Secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms),
stime che più d’uno considera esagerate, alla fine del 1999 vi erano nel
mondo circa 33,6 milioni di persone colpite dal virus Hiv. Più del 95% di
queste è residente nei paesi in via di sviluppo e circa il 70% è concentrato
nell’Africa sub-sahariana. In Sud Africa, sempre secondo tali stime, circa il
10% della popolazione (oltre 4 milioni di persone) risulta sieropositivo, mentre
in paesi vicini come il Botswana, il Lesotho, la Namibia e lo Zambia la
percentuale sembrerebbe ancora più drammaticamente elevata.
E’ in un simile contesto che ad aprile di quest’anno si è concluso a Pretoria il processo intentato da un consorzio di 39 multinazionali farmaceutiche ("Big Pharma") contro il "Medicine Act" del governo del Sud Africa. Questa legge, emanata da Mandela nel ’97, permetterebbe la registrazione forzata e l’importazione parallela dei costosissimi farmaci atti a contrastare l’Aids. La produzione (o registrazione) forzata è una modalità attraverso la quale i governi possono, in una situazione d’emergenza, autorizzare l’industria nazionale alla produzione di dati farmaci senza pagarne i più che esosi diritti alla società che ne detiene il brevetto. L’importazione parallela, invece, garantirebbe ai governi, sempre in caso di emergenza, di acquistare il farmaco da un paese terzo che lo vende ad un prezzo decisamente più basso.
Il processo si è concluso col ritiro da parte delle multinazionali dell’istanza contro il governo di Pretoria.
All’indomani della positiva conclusione del processo, un militante sudafricano del movimento contro le multinazionali farmaceutiche ha detto: "Questo che abbiamo vinto è solo il primo round. Per assicurare realmente l’accesso alle cure per i milioni di ammalati di Aids dell’Africa è necessario continuare la lotta perché Big Pharma farà di tutto per impedire l’attuazione del Medicine Act e per tutelare i suoi profitti". Quanto tutto ciò sia estremamente vero lo dimostra tra l’altro il fatto che benché strumenti "emergenziali" quali la registrazione forzata o l’importazione parallela siano previsti dalle carte del Wto (l’organizzazione mondiale del commercio), il Medicine Act dal ’97 non è mai stato messo in atto a causa delle continue e pesanti minacce di ritorsioni economiche e di sanzioni commerciali operate dagli Stati Uniti contro il Sud Africa (1).
Ciò che ha indotto Big Pharma a compiere un passo indietro non è stata un’improvvisa ventata di filantropia, ma le mobilitazioni di piazza che hanno accompagnato le udienze ("Big Pharma assassina della povera gente" recitavano i cartelli dei manifestanti), il diffondersi di un crescente malumore tra le masse ed i paesi di tutta l’Africa australe, il pericolo che tale malumore potesse iniziare a contagiare anche strati di opinione pubblica occidentale e il parallelo affacciarsi sul mercato internazionale della farmaceutica di nazioni terze (quali l’India o il Brasile) che con farmaci equivalenti e di assai minor costo potrebbero, anche sfruttando un clima sfavorevole alle multinazionali occidentali, intaccarne lembi di monopolio.
I trattamenti antiretrovirali messi a punto da multinazionali quali l’inglese GlaxoSmithKline, la tedesca Boehringer Ingelheim, le statunitensi Bristol-Meyers Squib e Merck & Co, la svizzera Roche ed altre, costano dai 10 ai 15 mila dollari l’anno a fronte di una spesa sanitaria che nei paesi dell’Africa sub-sahariana a stento raggiunge i 37 dollari pro capite annui (in Occidente tale spesa si aggira mediamente sui duemila dollari e negli Usa tocca i quattromila). E’ evidente che, date tali condizioni, le cure che in Europa e Stati Uniti stanno avendo alcuni effetti positivi sui malati di Aids (senza tuttavia mai produrre una vera e propria guarigione), risultano essere assolutamente inaccessibili per milioni di esseri umani anche quando le case farmaceutiche applicano transitorie (e per lo più solo teoriche) riduzioni di prezzo del 90%. Così in realtà tali sconti finiscono solo per rappresentare degli utili strumenti propagandistici a buon mercato di fronte all’opinione pubblica mondiale.
