"Ancora in fasce, il cosiddetto movimento anti-mondializzazione è già posto, dal capitale globale, dai grandi poteri imperialisti oggetto della sua contestazione, dinanzi a scelte che non potranno non scomporlo, a scelte che gli impongono, pena la sua stessa scomparsa, di assumere fino in fondo e con coerenza i compiti politici che la dichiarazione di lotta al capitalismo globalizzato comporta": così commentavamo sull'ultimo numero del Che fare, le iniziative di incontro e di lotta di Porto Alegre e di Zurigo ( con piccola appendice a Davos), e ci sembra che un simile commento calzi a pennello anche sulla situazione attuale del movimento nelle settimane che precedono Genova.
Esso, infatti, deve confrontarsi con un pressing sempre più intenso dei grandi poteri costituiti a causa del dispiegamento tanto della macchina repressiva del capitale quanto della sua macchina propagandistica. Per più di un verso le dimostrazioni di Seattle presero di sorpresa i boss del G-8. sia per la loro ampiezza, sia per la loro composizione (tanti lavoratori sindacalizzati. tanti giovani, e tante diverse nazionalità accomunati nella lotta). sia per il carattere radicale delle denunce "anti-capitaliste.
Naturalmente, il riflesso condizionato scattò egualmente "in automatico", per dir così, con centinaia di arresti e botte da orbi rifilate ai manifestanti, da un lato- e dall'altro, con una falsa profferta di "dialogo" alla parte "ragionevole" e "pacifica" di essi su un tema in tutto e per tutto predefinito (e insolubile): come dare un volto umano alla mondializzazione del capitale.
Si arriva a Genova con questo stesso copione, ma un'assai più studiata e preventiva preparazione. I "grandi signori" del profitto e della guerra, guidati dall'imperialismo gangster per eccellenza rappresentato dall'amministrazione Bush, non vogliono altre brutte sorprese. E così, per intanto, grazie al governo Amato che anche in questo campo ha saputo far bene il suo mestiere per il suo "datore di lavoro" (lo stesso che da qualche giorno ha cambiato di spalla al suo fucile con 1' investitura al cav. Berlusconi), tra servizi segreti, esercito, marina, aviazione, finanza, polizia e carabinieri, per tacere delle polizie private e di quegli autentici questurini volontari in borghese che sono tanti cronisti "indipendenti", è già in campo da tempo una mobilitazione terroristica degli apparati di controllo, di vigilanza e di violenza al servizio del capitale che non ha pari almeno negli anni più recenti, qui "da noi".
Finalità prima: scoraggiare al rasassimo grado la partecipazione di massa di quei proletari e di quei giovani "comuni", che sentono una crescente, ma per ora tiepida, simpatia per le "proteste" del "popolo di Seattle", e ancora sono incerti se aderirvi attivamente o no. "State a casa, a Genova ci sarà battaglia", è questo che le democrazie faro mondiale della libertà (di sfruttamento e di rapina del capitale) mandano a dire a loro; lo stesso identico messaggio che fu dato con i fatti, e che fatti, ai dimostranti di Napoli. di Praga e di Davos. Seconda finalità: imporre la scissione nella massa del "movimento" tra la parte di esso che tuttora nutre il massimo delle illusioni nelle istituzioni capitalistiche e la sua componente più combattiva. Terza finalità: spingere, quasi costringere a viva forza, questa componente del movimento a scontrarsi con le forze dell'ordine, cioè con le forze che difendono il disordine capitalistico mondiale, nelle condizioni più sfavorevoli e perdenti.
