Quattro mesi di lotte in ArgentinaUno strano silenzio ha accompagnato in questi mesi il corso, o meglio il precipitare, della crisi sociale in Argentina. Un silenzio rotto soltanto dalle cronache pietistiche sugli stenti cui un intero popolo è costretto, dai piagnistei sugli "errori" del Fmi e sull’eccessiva durezza delle condizioni imposte al paese, e dalle cronache ed immagini sulle code davanti alle banche da parte di chi, ed è una minoranza della popolazione, aveva la "fortuna" di avere un conto in banca. La consegna del silenzio o della mistificazione attorno allo scontro di classe, alla guerra di classe in atto in Argentina -ché di questo si tratta-, per isolarla ed evitarne il contagio, vale evidentemente non solo per i poteri ufficiali del mondo borghese, ma anche per le formazioni della sinistra metropolitana, per i "progressisti", per i tanti capi e capetti dei movimenti che si vogliono "alternativi" e contestatori del "liberismo", le cui chiacchiere "eque e solidali", il cui riformismo d’accatto si rivelano del tutto spiazzati dall’aut-aut che si prepara: lo schiacciamento nel sangue delle istanze di lotta e della resistenza delle masse argentine oppure il loro scatto rivoluzionario verso l’abbattimento delle attuali istituzioni borghesi e la presa in carico e la gestione del potere nelle loro mani. |
Riassumere l’incedere tumultuoso della crisi sociale e dei movimenti di lotta di un paese in cui quasi quotidianamente si susseguono chiusure di fabbriche e licenziamenti; di un paese in cui il valore di salari e pensioni precipita e che, quando vengono erogati (spesso con mesi di ritardo ed a seguito di scontri accaniti con le gendarmerie) lo sono sempre più frequentemente attraverso "buoni di spesa" diversi da provincia a provincia; in un paese in cui il proletariato ha a che fare quotidianamente con un’indigenza che arriva alla fame, e dove quindi proseguono gli assalti e gli espropri ai supermercati, e dove persino organizzazioni dichiaratamente riformiste devono portare sotto le proprie insegne gruppi di donne e di bambini, di intere famiglie proletarie, dinnanzi ai supermercati per trattare un "prezzo politico" alla spesa (ci riferiamo a sezioni della Cta, terza centrale sindacale del paese), riassumere l’incedere di una tale crisi sociale, dicevamo, è davvero assai arduo. Rimandiamo i compagni alla consultazione delle pagine di contro informazione fornite dal sito web Indymedia Argentina. La cronaca viva delle lotte di classe si farà intendere superando anche le difficoltà di una lingua straniera anche solo semplicemente attraverso la visione delle immagini della vita quotidiana e delle lotte di cui sono protagonisti gli sfruttati argentini. Cerchiamo soltanto, qui, di indicare il quadro politico generale ed il percorso di lotta che il proletariato e le classi non sfruttatrici argentine hanno intrapreso e sono chiamati a proseguire verso l’acquisizione di quella che è l’arma decisiva nello scontro di classe: la propria organizzazione unitaria, il proprio programma politico indipendente, il proprio partito per la lotta contro lo stato ed i suoi manovratori imperialisti e per la conquista del potere di classe. |
Dopo le sommosse del dicembre che hanno scosso il potere capitalistico ma non lo hanno fatto saltare, gli interessi della borghesia argentina, e al di sopra di essa quelli dell’imperialismo occidentale, sono gestiti dal governo Duhalde. Un governo sostenuto non solo dai due tradizionali, ed "avversari", movimenti politici del capitalismo argentino (quello peronista che raccoglieva, ovviamente a suo modo, la rappresentanza della classe operaia e del popolo minuto, e quello "civico radicale", in cui si specchiavano gli interessi della piccola e media borghesia), dai due maggiori sindacati (Cgt e Cgt dissidente, legati entrambi al peronismo), dalla Chiesa Cattolica, ma anche, lo si noti, da tutti quei raggruppamenti della "società civile" e della "sinistra progressista" (per intenderci, gli equivalenti, più o meno, dei nostri manifesto e Bertinotti) sorti dal discredito generale verso i due partiti principali; un governo, infine, che ha l’avvallo dei vertici della Cta, la confederazione sindacale più "movimentista" presente ed attiva in molte situazioni di lotta. L’alternativa a noi, dicono Duhalde e i suoi, è il caos, "l’anarchia" totale nel paese. Chi "da sinistra" lo sostiene ci aggiunge il carico da 90: l’alternativa sono i militari. Che significa dire: bisogna in qualche modo frenare le mobilitazioni sociali, e soprattutto evitare che l’"estremismo" guadagni terreno fra le masse, perché questo provocherebbe la scesa in campo della guardia bianca reazionaria.
