Alla nostra presa di posizione su Internet a proposito del ritiro israeliano dal Libano sono seguiti numerosi messaggi di approvazione da parte araba e una lettera di un cittadino israeliano che solleva questioni della massima importanza per le sorti del Medio Oriente e del mondo intero. Pubblichiamo la lettera e la nostra risposta. Non vi è delineata soltanto la soluzione della "questione degli ebrei" da un punto di vista comunista, bensì i presupposti per un concreto piano di battaglia verso e nelle masse di sfruttati arabi ed ebrei, e che riguarda lo stesso proletariato occidentale, che deve sapersi difendere tanto dallanti-semitismo quanto dallanti-arabismo, o anti-islamismo, entrambi profusi a piene mani da chi vuole intrupparlo in una guerra contro sfruttati di altre razze e religioni al solo fine di perpetuare il proprio dominio imperialista. |
Shalom, Quando ho visto chi ha pubblicato questo articolo non mi sono sorpreso più di tanto! La quantità di manipolazioni storiche sono tali e tante da far rabbrividire qualsiasi storico di qual parte e fede politica sia!! Unesempio lampante è nel termine: "disarmo dellIntifadah" ... cosa vuol dire? Chi ha scritto questo articolo evidentemente non ha la minima conoscenza del significato di questo vocabolo. LIntifadah non è un movimento politico organizzato ma una forma di protesta adottata dai Palestinesi e vuol dire Scrollarsi (scrollarsi di dosso loppressore). Non ho intenzione di darvi lezioni di storia ma solo farvi aprire gli occhi!! Sono anni che leggo parole negative su Israele come se le colpe della situazione dei popoli arabi dipendesse da un piccolo Stato che è grande un po meno della Lombardia (lo sapevate?). Vi confesso che sono israeliano e spesso ho criticato il mio paese soprattutto per loperato in Libano e nei territori occupati, non siamo dei santi, ma siamo un popolo che ha una lingua una tradizione, una storia e da 50 anni anche una nazione. Israele è uno stato democratico (nato da una spartizione che gli arabi non hanno accettato e che oggi probabilmente ci firmerebbero sopra) circondato da dittature, ma voi questo non lo scrivete mai! Perché non scrivete che i soldi che lEuropa e Israele hanno dato allautonomia palestinesesono finiti nelle tasche dei suoi ministri che girano per i campi profughi con macchine lussuose mentre la gente semplice vive in povertà? In Israele, forse chi ha scritto questo articolo non ci è mai stato. Provate una volta tanto ad essere obiettivi; perchè luscita dal Libano è un atto di vigliaccheria di un esercito che non vuole rischiare? E se ci fosse rimasto in Libano, cosa avreste scritto? Il vostro è un partito preso e lobiettività non esiste . Lantisemitismo nasce da dei partiti presi e voi con le vostre dichiarazioni antisioniste indirettamente lo fomentate: che colpe abbiamo se Israele è lo stato degli ebrei e se uomini illustri e potenti nel mondo sono ebrei? Bil Gates non è ebreo ma sicuramente cè chi è convinto di si! Ci sono ebrei ricchi ed ebrei poveri ma per voi sono tutti uguali .... tutti
nazionalisti e imperialisti. Voi che parlate di comunismo e vi prendete la briga di dare giudizi su fatti che sono lontani da voi anni luce sia per cultura che per esperienza, avete mai vissuto senza avere un conto in banca personale ... sicuramente no e sono anche convinto che non sapete o se si, vi infastidisce un po lidea, che il nostro maestro Karl Marx era ebreo! Un semplice cittadino israeliano che spera nella pace e nella giustizia. David |
Caro amico,
ti ringraziamo comunque della tua risposta perché, in ogni caso, spiegare e spiegarsi meglio fa bene.