I "piani di aggiustamento strutturale" amorevolmente imposti in questo ventennio dal Fmi e dalla Banca Mondiale in tutto il Sud del mondo - e nell’Africa australe in particolare – hanno letteralmente devastato la gran parte di quel pochissimo che nel campo dell’assistenza sanitaria i paesi di queste aree avevano raggiunto, rendendo la regione sub-sahariana un terreno fertilissimo per le più schifose sperimentazioni farmaceutiche di massa su cavie umane, testando prodotti (con spesso micidiali effetti collaterali) che poi, se funzionanti, non saranno mai a disposizione dei popoli della regione.
Nel luglio 2000 a Durban in Sud Africa durante la conferenza mondiale sull’Aids, il presidente sud-africano Mbeki ha tenuto un discorso che è stato accolto con estrema ostilità e "sconcerto" dai massimi rappresentanti della "comunità" medico-scientifica internazionale. A scandalizzare questi luminari al servizio delle multinazionali non sono state tanto le presunte teorie poco ortodosse su cause e cure dell’Aids abbracciate da Mbeki, quanto il fatto che nel suo discorso a finire sul banco degli imputati sia stato, sia pur implicitamente, l’imperialismo e la sua globale opera di rapina e spoliazione di interi continenti. "E’ la povertà il più grande assassino del mondo e la maggior causa di malattie e sofferenze. Non possiamo dare la colpa di tutto solo al virus Hiv, dobbiamo combattere una guerra su tutti i fronti. Qui prima che di Aids si muore di malaria, tubercolosi ed epatite b". Queste le "sconcertanti" affermazioni del presidente sud-africano, ed ancor più "sconcertante" il fatto che abbia dichiarato che la malnutrizione cronica, la debilitazione fisica e le cattive condizioni igieniche cui sono costretti centinaia di milioni di africani provocano malattie che spesso sono erroneamente (e comodamente!) diagnosticate come Aids e che comunque concorrono alla presa e alla diffusione del male.
L’imperialismo può a volte dimostrarsi prodigo in pelose (ed utili in termini di ritorno d’immagine) elemosine e beneficenze. Così la fondazione di Bill e Melinda Gates (presidente Microsoft e consorte) insieme con la multinazionale Glaxo può promettere di destinare duecento milioni di dollari alla lotta contro l’Aids in Botswana, la global company Merck si può impegnare a tagliare per i paesi poveri i prezzi di farmaci anti-Hiv come l’AZT e la nevrapirina e l’Europa e l’Italia (sempre attente a tentare di accreditarsi in contraltare agli Usa come potenze dal volto umano) possono mobilitare le proprie istituzioni in ipocrite campagne a favore della riduzione dei costi per i medicinali anti-Aids. Tutto si può fare, ma guai a mettere - anche velatamente - in diretta correlazione il diffondersi di epidemie e pestilenze con gli intimi ed immutabili meccanismi di funzionamento e rapina del capitalismo internazionale. Guai se interi popoli iniziano a sputare sulla squallida carità degli avvoltoi della finanza mondiale. Guai se questi popoli iniziano a dire: "non vogliamo la vostra elemosina, la salute è un nostro diritto". Se ciò accade, l’imperialismo, sconcertato da tanta mancanza di riconoscenza, digrigna i suoi denti da vampiro e richiama all’ordine ed alla subordinazione.
La battaglia condotta in Sud Africa contro Big Pharma non solo ha imposto un, almeno temporaneo, passo indietro alle multinazionali farmaceutiche, ma ha anche ridato voce a quei ricercatori che da anni esprimono seri e profondi dubbi sulle cause che portano all’Aids, sul rapporto tra la malattia ed il virus Hiv e sulle relative metodologie curative.
La teoria ufficiale, e massimamente propagandata, parla di un virus (denominato appunto Hiv) che attacca il nostro sistema immunitario rendendolo alla fine impotente quale unico fattore determinante l’Aids. Quella "alternativa" pone alla base dello svilupparsi della sindrome chiamata Aids l’intrecciarsi di tutti i fattori che sono in grado di stressare e compromettere il nostro sistema immunitario e di cui il mondo odierno pullula: droga, farmaci cortisonici, antitumorali, chemioterapici, psicofarmaci, situazioni di pesante rischio infettivo come il cibo o l’acqua contaminata, il complessivo inquinamento ambientale e le generali condizioni di denutrizione e di mancanza di igiene di cui soffre con particolare virulenza il Sud del mondo. I fautori di questa visione considerata dalla scienza ufficiale eterodossa contestano, quindi, che sia solo ed esclusivamente il virus Hiv a determinare l’Aids e cercano invece di contestualizzarne socialmente lo sviluppo e la diffusione. Alcuni di essi, come la dottoressa Papadopulos-Eleupolus che opera nel gruppo di ricercatori australiano di Perth, contestano anche l’avvenuto isolamento del virus Hiv e sostengono che in realtà non vi sono prove scientifiche che quello presuntamente individuato da Gallo e Montagnier sia un virus, e che per di più sia il responsabile dello svilupparsi dell’Aids.