In realtà il vero, essenziale obiettivo del governo di unità nazionale, come abbiamo scritto sul precedente numero di che fare, è di guadagnare tempo tentando di disinnescare la bomba del sommovimento sociale in corso, in primo luogo operando per scongiurare una saldatura tra loro dei movimenti di lotta e l’emergere in essi di una prospettiva rivoluzionaria di classe, e con ciò costituire le basi, preparare il terreno, per il colpo risolutivo, questa volta sì anche con la scesa in campo delle forze armate, contro la capacità di resistenza del proletariato, come richiesto dalle centrali imperialiste. Annota lucidamente il compagno argentino Claudio Katz (1) che nelle attuali condizioni sociali e politiche del paese appare "evidente l’impossibilità di ricorrere nell’immediato al tradizionale espediente del golpe militare", "una avventura golpista avrebbe più possibilità di precipitare oggi una rivoluzione aperta che di installare una dittatura". Ben diverso era il quadro negli anni ’70, allorché l’azione dei macellai poté imporsi grazie anche alla "neutralizzazione" della piccola borghesia e di fasce stesse di proletariato attraverso lo sfruttamento dei temi dell’ordine e della pace sociale minacciati dai sovversivi e dal marxismo "disgregatori del popolo e della patria". Oggi, quando anche il più morigerato dei piccolo borghesi di Buenos Aires non può non riconoscere che ad averlo spennato e ridotto sul lastrico sono stati i governi che diligentemente aveva votato e più ancora i grandi ladroni delle banche, delle multinazionali, della finanza mondiale, quale comunista è possibile scovare in Argentina per scaricargli addosso l’anatema di "patria rovina" come pretesto per scatenare la forza reazionaria?
Il ruolo oggettivo dei "progressisti", delle burocrazie vecchie e nuove delle centrali sindacali e finanche di una certa dirigenza di raggruppamenti d’avanguardia del movimento di lotta (2) che hanno sostenuto seppur fra critiche e distinguo il governo Duhalde, è perciò quello di preparare la strada a ciò che si dice e si pensa di voler scongiurare, l’affermazione cioè della reazione aperta. Dice benissimo ancora Katz: "Il fantasma della destra che (costoro) resuscitano è stato sempre il pretesto prediletto per sostenere i reazionari realmente esistenti ed oggi è utilizzato per giustificare il sostegno a Duhalde"; e aggiunge: "Fortunatamente un importante settore della popolazione riconosce queste finzioni".
Dunque il governo Duhalde. Dal punto di vista della sua politica internazionale risulta da subito evidente il suo carattere di marionetta nelle mani dell’imperialismo. Si è infatti affrettato a garantire il suo sostegno all’intervento Usa in Colombia; si è prestato di buon grado a dare i suoi servigi diplomatici alle manovre americane in sede Onu per le farsesche condanne di Cuba "per violazione dei diritti umani"; ha fatto recapitare ai poveri risparmiatori occidentali oggetto della moratoria una lettera di scuse e di rassicurazioni sul fatto che l’Argentina onorerà i suoi debiti. Ma all’interno tenta di proporre una politica di "concertazione", per quell’osso senza ciccia su cui c’è da "concertare" oggi nel paese, con le centrali sindacali ufficiali e con taluni dirigenti stessi dei movimenti di lotta. È segnatamente verso la marea grandeggiante dei disoccupati che Duhalde, attraverso la concessione di miserabili sussidi e il varo di programmi di "lavori socialmente utili", è riuscito a ottenere qualche risultato almeno sino al febbraio/marzo, provocando anche una lacerazione all’interno del movimento dei piqueteros. Tiene ancora in carcere migliaia di "lottatori sociali", manda nel febbraio squadre di picchiatori a provocare i militanti di alcune assemblee popolari a Buenos Aires, ma evita il ricorso massiccio alla repressione poliziesca. Tenta insomma di mettere in scena uno straccio di "riformismo", con l’ampio ricorso alla vomitevole retorica patriottarda, rivendicazione delle Malvinas inclusa, gioca fino in fondo nel rapporto coi suoi padrini occidentali la carta della bomba sociale da disinnescare per ottenere quegli "aiuti" che sono indispensabili per dare una base al suo "riformismo" cioè per guadagnare ancora un po’ di tempo prima delle resa dei conti con la ribellione interna.
