Nel corso dei primi mesi dell’anno due emergenze economico-finanziarie sono venute esplodendo, a febbraio la crisi turca e subito a seguire, marciando quasi di conserva, quella argentina. Le spire della globalizzazione capitalistica fanno sì che una falla aperta nel sistema debba essere prontamente tappata perché un’altra non si apra, magari al capo opposto del pianeta e, soprattutto, questo non porti l’intera piratesca galera capitalista mondiale, dalle stive degli schiavi ai remi fino alle tolde di comando situate nelle Borse occidentali, alla caduta negli abissi con tutti i suoi scrigni gonfi di tesori veri e virtuali. Nella specie: Turchia e Argentina sono qualificati, in quella sorta di neolingua usata dalla "comunità finanziaria" -alias la "comunità" di belve-pirati degli imperialisti occidentali- come "paesi emergenti", paesi cioè che hanno subìto l’assalto dei pirati di cui sopra e ne sono razziati. Attraverso le manovre cosiddette di "aiuto" e di "riforme strutturali" il capitalismo occidentale si è impossessato di larga parte della struttura produttiva così come del frutto vivo del lavoro salariato di questi paesi messo vieppiù sotto torchio. Negli anni ’80 e ’90 una massa enorme di capitali si è riversata dunque verso "i paesi emergenti" e da lì ne è ritornata vivificata e valorizzata. È stata la grande tavolata per le belve-pirata: azioni, obbligazioni e altri sempre più sofisticati strumenti di investimento impegnati verso "gli emergenti" ripagavano i possessori di percentuali 3, 4, 5 e passa volte superiori ai guadagni e ai tassi correnti, né sono mancate ossa spolpate e briciolame vario da gettare in pasto al proletariato occidentale.
Solo la Turchia nell’ultimo decennio è stata gratificata di ben 18 "manovre di sostegno" da parte delle istituzioni finanziarie internazionali, l’Argentina da parte sua aveva appena sottoscritto con il Fmi nel dicembre 2000 un nuovo prestito da 40 miliardi di dollari.
Cos’è avvenuto dunque nel febbraio-marzo da mandare in fibrillazione la "comunità finanziaria" e tutti i collegati apparati del dominio imperialista? È avvenuto che gli interessi dei debiti in scadenza, alcune decine di miliardi dollari, rischiavano di non essere onorati da parte dei due paesi debitori, si è corso cioè il rischio di dichiararne l’insolvenza. Una tale evenienza significherebbe che un’enorme massa di titoli di stato, azioni, obbligazioni rappresentanti il debito di quei paesi e detenuti nei "portafogli" dei creditori -banche, stati, varie istituzioni finanziarie occidentali e anche, importante rilevarlo, privati investitori sia direttamente che indirettamente attraverso i Fondi Comuni- si trasformerebbe in una piramide di carta priva di valore. Il coupon di una obbligazione argentina, per esempio, al cui detentore sono riconosciute cedole con interessi dal 10% in su -un vero affarone che ha gonfiato molti portafogli in questi anni!- sarebbe semplicemente un pezzo di carta straccia.
Del tutto evidente quindi come queste emergenze possano essere l’innesco detonante per far saltare in aria l’intera struttura finanziaria mondiale e con essa l’intero ordine mondiale capitalistico. Si tratta perciò giocoforza, da parte della "comunità finanziaria", di continuare a tenere in vita il debitore con ulteriori iniezioni di capitale ipotecandone da un lato tutte le proprietà e dall’altro succhiando il sangue il più possibile, e finché possibile, alle rispettive classi lavoratrici. Così, ad esempio, nella Turchia in cui il Fmi fa affluire gli ennesimi miliardi di dollari e di euro a scongiurare la bancarotta dello stato, le classi lavoratrici sono messe sotto inaudita pressione con pesanti aumenti dei prezzi dei beni di prima necessità, svalutazione della moneta, licenziamenti di massa (negli ultimi sei mesi 8000 aziende hanno chiuso i battenti e 150.000 operai sono rimasti senza lavoro).
Se le manovre di disinnesco messe in opera dagli stati occidentali non tanto per "salvare" la Turchia e l’Argentina quanto per salvare il proprio stesso capitale, il proprio dominio imperialista, testimoniano di margini ancora disponibili alla bisogna, è del pari certo che la riuscita di tali manovre, ovvero il rinvio della prossima emergenza, solleva negli stessi esecutori sempre maggiori dubbi e vi insinua un sottile, per il momento, tormento: fino a quando si potrà tirare la corda senza che si spezzi verso gli stati debitori e verso le loro masse lavoratrici schiavizzate?