Altre posizioni ancora affermano o che l’Aids è una malattia inventata dalle multinazionali al fine di solo business (De Marchi e Franchi, Aids la grande truffa), o che non vi sia (Duesberg, Aids: il virus inventato) alcuna correlazione tra l’Aids ed il virus Hiv. Infine vi sono quelli che ipotizzano che l’Hiv sia frutto di manipolazioni genetiche sfuggite al controllo delle stesse multinazionali farmaceutiche.
Non è certo nostra intenzione (mancandocene la stretta competenza) entrare nel merito tecnico di questa polemica; quello che invece vogliamo sottolineare è come la scienza ufficiale si presti sempre più agevolmente alle esigenze di classe - tanto politiche, quanto economiche - del capitale. Infatti istituire e difendere il dogma "Hiv solo ed unico responsabile dell’Aids" non comporta solo enormi benefici economici per le aziende proprietarie dei brevetti antiretrovirali, ma consente anche di addossare a cause "naturali" – astraendo quindi da ogni contesto politico e sociale - buona parte del disastro in cui viene precipitata una fetta di umanità.
L’aspettativa di vita nell’Africa sub-sahariana è in procinto di scendere intorno ai 30 anni? Milioni di africani muoiono di deperimento, diarrea cronica, lebbra, tubercolosi e malaria? L’intera Africa australe è precipitata in un dramma dalle proporzioni infernali? Bene, ma cosa mai c’entrano con ciò la finanza mondiale, le regole del libero mercato e del profitto? Cosa c’entrano le politiche del Fmi e quelle degli Stati occidentali? Cosa mai c’entra tutto questo quando "è provato scientificamente" che buona parte delle responsabilità di tali disgrazie è esclusivamente di un dannato virus "naturale"? "Niente vuote chiacchiere, dunque, su imperialismo e colonialismo ma, anzi, pieno appoggio all’impegno che l’Occidente (colonialista e imperialista) profonde per battere la peste del 2000". Questo in soldoni il messaggio che, più o meno apertamente, viene di continuo lanciato alla popolazione – ed in primis al proletariato – occidentale.
E non a caso contemporaneamente si può assistere al riemergere (a volte in salsa "politicamente corretta") di teorie di stampo puramente razzista e neocolonialista che presentano l’Africa come il vero ed unico focolaio e centro di incubazione dell’Hiv e secondo le quali la diffusione dell’Aids sarebbe causata soprattutto dagli "smodati e sconsiderati" usi sessuali delle sue popolazioni (magari a seguito di una bestiale promiscuità sessuale tra uomini e scimmie…). Tali teorie servono allo stesso fine: additare nell’africano il novello untore per inculcare per via quasi subliminale nei lavoratori occidentali elementi di paura, di separazione e di ostilità nei confronti degli sfruttati di colore e degli immigrati: anche qui dietro il virus Hiv si nasconde il ben più letale virus dello sciovinismo imperialista.
Non solo l’Aids, o l’insieme di malattie che - a torto o a ragione - vengono catalogate unitariamente in tale modo, sceglie le sue vittime soprattutto nei paesi e nelle aree dissanguate dall’imperialismo, ma anche qui in Occidente - lungi dal colpire "alla cieca" - la sindrome da immunodeficienza acquisita miete il suo raccolto soprattutto tra gli strati più diseredati della popolazione. Basti solo questo dato: negli Usa l’81% delle donne sieropositive è di origine afro-americana ed ispanica, mentre queste due componenti, sommate assieme, non costituiscono neppure il 20% della popolazione statunitense. Anche nel ricco nord, dunque, l’Aids si accompagna per mano alle condizioni di complessivo degrado dell’intera vita cui sono costretti strati sempre più consistenti di popolazione. E questa è un’ulteriore dimostrazione di come l’Aids (al pari di tutte le grandi epidemie che nella storia hanno flagellato l’umanità) non è affatto il "semplice ed esclusivo" prodotto di virus o di altri fattori "naturali", ma, invece, il suo esplodere ed il suo espandersi sia da correlare direttamente alla decadenza storica del modo di produzione capitalistico ormai giunto nella fase di senilità ultra-putrescente.