Siti web da cui possono essere tratte cronache, documenti, foto, filmati e, via link, una miriade di altri siti sulla lotta proletaria in Argentina:
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Per tutta risposta è arrivato a più riprese da parte della cupola imperialista (dove prevale la linea dura degli Usa) un secco e duro rifiuto. Ad aprile il numero uno del Fmi, Horst Koehler, ha detto testualmente che "gli argentini devono soffrire", "devono guardare in faccia la realtà" accettando una riduzione degli standard di vita (!); la concessione di ulteriori aiuti da parte del Fmi è vincolata all’accettazione di "un piano di risanamento" draconiano: tagli ai finanziamenti alle province, ulteriore misure di flessibilità, facilitazioni per i creditori ad impossessarsi delle aziende in fallimento, fine dei vincoli e delle "persecuzioni giudiziarie" contro i gruppi bancari e finanziari occidentali che il governo era stato costretto ad introdurre dalla collera popolare verso quei banditi. È un vero e proprio diktat che richiama il governo ai suoi compiti: deve ripristinare l’ordine, deve farlo in fretta, e avrà in questo caso tutto il sostegno necessario da parte della "comunità internazionale".
L’accettazione di un tale diktat ha provocato una grave crisi all’interno della compagine governativa, molti ministri si sono dimessi, lo stesso Duhalde è a un passo dalle dimissioni, e non è affatto detto che il suo governo non getti la spugna, giacché oggi ha davanti a sé l’esecuzione delle perentorie disposizioni ricevute, ossia passare allo scontro frontale contro la resistenza proletaria e popolare. Il compito affidato al governo borghese argentino è assai arduo, assai delicato: in questi mesi, infatti, esso non è riuscito a bloccare il movimento di lotta delle masse; anzi, perlomeno dal marzo, si verifica una radicalizzazione di settori consistenti di esse verso le posizioni della sinistra di classe e si è fatta strada all’interno dei movimenti la necessità di unificare i fronti di lotta.
Dovendo di necessità semplificare e schematizzare un movimento sociale tumultuoso che di continuo provoca rotture, nuove aggregazioni, avanzamenti e tentennamenti nelle formazioni alla testa delle lotte e nelle avanguardie politiche, possiamo indicare tre poli di lotta nei quali si incarna la resistenza delle masse argentine, con l’avvertenza che sempre di più essi tendono ad intrecciarsi e, fra strappi decisi in avanti e passi indietro, a mettere all’ordine del giorno la realizzazione della decisiva unità d’azione e organizzativa delle lotte.
Le assemblee popolari.
Il discredito generale verso le istituzioni ed i partiti ufficiali, un sentimento comune nella massa proletaria e fra la piccola borghesia, ha fatto sortire dopo la rivolta del dicembre questa forma di auto-organizzazione fra i lavoratori ed i cittadini scopertisi truffati e depredati. Le assemblee popolari di quartiere (Barrios) si formano dapprima nella capitale ed in seguito l’esempio si diffonde in tutte le principali città del paese. Esse si danno un coordinamento prima cittadino (il più importante è l’Assemblea al parque Centenario a Buenos Aires) ed in seguito, nel marzo, nazionale, con la prima assemblea nazionale alla presenza di 3/4000 compagni in rappresentanza di oltre 150 delegazioni giunte da tutto il paese.
