A proposito di uranio impoverito |
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Proprio quando la vicenda dei bombardamenti all’uranio richiama l’attenzione degli assopiti lavoratori di casa nostra sui crimini di pace e di guerra del proprio imperialismo, la propaganda borghese intensifica l’apologia della santa alleanza occidentale e della sua vantata funzione "umanitaria" e "di pace". La chiesa cattolica non fa mancare la propria benedizione. Nel giubileo dei militari e della polizia il papa esalta il "ruolo di pace degli eserciti che difendono l’umanità dalla minaccia della guerra", ringrazia queste "sentinelle che guardano lontano per scongiurare il pericolo e promuovere dappertutto la giustizia e la pace", giustifica l’"ingerenza umanitaria… estremo tentativo per arrestare la mano dell’ingiusto aggressore". Amen!
Una delle menzogne più in voga è quella che accredita un ruolo dell’Europa "diverso" rispetto a quello del capobanda americano. Non è questa una novità assoluta. Quando, a inizio dello scorso secolo, le nazioni europee si contendevano la supremazia sul vecchio continente e gli imperi d’oltremare, la nascente potenza americana poteva presentarsi sullo scenario della contesa mondiale con un volto "pacifista, democratico e liberatore". Ora che gli Usa hanno soppiantato i concorrenti e democraticamente dettano legge al mondo intero, sono gli europei a giocare la stessa carta di riserva, in chiave di concorrenza interna ed esterna nei confronti dell’alleato maggiore.
Anche la vicenda dei bombardamenti all’uranio impoverito viene usata per accreditare l’imperialismo europeo e i suoi stati. Di fronte ai primi morti di leucemia in casa propria, i governanti italiani ed europei hanno cercato di scaricare le responsabilità sui comandi Usa. La realtà è un’altra: gli stati europei, prendendo in parte le distanze dai vertici Nato-americani sull’uso di queste armi, tentano di ridurre e fronteggiare il discredito (deviandolo verso il concorrente maggiore) derivante da una "sindrome dei balcani" oggi soltanto alle prime manifestazioni; secondariamente puntano a lucrare consensi popolari alla necessità di rilanciare i propri autonomi programmi di riarmo. Essi prendono la palla al balzo e, ribaltando la frittata, spergiurano di fronte ai propri proletari che il pericolo dell’uranio impoverito (falsamente identificato come frutto della subordinazione ai comandi americani) potrà essere allontanato, solo se il proletariato europeo sosterrà sotto ogni punto di vista il modello -"diverso" e "illuminato"- dell’imperialismo europeo, condividendone innanzitutto gli impegni di riarmo. Solo così, infatti, l’Europa potrà diventare militarmente indipendente e all’altezza di competere complessivamente con gli americani.
Non c’è dubbio che il processo di compattamento politico dell’Europa in chiave antiamericana segni il passo. La via della demarcazione dagli Usa rappresenta una necessità obbligata per un Europa che conti di più. Il ritorno alla Casa Bianca dei repubblicani colla loro escalation militarista, la rende ancor più stringente. Nel programma elettorale di Bush al primo punto viene messa la ripresa del progetto dello "scudo spaziale", necessario per proteggere l’America -e i suoi alleati della "comunità delle Libertà"- dai missili balistici e dalle armi di distruzione di massa di cui sarebbero dotati i "regimi fuorilegge" di Iran, Iraq e Corea del Nord (...e Cina e Russia). I repubblicani "useranno la superiorità Usa nel mondo per preparare le cose per un tipo differente di futuro". Riarmo tecnologico ai più sofisticati livelli che si accompagna, ovviamente, al rilancio dei valori nazionali e tradizionali (vedi i primi attacchi al diritto di aborto), ai tagli al welfare, all’orgia di commesse per le corporations amiche (non solo quelle dell’industria militare). Vedremo il seguito.
Che servano per costituire il nucleo di uno schieramento imperialista alternativo agli Usa oppure all’imposizione di una più "equa" spartizione del bottino orientale con il capobanda a stelle e striscie, i piani di riarmo dell’Europa e dell’Italia sono, comunque, di vasto respiro (come si può vedere nel riquadro). Ma questa ripresa del militarismo in grande stile non è rivolta solo contro il "nemico esterno", ossia per sottomettere le masse lavoratrici delle periferie del mondo, tenendo testa agli Usa.
Abbiamo sempre detto ai proletari e ai lavoratori italiani che l’aggressione alla Jugoslavia (così come quelle all’Iraq e alla Somalia) non colpisce soltanto gli sfruttati balcanici. Se i colpi più micidiali vengono indirizzati contro i fratelli di classe dei paesi dominati e aggrediti, queste infami aggressioni implicano una complessiva politica dell’imperialismo anche verso e contro il proletariato di casa propria.
