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Non basta lottare contro questo o quell’aspetto, si deve lottare contro tutta la politica del governo, contro il governo stesso. Bisogna mandare via Berlusconi & Compagnia!
Un significativo esempio di lottaMessi dinanzi alla privatizzazione e alle sue conseguenze (licenziamenti, riduzioni di salario, precarietà) i lavoratori delle pulizie delle ferrovie hanno dato vita ad alcune giornate di lotta decisa. Non si sono fatti condizionare dal timore che si scatenasse contro di loro il disagio degli utenti, e, oltre a non far le pulizie, hanno bloccato treni e stazioni in tutto il paese. Con stupore hanno rilevato che, questa volta, buona parte degli utenti ha mostrato di ben comprendere, e talvolta condividere, le loro ragioni. Per ora hanno ottenuto la proroga di tre mesi della validità dei contratti d’appalto. È una vittoria definitiva? No. Fra tre mesi si rischia di dover ricominciare daccapo e affrontare di nuovo da soli un’azienda e un governo più preparati al nuovo scontro. Intanto, da questa lotta emergono due lezioni di valore generale per tutto il proletariato. La prima è che solo una lotta determinata può frenare l’attacco padronale; il che vale, per estensione, anche per quello governativo-padronale. La seconda è che le ragioni di difesa dei lavoratori possono essere comprese da una platea vastissima allorquando questa coglie nella lotta anche le proprie ragioni (come utente che ha interesse a maggior pulizia), e possono essere anche condivise e sostenute se si riconosce che la causa della lotta è la politica che colpisce anche la condizione di lavoro e di vita dell’"utente". Per quanto riguarda la prosecuzione la soluzione del problema è …nella forza. Deve necessariamente andare al di là della singola categoria, e può stabilmente estendersi se non si limita a una generica solidarietà, ma si fonda su vincoli di comune battaglia. Dove, dunque, potrebbero trovare una maggior tutela i lavoratori delle pulizie delle ferrovie? In una lotta che unifichi tutto il fronte dei lavoratori contro la politica delle privatizzazioni, e quindi contro il governo e contro il padronato, che tramite essa ottengono anzitutto di disperdere l’organizzazione sindacale dei lavoratori. |
Il governo Berlusconi sta sferrando un duro attacco alle condizioni dei lavoratori con molteplici obiettivi. Sul fronte pensionistico per trasformare una parte di salario in bottino della finanza e delle borse. Sul fronte del mercato del lavoro per contratti individuali che diano tutto il potere al padronato (la legge Bossi-Fini lo attua per i lavoratori immigrati, il "Libro bianco" lo prepara per gli indigeni). Sul fronte dei servizi pubblici per affidarli ai privati e smantellare le garanzie contrattuali del pubblico impiego. Per ultimo, con la riforma del fisco tende a ridistribuire ricchezza a favore dei ricchi, per diminuire le spese per servizi, scuola, assistenza sanitaria e pensioni, e aumentare quelle militari.
L’aggressione coincide punto per punto con i programmi di Confindustria e delle istituzioni nazionali (Bankitalia) e internazionali (Fmi, Ue, G8, Ocse) del capitalismo. Si colloca in perfetta linea di continuità con i governi di centro-sinistra che gli hanno spianato il terreno con misure indirizzate sulle medesime direttrici, e, soprattutto, deprimendo e disorganizzando la capacità di risposta sindacale e politica del proletariato. Non è la conclusione dell’attacco anti-proletario, ma il preludio di un’aggressione infinita, perché sconfinato è il bisogno capitalistico di cumulare montagne di profitti, inarrestabile è la corsa al rendimento più alto nel minor tempo possibile, illimitata è, dunque, la necessità di accrescere lo sfruttamento del lavoro umano.