I rappresentanti della finanza e delle borse internazionali (non solo le multinazionali del farmaco) hanno commentato con preoccupazione il processo di Pretoria. Facciamo parlare per tutti il giornale della Confindustria (il Sole 24 ore) del 9 aprile 2001: "Ormai non si fa mistero che l’obiettivo vero è mettere in discussione la brevettabilità. Gli sconti che pur si fanno proprio al Sud Africa ma non solo, non bastano più. Sfondare sui farmaci Hiv significa sfondare su tutto il resto. La questione quindi va molto al di là dell’industria farmaceutica. Lo slogan "non anteporre il profitto al diritto alla vita ed alla salute" ha sicuramente un fondamento etico, ma alla lunga può essere tragico". In cosa consista questa "tragicità" ce lo spiega il senatore Provera, responsabile Esteri della Lega Nord: "Se nessuna casa farmaceutica può contare sul brevetto, la conseguenza è che caleranno notevolmente gli investimenti e la ricerca di alto livello non sarà incentivata. La solidarietà è auspicabile, è giusta e doverosa. Ma questa deve essere una scelta e non un’imposizione che metta a repentaglio il sistema di mercato" (la Padania del 20 aprile 2001). Come sempre, il profitto e il mercato vengono presentati come il propellente (magari di tanto in tanto corretto con ottani di umanitarismo) indispensabile alla produzione di ogni sviluppo e progresso. Nulla di più falso, nulla di più reazionario. Il dramma dell’Aids è un’ulteriore dimostrazione di come le leggi del profitto e del mercato, mentre predispongono il terreno al dilagare in dimensioni bibliche di vecchie e nuove epidemie, allo stesso tempo producano una scienza ed una medicina dai connotati sempre più anti-sociali. Il capitalismo dimostra qui il suo volto reazionario non solo perché rende inaccessibili ad interi continenti anche i più semplici farmaci permettendo che malattie - come la tubercolosi - da tempo debellate in occidente (ma che ricominciano a fare capolino anche "qui da noi") si manifestino altrove come autentiche pestilenze; ma anche perché le sue regole e i suoi meccanismi inibiscono, distorcono e deviano il progresso e la ricerca scientifica stessa. Sono proprio le leggi della concorrenza a impedire che a scala mondiale si centralizzi la ricerca sull’Aids ed a produrre per tal via un’enorme spreco e dispersione di energie. E sono sempre le leggi del profitto a far sì che la ricerca farmaceutica e medica scelga su cosa concentrarsi non in base a ciò che è realmente utile all’umanità, ma in base a ciò che il mercato richiede: anabolizzanti, EPO sintetico, steroidi vari, psicofarmaci, anfetamine, droghe più o meno legali, farmaci anti-tumorali dagli effetti collaterali spesso disastrosi…
I manifestanti di Pretoria hanno lanciato un grido di lotta: questo grido deve essere raccolto qui in Occidente dai proletari e da quanti "sentono" realmente come insopportabile lo scempio quotidiano dell’umanità operato dall’imperialismo. Non si tratta di battersi per una umanizzazione del mercato, o di cercare impossibili mediazioni tra etica e profitto.
La necessaria lotta contro l’Aids e contro tutte le epidemie che infestano il globo, deve viceversa diventare parte integrante del più generale e complessivo scontro tra proletariato internazionale e capitalismo imperialista. Deve – per dare e riceverne forza - diventare carne e sangue di una guerra che non punta a riformare l’irriformabile, bensì ad estirpare alla radice il capitalismo ed i suoi immodificabili ingranaggi di funzionamento e aprire così le porte alla società comunista, a un mondo in cui il progresso delle scienze e della medicina non sarà schiavo del profitto bensì al servizio del benessere della specie umana.
Note
(1) In sede Wto gli Usa hanno proposto di sanzionare il Brasile per la produzione di farmaci retrovirali a basso costo. Inoltre hanno decretato l’embargo alle esportazioni della ditta indiana Cipla, rea anch’essa di aver prodotto e commercializzato – senza chiederne l’autorizzazione alle multinazionali proprietarie dei brevetti – analoghi farmaci. Anche Cuba, il Bangladesh e la Thailandia puntano a produrre in proprio farmaci retrovirali.