Vertenza Fiat |
Anche nelle fabbriche Fiat al Sud questa tornata del contratto integrativo è stata foriera di alcune novità particolarmente rilevanti.
Da almeno un decennio la strategia Fiat utilizza gli insediamenti meridionali come laboratorio particolare dove sperimentare, rodare, per poi generalizzare in tutto il gruppo (e oltre) i modelli produttivi e le conseguenti relazioni sindacali che, di volta in volta, appronta al fine di ottimizzare sempre meglio i propri risultati.
Da Termoli a Termini Imerese, da Pratola Serra a Melfi, dalle unità terziarizzate attorno Pomigliano fino ai capannoni dei vari contoterzisti diffusi sul territorio… la linea di condotta del management Fiat ha puntato, esclusivamente, alla distruzione di ogni residuo di unità politica e materiale della classe operaia e alla negazione di qualsiasi diritto verso le nuove generazioni di lavoratori.
La scadenza dell’integrativo sta diventando una prima cartina di tornasole di come la nuova dimensione del comando padronale impatti con i lavoratori e specificatamente con un giovane segmento operaio scarsamente sindacalizzato e totalmente privo di memoria di lotte.
Alla naturale intransigenza Fiat, rispetto alle già responsabili richieste di Fiom, Fim, Uilm nella formulazione della piattaforma rivendicativa, nelle fabbriche meridionali del gruppo, ed in particolare alla Sata di Melfi ed alla Fma di Pratola Serra, le direzioni aziendali, in linea con quanto deriva dal recente accordo con la General Motors, hanno incrudito l’abituale mix di dispotismo e lavorio di divisione dei lavoratori, aumentando a dismisura la pratica dei provvedimenti disciplinari (fino al licenziamento a Pratola Serra di due delegati sindacali "colpevoli" di non abbassare la testa ai continui diktat della direzione).
A questo continuo cumularsi di repressioni, intimidazioni varie, licenziamenti, per la prima volta, i lavoratori di queste fabbriche, che la Fiat riteneva completamente domi, hanno risposto con scioperi, mobilitazioni e alcune giornate di lotta. Questi avvenimenti indicano che uno strato di lavoratori, provenienti dalla giungla delle assunzioni a contratto di formazione, apparentemente restio a sindacalizzarsi, ha iniziato, seppur embrionalmente, a scuotersi dallo stato di passivizzazione e d’accettazione coatta di qualsiasi boccone amaro. Dagli stabilimenti del Sud sta emergendo una classe operaia "giovane" (in senso anagrafico e, più ancora, in senso di combattività) che lotta per uscire da una condizione di "serie B" rispetto alla classe operaia "storica" (non a caso la richiesta più forte è quella della parificazione di trattamento con gli altri operai Fiat).
Da parte sua, la classe operaia degli stabilimenti del Nord, che ha a lungo lamentato l’assenza di lotte al Sud, e ha già pagato sulla propria pelle la divisione (e la conseguente "concorrenza") tra le due sezioni territoriali, sembra, oggi, del tutto indifferente alle "novità" di lotta che emergono al Sud (non uno sciopero di solidarietà contro il licenziamento dei due delegati; nessuna risposta alla richiesta proveniente da Melfi e Pratola Serra di rivitalizzare il Coordinamento nazionale del gruppo Fiat). Una mentalità quella dei lavoratori degli stabilimenti del Nord assolutamente suicida.
Certamente le direzioni sindacali hanno fatto di tutto e di più per frammentare l’organizzazione dei lavoratori Fiat -seguendo la linea della concorrenza tra stabilimenti e, di conseguenza, tra operai che vi lavorano- ma ciò non toglie che il persistere di un atteggiamento operaio -della serie: "io speriamo che me la cavo" a mantenere il posto o a raggiungere la pensione senza ulteriori gravi danni- non porterà niente di buono per i lavoratori. L’offensiva antioperaia non salvaguarderà alcuna postazione "privilegiata", anzi proprio le vicende delle concessioni sindacali offerte inizialmente per gli stabilimenti del Sud e poi estese a tutti, dimostrano quanto sia di corto respiro e controproducente l’indifferenza verso le sorti degli altri settori di lavoratori.
Inevitabilmente, questa situazione pesa anche sulla combattività dei "giovani" degli stabilimenti del Sud. La giovane classe operaia meridionale sta maturando (attraverso la lotta!) la necessità di costruire un più stretto rapporto con le altre sezioni di classe, pena un suo isolamento e indebolimento. Ma la ricerca di un serio coordinamento delle lotte, così come la costruzione dell’unità della classe, non sono un fatto organizzativo, tanto meno da delegare alle direzioni sindacali. Lo si può utilmente affrontare solo se si sciolgono quei nodi politici che stanno alla base della passività dei "vecchi": la sottomissione all’azienda, al mercato -con le inesorabili leggi della concorrenza- al quadro nazionale, al capitalismo. Di conseguenza: attivizzazione in prima persona, denuncia a fondo della politica sindacale, della sua sottomissione alle esigenze del capitalismo, rafforzamento di un’avanguardia di classe, comunista, sono tutti aspetti che emergono come indispensabili anche solo per rompere l’isolamento sul puro e semplice piano della rivendicazione di condizioni salariali e normative parificate al resto della classe operaia Fiat.
In questa direzione, non certamente agevole da percorrere, potranno ricostruirsi quelle organizzazioni di lotta e di combattimento, in unità con disoccupati, precari e immigrati, che la tragica politica del riformismo, in tutte le sue salse, ha distrutto e depotenziato anche nel meridione e determinare una rinnovata prospettiva per l’intero proletariato.