Infatti, a coronamento dell’operazione il governo pone le deroghe all’art. 18, palese preannuncio della sua completa abolizione. Il traguardo non è di eliminare il sindacato, ma di consentire l’esistenza solo a sindacati che siano docili cinghie di trasmissione delle aziende e dello stato. Chiunque si batta per un sindacato diverso sarà licenziato senza dover provare a chicchessia alcuna "giusta causa". L’oggetto di siffatta attenzione non è solo un ipotetico sindacato antagonista, ma anche i tre grandi sindacati esistenti, che, pure, danno continue prove di fedeltà ai dogmi del mercato, al primato delle imprese e del profitto. Anche per loro suona la campana a morto. Il fedele maggiordomo riceve il più classico dei benserviti. I meriti acquisiti nel contenere e indirizzare i moti proletari verso la "pacifica coesistenza" col sistema del profitto, persino quelli più recenti per evitare al "sistema-paese" una pesante crisi grazie agli esclusivi sacrifici dei lavoratori, ottengono il risultato che meritano: non abbiamo più bisogno di voi, il terreno che ci avete preparato, aiutandoci a ristabilire sull’altare il dominio incontrastato del dio profitto, non prevede spazi per voi. Le sigle possono anche sopravvivere, ma la natura del sindacato deve mutare radicalmente, e ogni briciolo di autonomia deve scomparire.
L’attacco è pienamente politico e ha avuto una corposa premessa col contratto dei meccanici, quando i padroni hanno scelto con quali sindacati firmare il contratto per loro più conveniente, escludendo la Fiom-Cgil. Stretto all’angolo la Fiom ha dovuto reagire chiamando i lavoratori a due scioperi dall’inevitabile significato politico: chi ha scioperato, e sono stati davvero molti, l’ha fatto non per 18.000 lire in più, ma perché ha avvertito il pericolo che fosse definitivamente cancellato quel sindacato "generale" senza il quale molti lavoratori sanno che il rischio di finire preda indifesa dei padroni è fortissimo.
Dopo molte titubanze Cgil Cisl e Uil hanno indetto scioperi regionali contro i provvedimenti del governo per chiedere il ritiro delle deroghe all’art. 18 e riaprire la discussione su tutto il resto. Gli scioperi hanno avuto un buon successo. Nelle piazze c’erano in maggioranza i lavoratori coperti dalle tutele contrattuali che ancora residuano dopo anni di progressivo svuotamento (anche grazie alla concertazione dei sindacati). Questa volta, però, si sono uditi molti ragionamenti sul fatto che non basta difendere se stessi sull’art. 18, ma che lo si deve estendere a tutti i lavoratori, compresi quelli assunti nelle crescenti forme di precarietà. Diversi erano anche i giovani, sia pure in proporzione inferiore che negli scioperi della Fiom, e più d’un lavoratore confessava d’aver votato Berlusconi. Ovunque è emersa evidente da parte dei lavoratori una disponibilità a proseguire nello scontro per bloccare davvero l’attacco governativo su tutti i fronti.
D’altra parte nelle stesse settimane in varie aziende della net economy (Virgilio, Atesia, Blu) i lavoratori senza tutela sono scesi in lotta proprio per conquistarsi il diritto all’organizzazione sindacale. Una lotta unitaria per l’estensione dell’art. 18 li troverebbe sicuramente disponibili. Ma questo non è il solo terreno su cui è possibile estendere il fronte di lotta. Dissenso con le scelte del governo si manifesta su molte altre questioni, e su ognuna di esse si sono avute, negli ultimi due mesi, manifestazioni, cortei, scioperi. Dalla marcia della pace di Assisi, alla manifestazione di Rifondazione del 29 settembre, al corteo contro la guerra del 10 novembre, s’è delineata una mobilitazione che ha sempre più intrecciato la lotta contro la guerra a quella su tutte le questioni "sociali". Costante è stata, poi, la crescita d’attenzione sulla riforma della scuola della Moratti e la necessità di contrastarla con la lotta, come quella sulle sorti di una sanità consegnata sempre più ai privati e alle logiche del profitto.