Ribadiamo, innanzitutto, una cosa evidente, ma che non è male sia esplicitata in modo ancor più fermo: noi non nutriamo alcun pregiudizio (e di che tipo? Razziale, religioso o che altro?) nei riguardi degli ebrei e neppure parliamo mai di "ebrei" in maniera generalizzata, astratta, fuori dalla storia; caso mai, parliamo di determinate strutture materiali, storicamente determinatesi, tipo il sionismo o le lobbies finanziarie e belliciste che coniugano Wall Street e Pentagono sotto bandiera (e non è colpa nostra!) "ebraica" così come parliamo di proletariato ebraico e relative strutture. Figuriamoci poi se possiamo non conoscere o dimenticare o considerare con fastidio lapporto di uninfinità di ebrei alla nostra causa, da Marx alla Luxemburg a Trotzkij a, tuttora, militanti comunisti seri sparsi per il mondo! Qualcun altro potrà, semmai, infastidirsi per il fatto che questi nostri compagni, "nonostante" la loro matrice "ebraica", si siano battuti per una causa anticlassista, internazionalista in opposizione ad ogni esclusivismo di religione o razza od altro, di qualsiasi tipo, a cominciare da quello "ebraico" attribuito ad essi come "proprio".
È caratteristica di questo esclusivismo la reazione che scatta nellebreo di un certo tipo quando si attacca lo Stato di Israele e la sua politica: questo attacco, prima ancora di venir analizzato ed eventualmente confutato nello specifico, viene classificato puramente e semplicemente, per principio, nella categoria dell"antisemitismo". Si attacca lo Stato di Israele? Ciò significa che si attacca la cultura, la religione, la razza ebraica etc. etc. come un tuttuno. Il sofisma è evidente (più difficile sarà comprendere da dove storicamente nasce, ciò che servirà a spiegare -non giustificare- le cose). Ma non ti salta in testa che, usando lo stesso procedimento, quando tu attacchi determinati Stati arabi potresti essere colto in flagranza di spirito razzista antiarabo, anti-Islam e via dicendo? E perché noi dellOci, in quanto "italiani", non dovremmo indignarci se, ad esempio, degli jugoslavi insorgessero, più forte di quanto -purtroppo- ancora fanno, contro il "nostro" Stato? Verrebbero a essere in pericolo, in questo caso, la nostra lingua, la nostra cultura, la nostra storia, la nostra "razza"? Dovremmo dire: eh sì, vi abbiamo bombardati ed affamati visto che non siamo santi, ma siamo però un popolo eccetera eccetera? La nostra posizione, come ben sai, è diametralmente opposta: in quanto "popolo" comunista solidarizziamo con la causa degli sfruttati, chiunque e dovunque siano, contro il "nostro" regime, il "nostro" Paese, la "nostra" cultura capitalistica di sfruttamento con tutti i suoi orpelli "ideali", a cominciare da quelli cattolici. E, come comunisti, pretendiamo altrettanto da chiunque altro che voglia essere nostro compagno, che sia slavo o bantù, ortodosso od islamico nulla importa. Quindi anche dagli ebrei.
È una menzogna che per noi "ebrei ricchi ed ebrei poveri siano tutti uguali tutti nazionalisti e imperialisti" per definizione; quelli ricchi lo sono pressoché in massa (il che non costituisce una particolarità "ebraica"), quelli sfruttati possono emanciparsi dalla funzione di supporto al nazionalismo ed allimperialismo riconoscendosi come tali, combattendo lo sfruttamento ("ebraico" ed universale) del capitalismo di cui anchessi sono vittime a condizione di riconoscersi compagni ebrei di quella causa universale di emancipazione che è il comunismo.
Detto questo, potremo anche considerare una critica, non giustificata nei fatti che ci riguardano, ma tuttaltro che ingiustificata in sé stessa, che ci fai? Perché non parlare della dittatura siriana od egiziana, giordana od anche OLP? Perché far finta che lì tutto vada per il meglio e lunica preoccupazione sia quella di dare addosso allo Stato di Israele?
