UCCISO A ROMA

UN LAVORATORE IMMIGRATO

 

“Non dimenticate Ion affinché quello che è successo non accada mai più”.

Così diceva il 13 maggio del 2000 Nicoletta Cazacu durante una manifestazione sindacale tenutasi a Varese a ricordo di suo marito, Ion Cazacu, morto a soli 40 anni in un letto di ospedale dopo un mese di atroci sofferenze per le bruciature riportate su tutto il proprio corpo. Ion era un lavoratore di origine rumena che fu aggredito e cosparso tutto di benzina e dopo dato alla fiamme dal padrone presso il quale lavorava  in un cantiere edile di Gallarate perché “osò” rivendicare un salario uguale a quello di tutti gli altri lavoratori!

Sono passati solo pochi anni da quell’orribile assassinio e nei giorni scorsi ad Ostia, a pochi chilometri da Roma, un altro giovane lavoratore immigrato di origine polacca, Stanislaw Swetkowski di 31 anni, è stato anch’esso aggredito e ucciso dai suoi due “padroncini” a colpi di mazze ferrate dopo una discussione avuta in merito ad una paga di 400 euro che questi ultimi non gli volevano più riconoscere dopo un lavoro svolto presso una villa.

Questo nuovo gravissimo fatto è avvenuto nel più totale silenzio!

Deve far riflettere tutti il fatto che questo lavoratore è stato aggredito la notte del 7 di giugno, è stato in coma per una settimana ed è morto per le ferite riportate il 15 giugno, mentre la notizia del suo assassinio è apparsa per la prima volta sulle pagine della “cronaca di Roma” di alcuni quotidiani solo il 18 giugno!

Come deve far riflettere, e qui la riflessione dovrebbe essere molto più profonda, che la stessa Cgil, pur denunciando quanto accaduto, l’ha fatto solo a livello di categoria degli edili di Roma e del Lazio … Evidentemente, per il sindacato questo episodio, per quanto ignobile, va letto come il frutto avvelenato di una situazione particolare che si è creata a Roma e nel suo vasto hinterland metropolitano, fatta di abusivismo edilizio, pochi controlli da parte delle “istituzioni preposte” sul quale poi operano e proliferano caporali e ditte senza scrupoli che sfruttano con il lavoro nero le migliaia di lavoratori, soprattutto dell’Est, venuti qui in cerca di lavoro.

Non è un caso che nessuna manifestazione pubblica di protesta è stata organizzata, nessuna vera denuncia è stata messa in piedi, nessun volantino è stato distribuito o è circolato sui posti di lavoro, nei mercati e nei principali luoghi di aggregazione sociale. Niente!

In realtà di tutto si è trattato tranne che di un evento “locale e particolare”. La pratica di non corrispondere il salario dovuto e pattuito si sta diffondendo a macchia d’olio. Soprattutto nel settore dell’edilizia e dei servizi sono tanti (al Sud come al Nord) gli immigrati che dopo aver lavorato vengono pagati “a rate” e col contagocce e che spesso, alla fine, devono “accontentarsi” di incassare solo una parte della paga promessa.  Una situazione, questa, che va coinvolgendo sempre più anche giovani (e meno giovani) lavoratori italiani, anche in virtù della possibilità per i padroni di avere una riserva di manodopera immigrata disorganizzata e ricattata e a salari tagliati. Gli “sconti” sul salario contrattuale per i giovani proletari (immigrati e italiani) sono state poi di fatto legalizzate dagli stessi governi (di centro-destra e centro-sinistra!) con le varie forme di salario d’ingresso.

Quanto successo ad Ostia si va ad inserire in quel clima di crescente intimidazione razzista che (al di là di tutte le chiacchiere “sull’integrazione”) governo, padroni e padroncini coltivano ad arte. Un clima in cui il ricatto istituzionale della legge Bossi-Fini e delle tante iniziative di polizia contro i “clandestini” si intreccia perfettamente con il razzismo extra-istituzionale e di strada.

Terrorizzare l’immigrato per renderlo e mantenerlo schiavo, per ostacolarne ogni processo di reale lotta ed organizzazione collettiva, per avere così a disposizione una vasta manodopera da sfruttare bestialmente da utilizzare anche come incolpevole arma di ricatto verso i lavoratori italiani: ecco il fine di tutto ciò.