Il caso argentino è emblematico della sempre maggior difficoltà da parte delle strutture imperialiste a far quadrare i conti, e le stesse belve-pirata devono rilevarlo: "L’economista americano Rudi Dornbusch, poche settimane fa, ha ricordato quanto sia difficile trovare una via di uscita per un paese che ha già privatizzato interi settori dell’economia e al tempo stesso contenuto, da molti anni a questa parte, la spesa pubblica statale." (Il Sole/24 Ore, 14.3.01).
Vediamo allora come si sta svolgendo la complessa manovra di disinnesco tuttora in corso e il cui esito è nient’affatto scontato nel paese latinoamericano che già aveva decretato il taglio del 12% degli stipendi dei dipendenti pubblici a fronte del prestito Fmi nel dicembre scorso.
A metà marzo, una volta cambiato in fretta e furia il ministro dell’economia, il governo vara una manovra d’austerità (ancora??!! Ebbene sì. Non pretendete dal capitale pure la fantasia!): tagli alle pensioni, all’istruzione pubblica, aumenti del combustibile, "riforma dello stato" cioè minaccia di un ulteriore ridimensionamento del numero dei dipendenti pubblici. Il tutto assicurando di continuare a mantenere la parità 1:1 fra il peso e il dollaro introdotta nel ’91 -fatto fondamentale del "miracolo" argentino anni ’90 (miracolo per il capitale imperialista, disastrosa rovina per le masse lavoratrici)- quale basilare garanzia per gli investitori occidentali. Di sfuggita, ma non troppo data la cospicua posta in gioco per i nostri "investitori" (1), annotiamo che in questo delicatissimo frangente il governo italiano "si impegna a sostenere il piano di risanamento economico e finanziario" (Il Sole, 17.3.01. Quiz: il governo "cattivo" della destra farebbe qualcosa di diverso?); ma mentre il piano "attende la verifica dei mercati" in un’atmosfera negli "ambienti finanziari" così descritta dal giornale della Confindustria: "Aspettare è snervante, soprattutto quando la tensione è alle stelle", esso impatta con una adeguata risposta di massa da parte del proletariato argentino. 36 ore di sciopero generale combattivo (il secondo in pochi mesi!) mandano a dire al governo e a chi ne tira più in alto le fila, ai cosiddetti "mercati", che debbono cambiare strada. Ben tre ministri, fra cui quello dell’interno!, danno le dimissioni: una parte della borghesia argentina evidentemente giudica troppo difficile e pericolosa la gestione di questa ulteriore ed ennesima stangata alle masse. Nervosismo e tensione si impadroniscono dei mercati mentre corrono voci di incontri fra uomini delle forze armate (una sinistra presenza per il momento apparentemente all’ombra) e alcuni leaders sindacali.
Ma certo Wall Street, la City, Piazza Affari non possono permettersi di perdere tempo -il tempo è denaro! Proprio vero- né tollerare la pavidità e l’impotenza della borghesia stracciona argentina, e tanto meno che i proletari si permettano di rigettare i sacri dettami "dei mercati". Ed è così che catapultano nello scenario politico del paese un loro uomo di stretta e più che provata fiducia, tale Domingo Cavallo, già gestore-protagonista del "miracolo argentino" anni ’90 e che in seguito ha "curato" per conto del Fmi le manovre finanziarie in Ecuador e Russia, il quale riceve l’investitura a una sorta di superministero dotato di poteri speciali, ovvero legiferare per decreto eludendo quando necessario gli impicci parlamentari. Non solo, un tale superministro "viene dotato" del più largo appoggio politico, si crea cioè -o meglio: si impone- un governo di unità nazionale fra opposizione peronista e maggioranza di "centrosinistra" per dirla all’italiana. (Si noti che anche per l’emergenza in Turchia vi è stato insediato e dotato di poteri speciali un uomo di stretta fiducia della finanza imperialista: Kemal Dervis, ex vicepresidente della Banca Mondiale!)
Guarda caso nell’immediato periodo a seguire la nuova investitura politica, quel governo "di tutti" di salvezza nazionale, ovvero il governo delle Borse occidentali votato alla loro salvezza, partono dei siluri o meglio degli avvertimenti mafiosi verso i settori politici recalcitranti all’unità nazionale in nome della difesa di nicchie di potere e "feudi" particolari. Ecco che allora l’ex presidente Menem viene tirato in ballo come presunto responsabile di "una associazione a delinquere" in relazione a forniture illegali di armi, 6500 tonnellate, a Croazia ed Ecuador (Il Sole, 25.4.01).
