In un clima politico reso pesante dalle ipocrite esecrazioni dell’union sacrée antiterroristica, due riuscite manifestazioni (il 27 settembre a Napoli ed il 29 settembre a Roma) hanno contribuito, nella indubbia difficoltà intervenuta, a mantenere aperta anche nell’immediato una prospettiva di lotta e di avanzamento politico all’intero movimento antiglobalizzazione.
Gli eventi dell’11 settembre, e la successiva gestione neo-interventista verso il mondo arabo-islamico, unitamente al pronto arruolamento delle socialdemocrazie europee e delle diversificate "anime della sinistra", lasciavano presagire, almeno in tempi immediati, un larghissimo compattamento proletario e popolare verso le nuove aggressioni imperialiste in atto.
Queste manifestazioni, invece, sanciscono, anche se con tonalità difformi, la permanenza, anche qui in Occidente, ed in particolare nel caso da noi considerato - il ridotto territoriale italico - di un sommovimento di lotta, a forte caratterizzazione giovanile, che le giornate del luglio genovese già avevano evidenziato con grande nettezza.
L’appuntamento di Napoli era stato inizialmente indetto come una mobilitazione generale –la prima dopo Genova– contro il previsto vertice dei ministri della difesa della NATO.
All’ordine del giorno di tale summit doveva esserci la ratifica di alcuni accordi, tra i vari paesi costituenti l’Alleanza atlantica, in merito ai nuovi progetti di scudo stellare avanzati dalla amministrazione Bush. Un rinnovato riarmo bellico in sintonia progettuale con gli "aggiornati compiti della NATO dopo la riunione di Washington del’99 ed in previsione dei futuri ampliamenti verso Est".
Fin dalla fine del mese di agosto, quindi, appresa la notizia dell’indizione del vertice, il movimento anti-global napoletano chiamava alla mobilitazione immediata contro questo summit, e puntualmente si metteva in moto da parte degli apparati repressivi dello stato il collaudato meccanismo di criminalizzazione e di intimidazione preventiva; parimenti, però, alcuni settori istituzionali, interessati all’utilizzo strumentale della protesta, lanciavano alcuni presunti segnali di "disponibilità al dialogo" (sempre previa abiura della violenza!) al fine di depotenziare e svilire le ragioni politiche e sociali della lotta. Le pressioni dell’amministrazione cittadina e di Bassolino sui "leaders" del movimento affinché operassero una divisione tra "buoni" e "cattivi", la scelta da parte di alcune componenti moderate e neo-istituzionali di rinunciare al corteo e le "preoccupazioni" parossistiche su presunti manifestanti "indisciplinati" sono state delle vere e proprie ossessioni ed una autentica spada di Damocle sulla possibilità di dare vita ad una forte ed efficace mobilitazione contro la NATO e contro il complesso delle politiche di aggressione imperialistiche.
La stessa "scelta" di spostare il vertice dai palazzi del potere del centro di Napoli al più sicuro e periferico covo dei top-gun, l’Accademia aeronautica di Pozzuoli, se da un lato ha costituito un oggettivo punto a favore del movimento, frutto della mobilitazione sviluppatesi, dall’altro voleva essere un contentino alla componente "responsabile" dell’anti-global affinché, isolando "provocatori", irriducibili, black-bloc e quanti altri si presentassero con una decisa denuncia dei crimini dell’imperialismo, desse vita ad una "naturale e democratica espressione del dissenso", evitando di ripetere quanto accaduto a Genova ed in altre occasioni!
Lo spostamento a Bruxelles del vertice è stato l’alibi per le tendenze più moderate del movimento per declassificare la manifestazione prevista per il 27 settembre al rango di "scadenza regionale", nonostante nessuna delle fondate ragioni di contestazione e di avversità alla NATO fosse venuta meno, anzi!, il vertice serviva appunto a preparare la nuova ondata di aggressione militare a seguito degli attentati negli Usa.