Su queste basi si ribadisce di nuovo la possibilità di un "dialogo" tra la cupola dell'imperialismo e la parte "buona" del movimento. Il suo oggetto lo ha ben chiarito, tra gli altri, A. Ronchey in un editoriale comparso sul Corriere della sera del 4 giugno. A voi, si dice, ai rappresentanti delle "tendenze moderate" . riconosciamo senz'altro il diritto a manifestare (evidentemente precluso ai non moderati, cioè alle forze realmente anti-capitalistiche). Però quanto ai contenuti da portare in dette manifestazioni, sappiate che "la globalizzazione è un tutto" (il che è vero), il tutto, cioè, del capitale mondiale: che non si può "condannare tutto", ma al contrario che se ne può parlare solo a partire dal chiaro apprezzamento di questo tutto come di un processo positivo: che solo e soltanto le "singole degenerazioni del sistema" possono essere oggetto di discussione. Tra queste degenerazioni, però, voi non dovete permettervi di inserire i G-8 e le loro politiche (cioè esattamente il bersaglio del movimento), poiché quelli che taluni presentano come poteri oligarchici "derivano invece la loro autorità da elezioni a suffragio universale". Tra queste degenerazioni non potete inoltre assolutamente includere il rapporto Nord-Sud, Occidente-continenti di colore sbranati dall'Occidente stesso. sia perché si è nella "oggettiva impossibilità di colmare a breve o medio termine il divario tra differenti stadi dello sviluppo economico e sociale", sia perché l'Occidente più di quello che sta facendo per aiutare questi continenti arretrati, e l'Africa in specie, non è in grado di fare. Sappiate, in sintesi, che apriamo un "dialogo" con voi esclusivamente per acquisire il vostro pieno consenso al rafforzamento e alla legittimazione dei grandi poteri capitalistici, del sistema capitalistico nel suo insieme, e per ottenere la vostra collaborazione ad isolare e bastonare i vostri "gruppi oltranzisti". Cosa sia l'oltranzismo risulta ben chiaro: è la critica, teorica e pratica, del capitalismo in quanto "tutto", è l"anti-capitalismo, è il comunismo. Dunque, questa profferta di "dialogo" non fa che completare l'intimidazione fisica verso il movimento e verso la classe, con l'intimidazione ideale, e ribadire -nessuna sorpresa per noi- il reale contenuto della "società aperta" e delle sue istituzioni: la chiusura, la blindatura più completa nei confronti dei bisogni emancipativi degli sfruttati.
Noi respingiamo, e invitiamo a respingere con decisione, questa doppia intimidazione dei G-8. E rivolgiamo questo invito non solo alle componenti più vive del movimento "anti-globalizzazione", alcune delle quali, come la variegata galassia anarchica e la Marcia mondiale delle donne, già stanno iniziando positivamente ad "occupare ' il campo, ma a tutto quanto il proletariato. li primo compito da assolvere, infatti, è quello di spezzare l'accerchiamento e la criminalizzazione delle manifestazioni di Genova con cui si sta cercando di impedire che cresca, tra i lavoratori anzitutto. la voglia e la decisione di prendervi parte attivamente. Non ci tranquillizzano affatto. in proposito, le assicurazioni dei vani Cremaschi&C circa l'adesione del sindacato, perché sappiamo bene per esperienza quanto sia nullo, anzi contro-producente, il loro apporto nell'organizzare e nel motivare con ragioni di classe la scesa in campo degli operai e dei proletari. C'è un contratto dei metalmeccanici bloccato; ci sono altre vertenze sospese; c'è una Confindustria che preme perché partano senza indugi nuovi attacchi al proletariato sul versante della libertà di licenziare e dei tagli alle pensioni; c'è, o è una nostra illusione ottica?, un nuovo governo Berlusconi al potere che non ci risulta, nonostante abbia un presidente "operaio", avere le migliori intenzioni verso chi vive del proprio lavoro e non succhiando il sangue altrui; e tutto ciò, per non parlare d'altro (tanto per dire: la politica restrittiva e repressiva nei confronti degli immigrati in attesa di permesso di soggiorno), è soltanto il capitoletto italiano di una politica internazionale di aggressione alla classe lavoratrice che ha proprio nei massimi stati del capitalismo mondiale consorziati nel G-8 il suo supremo guardiano politico-militare. Quale "occasione" migliore di quella di Genova per far risentire la voce, così afona negli ultimi anni, del proletariato italiano unita a quella delle rappresentanze dei proletari francesi, greci, etc. che già da tempo stanno preparandosi a ciò? È esattamente in questa direzione che bisogna lavorare con energia e metodo.