La "diversità" europeaLa Commissione europea ha fatto sapere il primo aprile, da Bruxelles, che l’Argentina deve onorare strettamente i suoi impegni internazionali in campo commerciale e finanziario. |
Queste forme di auto-organizzazione sorgono da un lato dalla necessità delle masse popolari di affrontare e risolvere questioni pratiche e di vita quotidiana in un paese travolto dalla crisi, e di farlo di maniera collettiva ed organizzata (trattare e imporre le riduzioni delle bollette, trattare e imporre agli ospedali ed alle aziende farmaceutiche la fornitura di medicine essenziali, etc.), dall’altro dalla necessità di colmare il vuoto lasciato dal discredito di un sistema politico naufragato nel marciume e nella corruzione. Dalla necessità insomma di trovare un’alternativa, un programma, una politica diversa per affrontare "dal punto di vista del popolo" la crisi del sistema. È proprio dalle assemblee popolari che esce lo slogan forse più emblematico di questa prima fase dell’Argentinazo: "Que se vayan todos", se ne vadano tutti! Più che uno slogan, una parola d’ordine, che si generalizzerà a tutti i movimenti di lotta, esso traduce un rabbioso urlo di ribellione dove è chiaro chi è il nemico da cacciare (Duhalde, l’Fmi) ma non altrettanto è chiara la strada da seguire per arrivare a ciò e, soprattutto, che cosa metterci di diverso, quale altro potere contrapporre a quello del capitale.
Una prima fase del movimento è caratterizzata da una ripulsa totale non solo verso i tradizionali partiti borghesi ma verso qualsiasi partito o partitino, estrema sinistra inclusa. Dalle assemblee sono bandite le bandiere di organizzazione, chiunque può intervenire ma solo a titolo personale. La storia spesso meschina dei gruppi e dei gruppetti della sinistra, la loro azione volta quasi sempre, alla fin fine, alla conquista del voto, dell’0,1% in più nelle conte elettorali (come più volte denunciato dalle Madri di Plaza de Mayo, al cui movimento nessuno ha mai osato impedire di esprimersi e di manifestarsi in quanto appunto movimento organizzato, come "partito" in qualche modo, e ciò non è avvenuto per caso) può spiegare una iniziale, così forte diffidenza non solo verso organizzazioni politiche pure non colluse con la gestione del potere, ma verso l’idea stessa di partito politico. Resta il fatto che ciò ha rappresentato e rappresenta ancora un grave e pericoloso limite per il movimento di lotta il quale, per essere all’altezza dei compiti che lo scontro sociale in corso richiede, deve trovare la strada verso una sua indipendente organizzazione, un suo indipendente programma di classe, cioè verso il suo proprio partito di classe.
Tuttavia, la prima fase di ostilità "a farsi mettere il cappello" dai gruppi politici viene superata, il movimento delle assemblee vede assottigliarsi le sue fila ma riesce a mantenere una sua base di massa, ed anzi si radicalizza sotto la spinta e l’indirizzo dei militanti di sinistra (molto attivi sono i gruppi trotzkisti Partido Obrero, Mst ed altri). Non a caso in tale passaggio deve affrontare e respingere manu militari diverse provocazioni dei "matones" (bande di picchiatori composte spesso da lumpenproletari al soldo degli uomini di governo) e gli attacchi portati dalla stampa di regime sia conservatrice che "progressista" sulla base di argomenti del tipo: "l’assemblearismo favorisce la destra", "alimenta idee violente".
L’assemblea nazionale del 17 marzo, la quale chiama allo sciopero generale in caso di colpo di stato orchestrato dal Fmi, rappresenta un passaggio importante per il movimento, non solo per il programma rivendicativo che viene approvato (non pagamento del debito, nazionalizzazione delle banche e del commercio estero, ristatalizzazione senza indennità delle imprese privatizzate, libertà per tutti i prigionieri politici e sindacali…) e per l’obiettivo fondamentale che dichiara di voler perseguire (unificare le proprie lotte con quelle dei Piqueteros e con quelle della classe operaia attiva) ma perché affronta per la prima volta a livello di massa la questione del potere, pronunciandosi per "un governo delle Assemblee popolari, dei lavoratori e dei Piqueteros" il quale convochi una "Assemblea Costituente Sovrana".
