere, se non venite a patti, affideremo la produzione di questa o quella parte del prossimo modello ad un altro impianto". Per esempio, l'auto che si costruisce nella mia città, Bochum, si chiama Zafira e la General Motors ha un altro impianto nel mondo in cui si produce lo stesso modello, e quest'impianto si trova in Tailandia. Noi lavoratori cominciammo a discutere: cosa potevamo fare contro questo nuovo genere di ricatto, e questa maniera di metterci gli uni contro gli altri. Così cominciammo, con l'aiuto di organizzazioni come la TIE (Transnationals Information Exchange) a costruire una rete all'interno della General Motors. Tenevamo conferenze internazionali di lavoratori Gm in Olanda, in Inghilterra, una conferenza di lavoratori dell'auto a San Paolo, in Brasile. Organizzammo visite mutue a colleghi in Spagna, in Belgio, negli Usa, in Canada, nelle Filippine e così via. E cercammo di pubblicare un quotidiano internazionale dei lavoratori Gm in 3 lingue. Il cambio della produzione capitalista ci costrinse ad osservare la situazione negli altri paesi. Per difendere i nostri interessi dovemmo apprendere molto della condizione dei lavoratori in tutto il mondo, e della loro lotta. I dirigenti non poterono evitare che cercassimo di tenerci in contatto, di unirci in un nuovo contesto globale. Una parte sostanziale delle nostre attività internazionali fu informare e coinvolgere i colleghi della fabbrica, e di sfidare il sindacato ad unirsi o appoggiare le nostre attività. Ma il nostro sindacato, la Igm, sindacato metalmeccanico, non voleva proprio far avvicinare dal basso lavoratori di differenti paesi. Per riuscire a farsi un'idea della politica sindacale, si deve sapere che in Germania esiste una lunga tradizione di burocrazia e dell'ideologia che i sindacati ed il governo, soprattutto se guidato dal partito socialdemocratico, e i datori di lavoro devono cooperare strettamente. Un'idea tipica che è sempre ripetuta dai leaders dei nostri sindacati è che, per esempio, le imprese tedesche devono continuare ad essere campionesse mondiali dell'export. Se l'obiettivo primario del sindacato è preservare il ruolo dell'economia tedesca nel mercato mondiale, come potrebbe essere mai interessato ad organizzare una lotta dei lavoratori a livello internazionale? Per questo eravamo costretti a costruire una rete internazionale senza il nostro sindacato. Che cosa riuscimmo ad ottenere? Potevamo usare i nostri collegamenti per far sapere in una fabbrica delle lotte che si conducevano in altre, e far inviare risoluzioni di solidarietà. A volte ottenevamo informazioni utili per i negoziati con la dirigenza. Di rado riuscivamo ad organizzare azioni o scioperi comuni a più paesi allo stesso tempo. La nostra rete non è molto vivace, né efficace, oggi. Solo pochi collegamenti sono ancora utilizzati. Perché? Prima di tutto, il problema che avevamo con il nostro sindacato esiste anche in altri paesi, soprattutto in quelli maggiormente industrializzati come gli Stati Uniti. Molti rappresentanti dei lavoratori a livello di stabilimento si pensano o si definiscono come "co-managers" e cercano di aiutare l'azienda nella guerra di concorrenza. Secondo, anche la maggior parte dei lavoratori è legata ideologicamente alla stessa idea di identità aziendale. Vogliono lottare per i loro interessi, sperando che lo stabilimento in cui lavorano possa sopravvivere. Terzo, i miei colleghi chiedono: qual è l'alternativa? Come possiamo andare avanti senza considerare la situazione di profitto dell'azienda? Perciò il mio ultimo argomento, che vale anche da conclusione, è che costruire una rete di lavoratori europei, asiatici e di altri paesi è necessario. Ma non dobbiamo discutere solo della difesa di ciò che abbiamo già ottenuto, non dobbiamo chiedere soltanto salari più alti o maggiori diritti. Dobbiamo discutere e trovare colleghi di altri paesi che vogliono discutere delle vere ragioni alla base di questa dannata guerra di competizione a livello globale e di come muoverci verso un mondo diverso. Di cosa vogliamo venga prodotto, di come lo produciamo, di come si distribuisca. Di come possiamo aiutarci a vicenda, superando i confini nazionali, in maniera tale che tutte le persone possano produrre e consumare a livello superiore. Alla fine, ciò significa lottare per un altro lavoro, non capitalistico. Dovremmo prendere in considerazione il fatto che i capitalisti ci offrono molti stimoli per avvicinarci a questa visione. Per esempio, i capitalisti ci uniscono nella globalizzazione. Secondo, internet ci permette di discutere delle nostre esperienze ed opinioni meglio che mai. Terzo, abbiamo imparato come si fa a produrre. Sappiamo usare le tecnologie moderne. Nella grandi fabbriche abbiamo imparato ad organizzare il lavoro in gruppi. Tramite l'outsourcing siamo diventati parte di una nuova divisione del lavoro. Sappiamo che stiamo lavorando assieme mano nella mano, al livello nazionale e anche nelle filiere produttive a livello internazionale, ma non con dignità umana. Perché non dovremmo essere in grado di lavorare e vivere, un giorno, senza il ruolo fastidioso dei proprietari delle fabbriche che i lavoratori hanno costruito?
Wolfgang Schaumberg ha lavorato per trenta anni a Bochum, nella fabbrica automobilistica Opel più grande d'Europa. È stato membro del suo consiglio di fabbrica e rappresentante sindacale a livello locale per molti anni. Ora è in pensione, ma è ancora attivo nel Coordinamento dell'industria automobilistica tedesca (una rete sindacale), in labournet e con il Transnational Information Exchange (TIE). Le seguenti dichiarazioni sono state rilasciate al workshop "Costruire la solidarietà e la cooperazione interregionale tra i lavoratori" al Forum dei popoli Asem 5 di Hanoi, nel settembre 2004. Trascrizione dell'Asian Regional Exchange for New Alternatives
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Organizzazione Comunista Internazionalista |
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