Avvertiamo subito il lettore distratto che non stiamo dando l’elenco per dipingere una (falsa) Italia in pieno conflitto politico-sociale, ma solo per prendere, più modestamente, atto che il governo Berlusconi sta mettendo in pratica la sua politica contro-riformista, e ciò non avviene nel totale silenzio, ma un po’ ovunque emergono forze, non importa se limitate, disposte a mobilitarsi contro di essa. Non si tratta solo delle "solite forze" del proletariato della media-grande industria e del pubblico impiego, ma c’è un presentarsi sul campo di soggetti "non soliti". Il più significativo sono, senza dubbio, gli immigrati che con il grande corteo del 19 gennaio contro la legge Bossi-Fini hanno dato prova di totale disponibilità a far propria la lotta sull’art. 18, chiedendo esplicitamente (finora poco ascoltati…) che lo sciopero generale ci sia e metta al suo centro anche l’infame legge congegnata contro di loro. Inoltre, anche quando in campo sono i "soliti" anch’essi devono cominciare a scuotersi dal durevole torpore. Timidamente, per carità (non vogliamo vendere facili illusioni), ma in qualche caso in modo … meno timido.
Di sicuro non timida è stata la lotta dei lavoratori delle pulizie delle ferrovie, che si presta in modo magnifico (si veda il riquadro) a comprendere quanto sia importante estendere il fronte di lotta contro governo e padronato. Identica necessità scaturisce da ognuna delle singole realtà -che siano o no di massa- in lotta contro questo o quell’aspetto della politica del governo. Il terreno materiale su cui fondarla esiste già, ed è proprio il fatto che qualunque sia il settore o il problema aggredito la logica governativa è sempre la stessa: minare alle fondamenta la capacità di resistenza collettiva dei lavoratori per consegnarli senza difese alle aziende e al mercato, per rapinargli ulteriori quote del salario e stravolgere tutte le riforme conquistate con le lotte del movimento operaio (sanità, scuola, pensioni, aborto, perfino quella sui manicomi). Molti sono i lavoratori, i giovani, le donne, gli immigrati che hanno piena consapevolezza di questa necessità, che comporta una conseguenza immediata: non basta lottare contro questo o quell’aspetto della politica governativa, ma si tratta di lottare contro tutta la politica del governo, contro il governo stesso. Bisogna mandare via il governo Berlusconi. È l’unico modo per contrastarne davvero la politica, ed è l’unico modo anche per realizzare una vera, solida coalizione che possa contrastarla per davvero fino in fondo.
Più facile a dirsi che a farsi. Non c’è dubbio. Ma, qual è l’alternativa? Affrontare le questioni una a una? È la logica della Cisl, tanto per dire, la quale coerentemente ne deriva che bisogna cedere qualcosa su ogni singola questione. Il fatto è che, in questo modo, si va, ormai, dritti alla piena sconfitta, perché i cedimenti messi all’ordine del giorno riguardano la capacità di resistenza collettiva. In qualunque singolo punto si cede, si indebolisce la possibilità di reagire la prossima volta con maggior forza. Una bella scivolata verso il disastro, insomma.
Non c’è alternativa, e le difficoltà non si possono evitare, vanno affrontate di petto. La principale è che per giungere a un movimento generale di lotta contro il governo bisogna dare vita a una vera e propria campagna politica. Questo è indispensabile già per preparare lo sciopero generale, e ancor più per dare continuità allo scontro oltre di esso. Non basta una piattaforma di giuste rivendicazioni valide per tutti, non basta allertare i lavoratori sulle singole cose che rischiano di perdere, bisogna allertarli sul pericolo generale e collettivo, per l’intera classe, costituito da tutta la politica del governo.
In una discussione di massa sulla necessità di buttare giù Berlusconi verrebbero necessariamente fuori molte decisive questioni. Bisogna combattere solo i provvedimenti del governo, o tutti i presupposti (primato delle aziende, sottomissione al mercato, ecc.)? Il governo "sbaglia" in quanto "eccede" nell’attuare delle logiche inoppugnabili, o è proprio contro queste logiche che bisogna combattere, e come? Siamo dinanzi a un’escrescenza puramente italica o non si tratta, invece, dell’attuazione in un singolo paese di politiche di sfruttamento del lavoro impulsate a livello mondiale, in molti casi col ricorso a vere e proprie aggressioni militari, e che richiedono, dunque, una risposta internazionalmente collegata?