Considerando tutti questi fattori, il risultato di circa 20 mila manifestanti in piazza può essere considerato più che soddisfacente, soprattutto se si aggiunge la grande partecipazione di giovani che ha caratterizzato la mobilitazione.
La presenza di migliaia di ragazze e ragazzi, in una manifestazione pomeridiana, provenienti nella loro stragrande maggioranza dai quartieri e dai paesi dell’area metropolitana napoletana, con una carica emotiva e comportamentale di grande entusiasmo, con una disponibilità all’ascolto verso la propaganda comunista e collocati fuori dagli stanchi ed autoreferenziali circuiti degli specialisti dell’anti-global sono un ottimo auspicio per una nuova stagione di protagonismo sociale che vede nella scesa in campo della gioventù il suo tratto distintivo.
La gran parte di questi giovani era inserita dietro gli striscioni del PRC, che da una parte ha investito negli ultimi tempi in un rinnovo della propria base sociale, assumendo esplicitamente un linguaggio ed una modalità organizzativa molto vicina a quella dei centri sociali, dall’altra sta beneficiando di questo rinnovato protagonismo giovanile raccogliendo soprattutto nelle sterminate periferie metropolitane e nei centri abitati lontani dalle grandi città dove difficilmente arrivano i centri sociali veri e propri. Una raccolta che prelude ad una dispersione…
La stessa impressione è stata possibile ricavarla alla manifestazione nazionale del 29 settembre, a Roma, indetta proprio dal PRC. Questo appuntamento, che negli ultimi anni era diventato un rituale limitato soprattutto al corpo stretto del partito e ad una generazione di aderenti mediamente avanti negli anni, è stato invece vivificato dall’immissione di una carica giovanile notevole che sta, per ora, transitando da quelle parti.
Se osserviamo questi passaggi della ripresa della lotta si intuisce che un consistente segmento dell’universo giovanile inizia a discutere e ad interessarsi delle possibilità (anche attraverso una prima riattivizzazione settoriale) attraverso cui tentare di cambiare questa società.
Per quanto il capitalismo possa dotarsi di sofisticate armi di persuasione e formazione del consenso, i lavoratori ed i giovani stanno iniziando a fare i conti con una realtà sempre più asfissiante ed insicura ed iniziano a ribellarsi (con ancora tante illusioni sulla possibilità di stemperare i soli aspetti più ferocemente antisociali di questo sistema) trovando nelle occasioni di piazza che si determinano un momento di espressione di questo disagio e di espressione della propria combattività.
Questo spiega l’enorme sproporzione tra la partecipazione viva ed entusiasta alle manifestazioni ed i vuoti che registriamo nelle occasioni più "tradizionali" (le riunioni, i convegni, le assemblee). In questo contesto la presenza di un ceto politico (che per molti aspetti non ha nulla da invidiare al politicantismo ufficiale) attento, quasi esclusivamente, alla pratica della mediazione istituzionale, ad un rapporto ossessivo con i media e poco propenso ad una proiezione del movimento di lotta verso l’insieme del proletariato e della società, ostacola il coinvolgimento e l’attivizzazione di molte giovani energie relegandole, di fatto, ad un compito di "tifoseria" e di partecipazione occasionale e marginale alla vita del movimento, con buona pace delle chiacchiere sulla democrazia, l’informalità e la forma-rete del movimento!
Così il già diffuso sentimento di distacco e diffidenza rispetto alla "politica" in generale esistente tra questi giovani tende a rafforzarsi ed estendersi anche alla politica e alle forze organizzate di sinistra, senza tanti distinguo. Cosicché prevale ancora l’atteggiamento di "delega" e di disinteresse per quanto viene stabilito e pontificato nelle assisi e nei forum ufficiali del movimento, poiché si dà il massimo di valenza alla possibilità di manifestare, e non a caso spesso nelle manifestazioni si va ben al di là delle indicazioni di chi organizza le mobilitazioni.