Certo, questa idea dell’"assemblea costituente" (che è la parola d’ordine lanciata dal Partido Obrero e da altri gruppi trotzkisti) ci appare nebulosa, per non dire di peggio. Più che un’abile o necessaria proposta tattica, ci sembra una contorta deviazione rispetto all’obiettivo della distruzione dello stato borghese e della conquista del potere da parte della classe verso cui muoversi dichiaratamente (non sappiamo francamente cosa il Partito Obrero intenda, se usi un nome diverso per chiedere delle nuove elezioni dentro il quadro dell’ordine capitalistico, oppure se si tratti di un nome diverso dato al governo di classe dei lavoratori). Senza dubbio, però, uno scatto in avanti importante si è prodotto nel movimento di lotta verso l’unificazione dei fronti di classe, a patto che ci si muova con una reale coerenza all’altezza della posta in palio (parliamo di un processo rivoluzionario in corso!), e non ci si impantani in miserabili diatribe fra gruppi e gruppetti "rivoluzionari" ognuno impegnato ad occupare il suo orticello. Negativi in questo senso sono purtroppo gli ultimi sviluppi, con rotture ed accuse lanciate dall’Mst contro il Partido Obrero, reo di voler imporre la propria egemonia al movimento, che ci tocca registrare: il primo maggio, che avrebbe dovuto essere una grande giornata di lotta unitaria, una prova di forza del movimento, ha visto al contrario le Assemblee spaccarsi e manifestare separatamente.
Il 13 aprile, durante una delle tante assemblee a cui partecipano piqueteros, delegati dei Barrios ed una delegazione di operai tessili dall’Uruguay, prende la parola un’operaia per dire: "Siamo noi operai che facciamo funzionare il paese. È dagli operai che deve nascere un governo: se possiamo far funzionare una fabbrica, possiamo anche far funzionare un paese". |
Il movimento dei Piqueteros. Organizzando un numero via via crescente di disoccupati, coinvolgendo nella lotta intere famiglie e comunità proletarie il movimento piquetero, formato da una miriade di gruppi spontanei, di coordinamenti, di organizzazioni sindacali e politiche, è stato una punta di diamante della forza di classe che ha portato alla cacciata in piazza dei governi precedenti. Il governo Duhalde, perciò, vi ha rivolto una particolare attenzione attraverso l’esca di alcune misere concessioni materiali, attraverso l’apertura "al dialogo" con alcune sue componenti, grazie anche all’opera "solidaristica" della Chiesa, al fine di depotenziarne le lotte e di spaccarlo. Ed in effetti alcuni settori del movimento, alcune dirigenze -segnatamente quelle della Cta e della Corrente Classista Combattiva- hanno abboccato, frenando le mobilitazioni ed aprendo una linea di credito verso il governo di unità nazionale.
Ma il grosso del movimento ha avuto la forza, già dal febbraio, di respingere la tregua sociale a suon di mobilitazioni che hanno attraversato il paese coinvolgendo anche la classe operaia attiva (l’assemblea nazionale dei lavoratori di fine febbraio, la "marcia nazionale" dall’11 al 15 marzo), di svelare il tranello della "concertazione", di denunciare la politica di collaborazione dei dirigenti Cta e Ccc con "un governo nemico della classe operaia e del paese" e chiamando la loro base "a rompere ogni negoziato col governo alle spalle del movimento piquetero". La parte più combattiva e radicale va così a costituire nel marzo il Blocco Piquetero Nazionale. Il 28 marzo, nella città di Rosario, l’assemblea generale del Blocco, dopo aver riproposto tutte le rivendicazioni immediate di lotta (vedi quelle delle assemblee popolari) afferma: "Il destino delle organizzazioni piquetere è legato alla battaglia comune col movimento operaio industriale… occorre lavorare a preparare una grande risposta congiunta: lo sciopero generale. Uno sciopero generale che non possiamo aspettarci sia convocato dai burocrati delle tre centrali operaie", ed il documento finale dell’assise proletaria si conclude, last but not least, con la parola d’ordine: "Via Duhalde, via l’Fmi. Per un governo dei lavoratori". (3)
La classe operaia industriale. L’esempio di lotta degli operai della Zanon (vedi il n. 57 di che fare), grazie anche alla straordinaria prova di militanza di quei lavoratori che girano in lungo e in largo nel paese presenti in ogni importante momento di lotta, ha fatto scuola. Ora è anche la fabbrica tessile Bruckman alle porte di Buenos Aires ad essere occupata e a lavorare sotto "il controllo operaio" ed a diventare un altro polo catalizzatore per tutti i movimenti di lotta. Il 13 aprile, durante una delle tante assemblee a cui partecipano piqueteros, delegati dei Barrios ed una delegazione di operai tessili dall’Uruguay, prende la parola un’operaia per dire: "Siamo noi operai che facciamo funzionare il paese. È dagli operai che deve nascere un governo: se possiamo far funzionare una fabbrica, possiamo anche far funzionare un paese".