E lo stesso dicasi per una nuova leva di giovani che sta appena iniziando il suo cammino di lotta, e esita a tirare fuori la testa dal sacco della propria inerziale apatia. Ci è stato chiesto da alcuni di essi: come si fa a venire a Genova se già si sa che va a finire come a Napoli, o come a Göteborg? La nostra risposta è stata che, nonostante tutto, non è affatto detto in partenza "come finirà" a Genova. Molto, moltissimo, dipende proprio dal se avverrà o meno un coinvolgimento ampio delle masse lavoratrici e giovanili, e dalla convinzione che queste metteranno nell'aderire (o nel sostenere anche senza aderirvi fisicamente) alla lotta contro i G-8. Un forte schieramento dei nostri contingenti (poiché anche noi anti-capitalisti abbiamo un potenziale esercito cui attingere, e che esercito!, in quantità e qualità) che sappia opporre una adeguata forza organizzata alla forza organizzata del capitale, può essere in grado, e non sarebbe la prima volta, di far fallire il disegno complessivo dei nostri nemici di classe. Si può, si deve puntare a questo risultato con la più ampia socializzazione (che non può essere assolutamente data per scontata) delle ragioni forti della lotta del "popolo di Seattle", della nostra lotta, contro il capitale globale.
Ma perché questo avvenga, è necessario spezzare non solo i tanti divieti e le tante limitazioni a raggiungere Genova, bisogna spezzare anche il divieto di critica al "tutto capitalistico". In tanto, infatti, il movimento "anti-globalizzazione" potrà fare in questo scontro, poiché comunque di un aperto conflitto si tratta, un passo in avanti invece che due indietro, in quanto saprà meglio chiarire a sé stesso, nel vivo della lotta che si appresta a dare, le cruciali questioni della strategia e della tattica che gli stanno davanti, ben inclusa la questione decisiva della prospettiva, dell'obiettivo finale e unitario per cui ci battiamo: la questione della forma sociale alternativa al capitalismo, il comunismo, e della forza sociale, l'intero universo degli sfruttati (è questo il proletariato), chiamata a realizzarla. Sì, se non vogliamo ridurci a elemosinare piccoli ritocchi cosmetici alle brutture della società di mercato che lascino tutto come prima (fame, miseria psichica, sfruttamento di classe, di razza, di sesso, guerre reazionarie, devastazione dell'ambiente, etc.); se non vogliamo esser di continuo sbeffeggiati dai nostri nemici di classe perché si è solo capaci di gridare contro, ma non si ha nulla di organico da contrapporre al così "ben", a loro dire, strutturato capitalismo; non si possono evitare né aggirare i temi di fondo della lotta al capitalismo in quanto sistema.
È esattamente quanto sono impegnati a fare tutti coloro che, invece, già si sono lasciati dettare dai grandi dittatori (e dettatori) del capitalismo imperialista i terni del "confronto". che non sono affatto da dove passare, se nella zona rossa, in quella blu o quant'altro, come ci si vorrebbe far credere; sono innanzitutto quali tematiche debbono assolutamente essere evitate. quali prospettive debbono essere preventivamente messe al bando. La presa di distanze dai "contestatori violenti" operata dai vari Bertinotti e C. non è che una foglia di fico per prendere le distanze da ogni forma di critica radicale al capitalismo. E lo spettacolo è tanto più riprovevole quanto più lo si fa davanti ai grandi signori mondiali della guerra e della violenza, con i cui scagnozzi si va volentieri a "parlamentare" sulla sostanza (di cui la forma è parte) perché ci si parlamenta da sempre.
Una mondializzazione equa, responsabile e sostenibile; una mondializzazione che salvaguardi gli stati nazionali e le autonomie locali; una mondializzazione che riconosca democraticamente i diritti di tutti "i cittadini dell'impero": queste le utopie reazionarie con cui frotte di professionisti della "contrattazione" con l'imperialismo, in grande maggioranza, e non a caso, di razza bianca, cercano di sviare e svuotare la lotta che ha preso avvio simbolicamente con Seattle, ma i cui capitoli più recenti sono stati scritti dagli operai coreani, dai sem terra brasiliani e africani, dai magnifici rivoltosi palestinesi, dai minatori rumeni, dalle donne della Marcia 2000, dai sans papiers europei, e quelli più risalenti nel tempo arrivano fino alle "glorie" passate, ma sempre presenti, dell'Ottobre e della Comune. C'è una molteplicità, ancora dispersa, di spinte alla ripresa internazionale del movimento di classe (e del partito di classe) che chiedono in tante lingue e tante forme di essere messe in comunicazione, avvicinate, collegate, raccordate, fuse in un solo blocco di classe antagonistico al capitalismo mondializzato. Ad esse s'addice, crediamo, la consegna di battaglia che abbiamo fatta nostra per Genova, prima di Genova e oltre Genova: contro il capitalismo globalizzato, globalizziamo la lotta e l'organizzazione di classe per il comunismo!