Per noi non è così. La lotta rivoluzionaria delle masse sfruttate arabe non si confonde con gli interessi delle proprie borghesie (vigliacche e corrotte, in quanto espressione "compradora" proprio degli interessi imperialisti contro queste stesse masse). Questa lotta non ha "solo" da emanciparsi dalloppressione sionista, ma deve emanciparsi dalla propria arretratezza, dalle proprie classi dominanti, questo è certo, perché, come ha scritto Marx, gli sfruttati non possono liberarsi dalla "vecchia merda" capitalista senza liberarsene essi stessi. Tutto vero, quindi, quello che dici sul carattere oppressivo ed arretrato della situazione nei paesi arabi che circondano Israele. Ma, vedi caso, quando citi lesempio dellArabia Saudita dove le donne vengono considerate alla pari del bestiame, parli proprio di uno stato asservito alla politica imperialista USA-Israele e da questi sostenuto a spada tratta: che lì le donne (ed anche gli uomini) fungano da bestiame pro-imperialista non pare importare davvero un bel nulla ai fautori dei "diritti umani" di Washington e Tel Aviv e quando si tratta di cedere la parola alle armi lo si fa in combutta coi propri scherani arabo-sauditi nei confronti, guarda caso!, di paesi come lIraq dove, grazie ad una serie di cambiamenti sociali rivoluzionari, le donne e gli uomini si sono conquistate ben altre posizioni. Come mai? Per quale causa "democratica" se non quella del dollaro, del peculio?
Dicevamo: la causa dellemancipazione delle masse sfruttate arabe non può ridursi alla lotta contro Israele alla coda dei padroni di casa loro, perché: 1) ciò significherebbe autocondannarsi allarretratezza ed alla schiavitù; 2) nessuna seria lotta contro Israele potrebbe, in nessun caso, venir neppure abbozzata (e questa considerazione ti piacerà ancor meno). Il problema, però, è che la crescita e la maturazione di classe di queste masse nella lotta contro i propri ras allinterno è indissociabile dal movimento di resistenza ed attacco ai capisaldi imperialisti, di cui Israele è un avamposto non trascurabile, in quanto da essi dipendenti. La situazione dei paesi arabi dipenderebbe "esclusivamente" da un paese grande appena come la Lombardia che sta in mezzo a loro? No, dipende da un insieme storico di operazioni di colonizzazione e sfruttamento che vi hanno bloccato il processo di trasformazione rivoluzionaria in senso "modernizzatore" (non diciamo neppure "socialista", che è un momento successivo). È il sistema imperialista mondiale, un po più grande della Lombardia israeliana, ma comunque sempre piccola parte del mondo per estensione e numero di abitanti, che domina strutturalmente, con tutti i mezzi -della finanza e delle cannoniere- questi stati e le loro classi "dirigenti per conto terzi", epperò ne suscita anche la necessaria, ineludibile ribellione.
Questa ribellione ha "certi tratti reazionari"? Senzaltro. Questo è nel novero normale delle cose. Di fronte alla "modernità" di Israele le masse sfruttate arabe hanno tutto da imparare, in un certo senso. Ma lo possono e devono fare lottando contro Israele, contro il sistema mondiale che li blocca ad uno stadio di arretratezza materiale e culturale. Israele o Washington non costituiscono delle belle vetrine da copiare in una sfida emulativa, ma delle forze di conservazione ed oppressione da spezzare. Era certamente arretrato il Negus (schiavista, addirittura!) di fronte alla "modernità" del Fascismo; nondimeno, come ha splendidamente detto l"ebreo" Trotzkij, noi stiamo dalla parte delle masse colonizzate, Negus o no, perché solo nella lotta contro il nemico imperialista queste masse possono emanciparsi anche dalla propria arretratezza. Mussolini avrebbe potuto replicare: ma perché voi comunisti non parlate mai dello schiavismo etiopico?