E su tutte inevitabilmente prevarrebbe la domanda: quale governo dopo Berlusconi? Questa domanda è spesso posta in modo strumentale da chi usa la "mancanza di alternativa" come scusa per preparare la lotta a compromessi al ribasso. Al di là di ciò, essa ha, comunque, una sua piena legittimità, e si intreccia strettamente con l’esperienza del ’94. Anche allora si battè il governo Berlusconi, e in sua sostituzione venne Dini, poi Prodi, D’Alema e Amato. Tutti governi che non hanno fatto gli interessi del lavoratori, ma si sono distinti dal quello di Berlusconi solo perché hanno messo in atto, in modo più moderato, le stesse politiche: sacrifici per risanare i conti nazionali, privatizzazioni, flessibilità e precarietà, indebolimento della contrattazione collettiva, partecipazione alla guerra nei Balcani, ecc.
C’è modo per evitare di ripetere quest’esperienza? Sì, c’è: non bisogna ripetere l’esperienza d’allora su un punto decisivo, quello di smobilitare le proprie forze una volta mandato a casa il governo "peggiore". Nel ’94 furono smobilitate in duplice senso: sul piano organizzativo, quando si è abbandonata la piazza, confidando che il parlamento avrebbe accolto e rappresentato le istanze dei lavoratori, e sul piano politico, quando si sono affidate le sorti dei lavoratori a forze politiche che avevano verso il mercato, il profitto, le aziende e l’economia nazionale la stessa identica sottomissione di Berlusconi.
L’errore di allora non fu di mandare a casa Berlusconi senza aver prima creato i presupposti di un governo davvero più "amico" dei lavoratori, ma proprio quello di aver considerato risolto il problema con la semplice cacciata di Berlusconi, di aver ristabilito, cioè, la "normale dialettica democratica" violata dal cavaliere, fidando nel fatto che la democrazia avrebbe dovuto, per sua "natura", realizzare un compromesso in cui gli interessi dei lavoratori non sarebbero stati calpestati. Il problema è, invece, ritornato per intero già con Dini e successori, e ritorna, ora, moltiplicato, con il nuovo governo Berlusconi. L’unica soluzione possibile sta, dunque, proprio nella forza organizzata del movimento dei lavoratori, nel non dismettere la lotta e nel non esitare a trasformarla in battaglia politica a tutto campo. Null’altro che la lotta e l’organizzazione possono dare garanzie per una reale difesa delle proprie condizioni.
L’impegno per un vero movimento di lotta contro il governo non può, dunque, prescindere dal bilancio dell’esperienza del ‘94. Essa non insegna una maggiore cautela nel proporre la propria opposizione, ma, al contrario, una maggiore determinazione nel sostenerla contro Berlusconi e contro chiunque gli succedesse. Per dargli solide e durevoli basi si deve fondare sul protagonismo diretto delle masse lavoratrici, sulla loro organizzazione sindacale e politica. Si deve, con ciò, anche fare i conti con le organizzazioni esistenti? Sì, si deve. Se ne devono denunciare tutti i cedimenti, che non sono tanto i compromessi al ribasso, quanto, anzitutto, lo sposare i dogmi del mercato perché questi sono alla base della perenne disponibilità a cedere.
Una lotta di resistenza di massa non può, quindi, fare a meno di una lotta politica a tutto campo, per contrapporre al programma "aggressivo" di Berlusconi e a quello "morbido" dei suoi attuali oppositori politici e sindacali, un programma basato sugli interessi esclusivi della classe che raccoglie l’umanità che lavora e che, tanto dal primo che dal secondo, viene solo considerata una preda da succhiare all’infinito. Un programma che raccolga gli interessi proletari, sganciandoli da ogni dipendenza da mercato, aziende, competitività nazionale, e dalle politiche imperialiste per rapinare e opprimere altri popoli. È il terreno di iniziativa a cui sono chiamati tutti i militanti che spendono le loro energie per rispondere con la lotta all’aggressione anti-operaia del governo della Casa delle Libertà.
Buttiamo giù con la lotta di piazza il governo Berlusconi! Unifichiamo un fronte di lotta tra tutti gli sfruttati, a partire dai lavoratori immigrati! Uniamo la lotta contro la sua politica anti-proletaria alla lotta contro tutto il capitale globalizzato e contro le guerre, finanziarie e militari, che conduce in tutto il mondo per accrescere la sua rapina! Battiamoci per rilanciare l’autonomia sindacale e politica del proletariato!