Gli operai della Bruckman e della Zanon sono però al momento solo la punta più avanzata di una classe che dai minatori di Rio Turbio ai lavoratori dei cantieri navali della Plata morde il freno alle burocrazie sindacali, con sezioni intere delle due stesse Cgt a chiamare alla rottura della tregua col governo antioperaio.
La giornata di mobilitazione del 24 marzo, 26° anniversario del golpe militare, è emblematica della situazione, dello stato del movimento di classe, dei passi in avanti compiuti in questo tornante della guerra di classe in Argentina e delle sue debolezze. Plaza de mayo è occupata tutto il giorno dalle manifestazioni, ad iniziare da quelle delle Madri. Interventi vibranti si susseguono dal palco dinnanzi a migliaia di proletari: "Sappiamo oggi che chi ci sfrutta e domina ha la sufficiente capacità di dividerci, ma noi crediamo che solo attraverso l’unità possiamo avanzare e recuperare tutto quello che abbiamo perduto in questi decenni", dice un piquetero. Prende la parola un muratore aderente al sindacato Uocra affiliato alla Cgt: "Essi (la direzione del sindacato) hanno sempre cercato l’interesse personale ed oggi tutti i compagni si rendono conto di ciò. Noi lottiamo per un sindacato classista che difenda gli interessi dei lavoratori. Per questo motivo rivendichiamo la lotta delle Madri come una lotta degna, classista, affinché un domani i lavoratori governino il paese." E più ancora avanti si spinge un altro delegato sindacale: "Oggi abbiamo davanti a noi due strade: la via delle elezioni o la via rivoluzionaria. Noi stiamo per la via della ribellione, della insurrezione, della rivoluzione"! Le conclusioni di Hebe Bonafini per le Madri sono, come al solito, un colpo di frusta: "In ognuno di voi vive uno dei 30.000 desaparecidos, perché non importa quanti siamo qua, non importa che la marcia non sia la più grande, ma è la più forte, la più coraggiosa, la più convinta, la più rivoluzionaria, quella che non tradisce, quella che non si unisce ai politici corrotti né coi sindacalisti venduti".
Il bilancio che in sintesi possiamo trarre da questi quattro mesi di lotte è che il movimento di classe è riuscito a sventare, nei suoi settori decisivi, la manovra del governo borghese, condotta per ora attraverso metodi soft ed evitando accuratamente lo scontro frontale con la resistenza delle masse. È riuscito a scongiurare la divisione e la contrapposizione nelle sue fila, anzi ha compiuto, fra mille difficoltà, dei passi in avanti verso l’unificazione del fronte di classe, e in questa strada ha cominciato a farsi luce, seppure in sue minoranze d’avanguardia, la necessità materiale di distruggere il potere del capitale ed i suoi apparati statali e di fondare sulle sue ceneri il potere di classe dei lavoratori. Su questa base il proletariato argentino è in piedi, e si appresta ad affrontare l’attacco del capitale che molto probabilmente dovrà smettere la maschera "riformista" come imposto dai diktat dell’imperialismo.
La consegna per noi sempre più impellente è innanzi tutto quella di spezzare l’isolamento cui si vuol ridurre la battaglia proletaria in Argentina, di far partecipe dei suoi svolgimenti e delle sue lezioni il nostro proletariato, di gettare un ponte di contatto diretto con quella lotta di classe e con le sue avanguardie.
Note
(1) Claudio Katz è un economista professore all’università di Buenos Aires. Si definisce "marxista indipendente". Suoi interventi sono, fra gli altri, nel sito web di controinformazione rebelion.
(2) Ci riferiamo in particolare alla dirigenza della Corrente Classista Combattiva, organismo di massa legato al Pcr maoista, radicato fra i piqueteros e i dipendenti pubblici.
(3) Tutti i documenti relativi al Blocco piquetero ed alle Assemblee popolari possono essere rintracciati sul sito web del Partido Obrero.