Da internazionalisti noi, evidentemente, vorremmo che fosse evitata qualsiasi rappresentazione di questa lotta come contrapposizione arabi-ebrei (islamismo-giudaismo) e stiamo anche bene attenti a rintuzzare ogni scivolata verso il risentimento antisemita perché, comunque, il "razzismo" degli oppressi rappresenta un pericolo, per coloro che ne vengono presi di mira, ma anche e in primo luogo per sé stessi. La nostra prospettiva è quella di una fraternizzazione di classe che veda uniti assieme, nella lotta e nella vita sociale, arabi ed ebrei senza distinzioni o preferenze di sorta. Per arrivare a tanto, però, sono indispensabili alcune cose. La prima è che gli elementi avanzati di classe ebrei si facciano carico in prima persona della dissociazione dagli interessi oppressori del "proprio" Stato perché, sempre ricordando Marx, quando scriveva della questione irlandese, "il popolo inglese (qui: ebraico) non potrà essere libero tenendo schiavo il popolo irlandese (qui: palestinese)". Ogni presunto "antisemitismo" arabo sparirebbe davanti a una simile prova di solidarietà effettiva, e con esso sindebolirebbe fatalmente la presa delle attuali direzioni reazionarie arabe. Ma che significa questo se non la rimessa in causa dello stesso Stato israeliano dallorigine? Nessuna soluzione ai problemi dellarea è compatibile con la presenza di un tale Stato, basato sulla discriminazione razziale-religiosa ai danni della popolazione palestinese, od altra che sia.
Loccupazione sionista della Palestina fu progettata e praticata prima che in Europa si manifestasse qualsivoglia anticipo di "olocausto" (anzi, in anni in cui una parte della popolazione ebraica ivi residente si andava integrando coi non-ebrei, a cominciare proprio dalla parte proletaria che si poneva dalla parte del socialismo internazionalista). Il secondo dopoguerra lha sanzionata definitivamente, coprendola agli occhi della pubblica opinione esterna come necessità dettata dal nazismo. Fin dallinizio si è trattato della costruzione di un Jewish State, secondo la dizione ufficiale, a carattere confessionale-razziale, quindi con la riduzione allo stato di apartheid di ogni altro soggetto "estraneo". Non, quindi, insediamento legittimo di ebrei nella terra di una loro lontana, e mutevole, storia; non "spartizione" che gli arabi non avrebbero voluto accettare, ma occupazione coloniale. Non un semplice Stato di Israele, ma uno Stato di soli, e per soli, ebrei titolati a godere di pieni diritti di cittadinanza. Anche le cosiddette tendenze "socialiste", "egualitarie", del tipo kibbutzim sono sempre state rigidamente esclusiviste in senso ebraico: "socialismo a base razziale", oltre che di mercato! Si dice: ma la terra fu riscattata dagli arabi dietro pagamento. Sì, fu comprata dai signorotti feudali o dai contadini poveri costretti a vendere, ma "comprando" con ciò non solo una semplice proprietà terriera, ma i diritti di stato; escludendo i palestinesi poveri dalla proprietà terriera e dagli stessi diritti di cittadinanza. Parrebbe che anche in Africa si fossero "legalmente" comprate terre e schiavi; difatti, in Zimbabwe, di fronte all"oc-cupazione illegale" da parte dei neri delle terre di "proprietà bianca", si cerca di far passare gli usurpati per usurpatori.
Questo il nodo intoccabile per ogni buon sionista. Non lo diciamo noi soltanto. Lo dice, ad esempio, un ebreo come Israel Shahak, propugnatore dei diritti umani ed ex-deportato a Belsen:
"Se non si mette in discussione il prevalente atteggiamento ebraico nei confronti dei non ebrei, non è dato capire neppure il concetto stesso di "stato israeliano" (Jewish State), come Israele preferisce definirsi Fin dalla sua fondazione, il concetto che il nuovo Stato dIsraele era uno "stato israeliano" fu ribadito da tutta la classe politica ed inculcato nella popolazione con ogni mezzo. Nel 1985, quando una piccola minoranza di ebrei cittadini di Israele contestò questo concetto, il Knesset approvò a stragrande maggioranza una legge costituzionale che ( ) stabilì che i partiti che si oppongono al principio dello "stato israeliano", o propongono di modificarlo per via democratica, non possono presentare candidati da eleggere al Parlamento Sono sicuro che gli ebrei americani o britannici accuserebbero subito di antisemitismo i governi degli USA o dellInghilterra se questi decidessero di definirsi "stati cristiani", cioè stati che "appartengono" solo a cittadini definiti ufficialmente "cristiani" Israele è uno stato fondato sullapartheid ma chi, tra di noi, si oppone sia allantisemitismo che allo sciovinismo ebraico è accusato di essere affetto dallodio di sé (del proprio sé "ebraico", n.)". E a proposito dei kibbutzim e del loro preteso socialismo: "Allo stesso modo, il kibbutz, esaltato da tutti come il tentativo di realizzare lutopia, era ed è unutopia esclusivista; anche quando i suoi membri sono tutti atei, per principio gli arabi sono esclusi e si richiede che chi appartiene ad altre nazionalità per essere accettato debba prima convertirsi al giudaismo. Non cè dunque da meravigliarsi se i ragazzi dei kibbutz rappresentano il gruppo più militarista della società israeliana".