Per davvero l’impudenza delle belve-pirata non ha limiti: fan scoprire a comando "commerci illegali" da loro stessi diretti a favore, nel caso croato, di loro creature, mettono sulla graticola i loro stessi servi, si fanno beffe di quei principi democratici di cui sono depositari -massima colpa per chi crede "alla democrazia", non certo per noi- facendo e disfacendo governi, mettendo e togliendo uomini che tutto sono meno che "eletti dal popolo". E in effetti non già ai loro popoli devono rispondere bensì "ai mercati"…
La farsesca commedia messa in scena dai figuranti politici argentini viene efficacemente così descritta e ridicolizzata da chi ne detta il copione: "Un presidente della Repubblica nomina un nuovo ministro dell’Economia e dopo due settimane lo mette nelle condizioni di andarsene. Poi chiama un suo avversario politico, Cavallo, e gli dà carta bianca, affidando a lui le speranze di riscatto. Tutto ciò dopo che una missione del Fmi, principale finanziatore, aveva appena offerto il suo avallo al piano di risanamento proposto dal ministro silurato. Un teatrino che, senza dubbio, offre spunti di ilarità se non fosse per la recessione che attanaglia l’Argentina da oltre 33 mesi" (Il Sole, 21.3.01), e se non fosse, aggiungiamo noi, perché vi sono in ballo una sacco di "nostri quattrini" da salvaguardare col sudore e col sangue del proletariato argentino.
Il nuovo "piano di salvezza" varato dal plenipotenziario Cavallo riprende nella sostanza i temi bocciati precedentemente in piazza dal proletariato argentino (colpi al welfare, al potere d’acquisto dei salari…) ma vi introduce delle variazioni "stataliste" ovvero un promesso blocco dei licenziamenti, una serie di misure per difendere e rilanciare la produzione nazionale quali l’introduzione di dazi doganali per l’import, sovvenzioni all’industria automobilistica (un grazie dalla Fiat!), misure che peraltro non mancano di sollevare contrasti non di poco conto col Brasile, principale partner commerciale. Decisivo è comunque l’impegno in ulteriori prestiti garantiti dalla "comunità finanziaria" e soprattutto la messa in opera da parte di quest’ultima di una complicatissima e gigantesca "ristrutturazione del debito argentino". Si tratta di posticipare le scadenze prossime del debito, rimandarle nel tempo fino a dieci e passa anni, e sono molti gli "investitori" occidentali, italiani compresi, a seguire con estrema apprensione ed estremo dubbio la vicenda della riqualificazione dei loro titoli di credito.
Una volta messa alle strette, toccata cioè dalla minaccia di veder evaporare i suoi tesori di carta e con ciò una delle fondamenta del suo dominio, la "comunità" delle belve-pirata arriva a vedere e finalmente a dichiarare quella che dovrebbe essere la sua risoluzione vera dell’"emergenza". Sentite: "La questione centrale in Argentina è l’insolvenza del governo. La risposta non è solo la ristrutturazione del debito estero e del debito pubblico in generale. Con essa deve venire una formidabile riforma fiscale, compreso quella dei rapporti fra il centro e le province. È sbagliato cercare un po’ di soldi a Washington o in Europa per scamparla d’un soffio un’altra volta. È venuta l’ora che la crisi faccia il suo corso e di mettere in atto tutti gli aggiustamenti necessari. Non c’è dubbio che un taglio dei salari del 30% fa parte del pacchetto." (Il Sole, 3.5.01)
Cosa sono questi intenti, necessari al capitale occidentale, se non la richiesta di una dichiarazione di guerra di classe aperta contro il proletariato argentino? La loro messa in pratica, necessaria al capitale occidentale, implicherebbe il passaggio all’uso della sciabola contro le masse lavoratrici nelle strade e nelle piazze.
È in grado l’attuale compagine politica argentina di gestire un’incombenza di tale portata? Noi non lo crediamo, non ci stupirebbe anzi se dal seno della borghesia stracciona argentina uscisse una qualche fasulla "terza via" in difesa di "patria y dignitad" calpestate "dallo straniero". Del resto sono stati addirittura gli stessi generali/macellai degli anni ’70 a tentar di darsi una patina "antimperialista" al tempo della guerra per le Malvinas…
Quello che però a noi concerne è seguire il percorso di lotta e di organizzazione autonoma del proletariato argentino che è già iniziato e che si fa strada di fronte alle compagini politiche ufficiali della borghesia corrotte quanto screditate. Le masse oppresse argentine che già oggi riconoscono nel Fmi e nella "comunità finanziaria" il vero padrone e nemico da combattere devono poter trovare in Italia e in Occidente non solo famelici creditori, ma fratelli di classe e compagni della propria lotta. La nostra stessa lotta!
Note
(1) Il debito estero argentino ammonta a circa 125 miliardi di dollari. 10 sono i miliardi di dollari in obbligazioni argentine collocate in Italia "e il dato non tiene conto degli investitori istituzionali italiani", secondo Bloomberg Investimenti del 5.5.2001, che continua: "Uno su tre l’ha messo in portafoglio. Il bond argentino ha contagiato i risparmi degli italiani che direttamente o indirettamente attraverso le varie forme del risparmio gestito hanno finanziato l’indebitamento del paese latino-americano".