Quanto successo ad Ostia deve dunque essere denunciato con tutta la nostra forza possibile. L’episodio è parte di quell’incrudimento e aumento dello sfruttamento del capitale sul lavoro che sta sempre di più sotto i nostri occhi. In quella vera e propria dittatura del capitale sul lavoro che si vuole sempre più generalizzare e imporre (anche con la violenza se del caso) a tutta la classe operaia e che quindi non riguarda assolutamente solo gli operai edili immigrati che lavorano a nero nei cantieri edili di Roma!

A tutto questo dobbiamo incominciare a dire basta! Contro tutto questo bisogna scendere in piazza e lottare! Non è più tollerabile che padroni assetati di profitto arrivino a concedersi la libertà di assassinare uno di noi! Se questo accade è perché noi lasciamo che questo accada perché non reagiamo, stiamo zitti! Noi concediamo ai padroni questa libertà! Gliela concediamo perché non reagiamo come un sol corpo, come una sola classe quando anche uno solo di noi soccombe sotto le condizioni sempre più precarie e insicure in cui oggi è costretto a lavorare.

Se vogliamo difendere il nostro salario, la nostra sicurezza, la nostra dignità dobbiamo riconquistare agibilità su ogni posto di lavoro. Per fare ciò non possiamo muoverci localmente o aziendalmente ma dobbiamo mettere in campo tutta la nostra forza che deve essere riversata sul terreno dello scontro aperto di classe! Tutti i padroni, piccoli o grandi che siano, devono sapere che il male fatto a ognuno di noi è un male fatto a tutta la nostra classe e che questo gli costerà caro!

Per riconquistare condizioni di maggiore sicurezza dobbiamo, dunque, ricostruire una nostra forza autonoma di classe! Non possiamo, certo, ricostruirla se continuiamo a seguire una politica fatta di ossequio alle esigenze e alle necessità delle aziende e del capitale, fatta di sostanziale silenzio/assenso quando partono spedizioni militari di guerra all’estero che il “nostro” stato porta avanti per conquistarsi la libertà di sfruttare come noi, e peggio di noi, i popoli islamici e balcanici.

Non possiamo ricostruirla se continuiamo a seguire e portare avanti politiche che ci vogliono schiavi delle esigenze di competitività delle aziende.

Dobbiamo, invece, incominciare costruire una nostra politica vera e reale che si sostanzia, ad esempio, in una solidarietà fattiva e di lotta verso e con i lavoratori immigrati che sono venuti qui, in Italia, a lavorare e che oggi sono letteralmente lasciati da soli alla mercè del mercato e dei moderni negrieri che arrivano, addirittura, ad ucciderli se alzano troppo la testa! Per i proletari italiani stare al loro fianco significa tutelare se stessi e rifiutare la logica capitalistica che ci vorrebbe nemici e concorrenti tra lavoratori di diversa nazionalità! Stare al loro fianco significa batterci, tutti insieme, contro la legge Bossi-Fini e le altre misure imposte dalle istituzioni statali per mantenere i lavoratori immigrati sotto la spada di Damocle del rimpatrio e del ricatto. Un'esigenza a cui sono chiamati a rispondere gli stessi lavoratori immigrati, riprendendo il percorso di auto-organizzazione cominciato negli ultimi anni: la difesa dallo sfruttamento differenziato che subiscono e dal razzismo non potrà derivare dalle discussioni delle assemblee comunali, ma solo dall'organizzazione e dalla lotta di massa, e dalla mobilitazione anche sugli altri campi dell'attacco capitalistico, primo fra tutti quello dell'aggressione all'Iraq e ai popoli del mondo islamico! Quello che rivendicavano Ion e Stanislaw lo si può ottenere se lo si "chiede" in tanti, con la lotta, organizzati! Se ci si batte per ottenere la parificazione dei "diritti" verso l'alto per tutti i lavoratori, così da impedire ai padroni di sfruttare sulla concorrenza (involontaria) reciproca tra lavoratori.

La difesa dei lavoratori immigrati è la difesa di tutti i lavoratori! È ora di incominciarlo a capire e soprattutto a metterlo in pratica, proprio per realizzare quello che Nicoletta Cazacu diceva e continua, purtroppo, a dirci: “mai più”! 

Roma, 28 giugno 2004      

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