Tale equivoco consente ai vari centri sociali e alla stessa Rifondazione di ergersi a rappresentanti ufficiali di questo movimento che in realtà va molto al di la di quanto materialmente essi riescono ad organizzare in forma stabile e continuativa.
Sarebbe una semplificazione, però, ritenere che tale legame alquanto instabile e fluido contenga l’immediata possibilità di superare tali contenitori tanto sul piano della forme organizzative, quanto su quello dei contenuti e degli obiettivi da perseguire.
Altro discorso è quello di valutare se e per quanto tempo tali contenitori potranno trattenere a lungo la spinta di cui sono portatrici le nuove leve giovanili, anche se esse si esprimono ancora entro un orizzonte moderato e di prospettiva riformista. La loro scesa in campo in prima persona, lo scontro con l’avversario di classe e con i suoi apparati di potere, la verifica dell’impossibilità di ottenere miglioramenti consistenti alla propria condizione e prospettiva di vita, sono tutti fattori che agiranno nella direzione di una maggiore radicalizzazione, e della ricerca di una risposta realmente antagonista al sistema sociale capitalistico.
La maggior parte dei centri sociali ed il PRC, nonostante il nuovo afflusso di linfa vitale, non potranno però modificare il proprio impianto teorico programmatico, anzi, come hanno dimostrato tanto la vicenda di Genova quanto gli attentati negli Usa, avranno sempre meno spazio per barcamenarsi su posizioni ambigue e saranno costretti a schierarsi apertamente, esplicitando sempre più la loro natura non antagonista rispetto ai valori fondanti di questo sistema sociale.
Si pone quindi la necessità, da parte dei militanti e dei compagni che intendono lavorare all’estensione, al radicamento sociale del movimento, ma anche alla sua progressiva conquista di indipendenza politica dall’ideologia e dalla politica borghese, di saper cogliere tali potenzialità e di svolgere realmente quel ruolo di avanguardie politiche della lotta per il comunismo cui aspirano.
La comprensione delle ragioni di diffidenza rispetto alla politica non possono certo portare ad assecondare questa spinta, ma devono indurre a tenerne conto per contrastarla nei modi appropriati, a cominciare dal rafforzamento di una tendenza politica organizzata che sia in grado di rappresentare, tanto nei contenuti quanto nelle forme, un diverso tipo di politica, sì da raccogliere le sane aspirazioni di vera partecipazione e di vero protagonismo contenute nell’atteggiamento di rifiuto attuale.
L’involuzione accelerata in senso moderato dei rappresentanti ufficiali del movimento non può giustificare una posizione di indifferenza o di disprezzo verso il movimento in quanto tale, né può legittimare un atteggiamento illusoriamente attendista, secondo cui il progressivo smascherarsi degli attuali leaders del movimento porterà automaticamente e spontaneamente la sua massa su posizioni rivoluzionarie.
Per quanto possa essere difficile e spesso estenuante, la battaglia va data dall’interno del movimento contestando e contrastando palmo a palmo le posizioni riformiste, comprendendo che tale battaglia non si esaurisce nel presentare la necessità di un’alternativa radicale al capitalismo, ma richiede la capacità di farla vivere ed emergere dalle proposte e dalle indicazioni politiche che si prospettano di fronte ai diversi passaggi che il movimento si trova ad affrontare. È un compito non agevole e anche scivoloso, ma per i comunisti la possibilità di uscire da una condizione di perenne minoritarismo dipende, oltre che dal modificarsi delle famose condizioni oggettive, anche dalla capacità di assolvere davvero un tale compito. Nessuno garantisce che ciò possa già oggi portare a scalzare l’influenza delle posizioni del riformismo, ma di sicuro è l’unica strada per dare autorevolezza alle posizioni dei comunisti, e per costruire, nel vivo di una battaglia, una tendenza politica temprata ad affrontare il ruolo di dirigente politico del proletariato rivoluzionario cui ritiene legittimamente di poter aspirare.