Le aggressioni imperialiste rovesciano sui popoli colpiti una valanga di brutalità, una ribarbarizzazione della civiltà per anni e anni, e impongono al proletariato interno sacrifici materiali e di sangue. Se finora gli imperialisti hanno potuto minimizzare questi sacrifici, nello sviluppo delle contraddizioni -anche militari- del capitalismo mondiale, non sarà possibile garantire all’infinito il sogno reazionario e razzista di una guerra di aggressione condotta dall’alto dei cieli, che provochi vittime solo, o quasi, nel "campo nemico".
Quanto poi agli ulteriori effetti di intruppamento complessivo della vita sociale "interna" e al tentativo di annichilimento preventivo dell’antagonismo proletario, si veda quali sono le vedute degli establishment europei. Nel n. 5/2000 di Rivista Militare, periodico dello stato maggiore dell’esercito italiano, leggiamo una perorazione a favore delle "armi non letali" (proiettili di gomma e quant’altro). Secondo gli stati maggiori queste armi ("umanitarie", "meno provocatorie", "che renderebbero più accettato il successivo utilizzo delle armi letali") dimostrerebbero la loro utilità nello scenario, "sempre più reale", dello scontro tra il "nostro" esercito e "le popolazioni" ovvero "folle potenzialmente ostili o in sommossa". E dov’è che il "nostro" esercito verrebbe chiamato a fronteggiare queste folle? Ovviamente "nelle operazioni di peacekeeping e di assistenza umanitaria", dove l’esplosiva concentrazione delle contraddizioni di classe potrebbe ingenerare "situazioni conflittuali incontrollabili" contro gli "eserciti della pace". Il tiro delle armi "non letali" viene, poi, ben presto orientato anche contro gli immigrati che violano le nostre frontiere; fino a mettere l’accento in generale sulla concentrazione di popolazione e problemi "nei centri urbani", dove "aumenta la possibilità che le forze armate e soprattutto l’esercito italiano possano essere chiamati a supporto di forze di polizia per il controllo del territorio e il mantenimento dell’ordine pubblico". Così, passo dopo passo, il ragionamento mette a fuoco l’intera catena della repressione borghese, esterna e interna.
Se sono questi (e lo sono) i nessi complessivi cui si intreccia la questione dei bombardamenti all’uranio, appare in tutta la sua meschina portata la propaganda condotta dalla "sinistra" italiana. Al riguardo il titolo cubitale di Liberazione che ha gridato all’"Europa tradita" è un programma. D’altra parte questi signori continuano a blaterare di "una strategia di pace" che sarebbe possibile perseguire "nelle istituzioni europee" e sproloquiano di "un forte movimento antimilitarista" i cui soggetti sarebbero le associazioni della "diplomazia popolare", quelle che "sperimentano l’intervento civile nei conflitti"; insomma quelle autentiche truppe civili di complemento del pacifismo e dell’"associazionismo umanitario", che, invece di aprire un coerente fronte interno di lotta contro le aggressioni del proprio imperialismo (quando non le condividono apertamente), preferiscono piuttosto "portare soccorso" alle popolazioni massacrate, precedendo e seguendo l’invasione dei capitali e degli eserciti imperialisti. Non a caso la salute dei volontari della "diplomazia popolare", insieme a quella dei "nostri militari", è al primo posto nei pensieri di questa sinistra. E non è un caso se su questo terreno settori di base del Prc (e non solo) comincino a guardare con attenzione a certa destra estrema che porta avanti fino in fondo il proprio antiamericanismo in chiave di piena assunzione delle bandiere del nazionalismo e dell’europeismo imperialista.
Denunciare l’uso di una singola arma, senza puntare l’indice contro il sistema del militarismo borghese, significa tradire la lotta antimilitarista e accreditare il proprio imperialismo. Denunciare il militarismo come un semplice arbitrio, di cui la classe degli sfruttatori potrebbe decidere -sulla base di considerazioni umanitarie- di fare a meno, significa accreditare il capitalismo. Nel nostro programma di classe il militarismo deve essere combattuto come una centrale funzione del capitalismo. I comunisti sono antimilitaristi in quanto sono anticapitalisti. E dunque i soggetti della battaglia antimilitarista sono i proletari, i lavoratori, i giovani, chiamati a denunciare il militarismo e il suo ruolo di conservazione e repressione, infiammati dalla coscienza di classe e dall’odio contro il militarismo. A questo lavorano i comunisti: allo schieramento dei proletari e degli sfruttati, delle donne e dei giovani contro il capitale e l’imperialismo; all’arruolamento di sterminate masse di oppressi nell’esercito mondiale del proletariato rivoluzionario, alla militanza politica della sua avanguardia nel partito comunista.