Si è letto da più parti (in certi articoli veramente pessimi del manifesto, ad esempio) che la classe operaia non avrebbe avuto parte nella sollevazione argentina e in ciò che l’ha preparata.
Per smentire questa sciocchezza, basterebbe ricordare gli scioperi generali in serie (sei negli ultimi 18 mesi) indetti dai maggiori sindacati, ma forse può esser sufficiente anche soltanto riflettere su una delle più significative lotte operaie sviluppatesi negli ultimi tempi, quella degli operai della fabbrica di ceramiche Zanon in Patagonia. Una lotta "esemplare" nel senso che esemplifica molto bene come una battaglia "particolare" può e deve, se è condotta fino in fondo, rompere la propria separatezza, aprirsi e assumere tutte le tematiche del movimento di classe "in generale", e rinnovare profondamente l’organizzazione di lotta della classe operaia.
La lotta dei lavoratori della Zanon si è svolta in un panorama nazionale disastroso per i lavoratori, fatto di ribassi salariali, aumento della giornata di lavoro, non riconoscimento degli straordinari, riduzione degli indennizzi per i licenziamenti, aumento dei ritmi e delle ore di lavoro, ed altre forme di flessibilità omologate dal ministero del lavoro. Essa è stata, ed è, essenzialmente una lotta contro i licenziamenti e per il pagamento dei salari arretrati, a cui l’azienda ha cercato più volte di sottrarsi.
Un primo scontro tra lavoratori e azienda si è avuto nel dicembre 2000 con 9 giorni di sciopero e di manifestazioni cittadine, e si è concluso, sul momento, con una ritirata dei padroni. Nello stesso arco di tempo la massa dei lavoratori ha dato vita ad un proprio organismo sindacale (il SOECN) che si è mostrato subito consapevole del fatto che "abbiamo vinto la vertenza, ma non possiamo andare avanti cosi, non possiamo lottare da soli quando c’è un’intera regione, una provincia, un paese che crollano a pezzi...".
Non a caso la stessa vittoria nella vertenza è stata in poco tempo rimessa in questione dalla impresa, e sono serviti altri 34 giorni di sciopero per respingere un nuovo tentativo padronale di imporre ai lavoratori una maggiore flessibilità e di mettere in difficoltà il nuovo sindacato combattivo. A questo attacco i lavoratori della Zanon hanno risposto con l’indurimento e l’allargamento del fronte di lotta, creando delle "commissioni di lavoro per cercare la solidarietà del popolo neuquino", andando "nelle scuole, nelle facoltà, all’ospedale provinciale, dagli altri sindacati e perfino nei supermercati dove abbiamo raccontato i nostri problemi e abbiamo chiesto solidarietà. La buona risposta della comunità ha rafforzato lo sciopero." Tra le più mobilitate le mogli, figlie e sorelle degli operai della Zanon. Dice Graciela, una di loro:
"Ci siamo poste un obiettivo molto chiaro, e cioè che questo sciopero non poteva essere sconfitto per fame. E così è stato, grazie alla solidarietà ricevuta da impiegati pubblici, docenti, disoccupati, studenti, camionisti, lavoratori della frutta. Abbiamo potuto mangiare 34 giorni, e 350 lavoratori significano 1500 persone. Questo sciopero ha dimostrato che quando i lavoratori s’identificano con altri lavoratori, non importa se appartengono a uno o ad un altro sindacato, se sono del pubblico impiego, se sono con Moyano, o con De Genaro o del CTA etc. Questo è stato un vero esempio per la dirigenza sindacale che spesso risponde: non appartengono al nostro sindacato."
Intanto una delegazione della fabbrica si recava a Buenos Aires per cercare appoggio alla lotta e fondi per sostenere lo sciopero, ed interveniva a quattro distinte commemorazioni del 1° maggio, portando "il conflitto a livello nazionale."
Nel mese di luglio 2001, però, la Zanon ritarda il pagamento dei salari e si va nuovamente allo sciopero. Il padrone cerca di spaccare lo sciopero utilizzando lavoratori di agenzie, ma gli operai della Zanon persuadono i lavoratori delle agenzie e non lasciano passare nessuno. È in questo frangente che sia alla Zanon che in diverse altre fabbriche i delegati dei lavoratori votano la convocazione di un incontro nazionale delle organizzazioni operaie e di tutte le realtà in lotta. L’incontro è fissato per il 4 agosto 2001, e da quel momento la dirigenza del SOECN si attiva per rendere possibile l’incontro. I lavoratori della Zanon sono così parte promotrice della prima assemblea nazionale dei piqueteros e si integrano così nel movimento nazionale di lotta, diventandone una cellula vitale e molto attiva.
Ma una nuova sfida li attende: tra settembre e ottobre il padrone torna alla carica, minacciando di chiudere lo stabilimento e spegnendo uno dei forni per la produzione. Di fronte alla minaccia di chiusura, i lavoratori occupano lo stabilimento facendosi carico dell’autogestione della produzione.
"Siamo più di 400 famiglie ostaggi della Zanon. Non ci hanno pagato gli stipendi, sono loro che non vogliono produrre. Noi abbiamo una proposta per riscuotere tutti i mesi. Nessuno rimanga sulla strada e siano conservati tutti i posti di lavoro: statizzare la fabbrica, e in questo modo porla sotto il controllo dei lavoratori e al servizio della comunità. Perciò la prima misura sarà, per decisione dei lavoratori, quella di mettere in funzione la fabbrica e con la materia prima esistente produrre ceramica e piastrelle obbligando il governo a garantire la fornitura di energia e gas e anche la commercializzazione dei prodotti".
L’11 ottobre i lavoratori presentano la prima partita di ceramiche al blocco stradale di sostegno alla loro lotta. Giorni dopo il padrone fa ricorso ai giudici i quali ordinano l’immediato sgombero da parte della polizia.
"Con la giustizia (la giustizia...) e la polizia ci hanno tagliato il gas, dimostrando ancora una volta che vogliono impedire la produzione. Ma vogliono impedire anche che noi lavoratori portiamo a galla l’enorme guadagno accumulato col nostro lavoro. Col 10% di tutta la fabbrica, si producono ogni mese 85.000 mq di porcellanato. Il mq di questo prodotto vale $20, moltiplicato per 85.000 dà un totale di $1.700.000. Il totale degli stipendi di un mese supera di poco $250.000".
La nuova forte mobilitazione con picchetti, blocchi stradali, etc., cui danno sostegno anche le Madres, fa indietreggiare la stessa magistratura, che poche settimane dopo smentisce sé stessa, "punendo" l’impresa per la serrata. La lotta continua, ed è vano attendersi un ravvedimento padronale (o statale); è il caso -invece- di prepararsi a nuovi scontri insieme con tutto il proletariato argentino, ma quanta esperienza di organizzazione di classe è stata accumulata in meno di un anno!