Non è qui il caso di entrare nello specifico delle misure concrete in cui questo apartheid si configura, e su cui potremo agevolmente tornare. Chi le difende si trincera dietro la motivazione dellautodifesa, della sicurezza riguardo al "pericolo arabo" (e non solo). Il serpente si morde la coda: si occupa la terra di altri, si discriminano gli altri e, poi, di fronte alla loro reazione di rimando, si adduce il fatto che occorre tutelarsi. Tutelarsi al punto da chiudere legalmente la bocca agli stessi ebrei che trovano "troppo" da ridire.
Ovviamente non tutti gli ebrei di Israele si trovano su questa posizione media. Solo una minoranza, poi, anche se tuttaltro che infima, di essi può trovarsi daccordo con tipi del calibro di Meir Kahane, uno dei fondatori della Jewish Defense League creata -guarda caso!- a Brooklin, per cui gli arabi sono semplicemente dei "cani" e presentatore al Knesset di una proposta di legge sui rapporti matrimoniali e sessuali che testualmente recita allarticolo 3: "Agli ebrei e alle ebree, cittadini e residenti dello Stato dIsraele, è vietato sposare non ebrei, sia in Israele che allestero, in qualsiasi forma di matrimonio civile o religioso" e allart. 5, paragrafo 2, prevede condanne a 50 anni di carcere per il "non ebreo che ha rapporti sessuali con una prostituta ebrea o con un maschio ebreo" (ed è solo una delle varie proposte di legge "che sembrano copia conforme della legislazione del Terzo Reich", come nota Shahak). E sempre una minoranza ebraica può condividere affermazioni come quella del lubavitch Menachem Mendel Schneerson, secondo cui "tutti i gentili sono creature sataniche: in nessuno di loro cè qualcosa di buono" e "un embrione non ebraico è qualitativamente diverso da un embrione ebraico" in quanto questultimo partecipe di Dio; altra scopiazzatura da Hitler diffusa anche qui in Italia nel totale silenzio dei media sempre pronti a bollare lestremismo fondamentalista arabo.
Al contrario, una parte di Israele sarebbe per una politica di comprensione e di pace con gli arabi, restando, comunque, ognuno sul "suo". Si tratta, a nostro avviso, di una petizione "pacifista" che se ha il merito di contrapporsi allo sciovinismo più brutale, non può in alcun modo aggredire e risolvere al fondo il problema. In passato, qualche brandello di sinistra estrema israeliana era andata molto più in là toccando proprio la questione fondativa dello Stato esclusivista dIsraele e stabilendo punti di contatto, di fraternità militante di classe, tra compagni ebrei ed arabi, entrambi impegnati assieme, contro il nemico in casa propria (stato colonialista da una parte, borghesia dipendente ed accattona dallaltra) in un non indifferenziato, ma unitario piano di emancipazione collettiva per la costituzione di una sola comunità socialista medio-orientale. Solo una simile impostazione, se coerentemente portata avanti, come poi non è accaduto, poteva spazzar via antiarabismo ed antisemitismo, e non è un caso che da essa, nei suoi punti più alti, venisse un concreto incoraggiamento alle masse "arretrate" arabe per scrollarsi di dosso quelle dirigenze contro le quali tu ti mostri indignato: perché, giustamente, "antisemitismo e sciovinismo ebraico devono essere combattuti assieme, come due facce della stessa dimensione" (Shahak). Al contrario, dietro il pretesto del "pericolo arabo", si nasconde la legittimazione dei peggiori regimi arabi a favore della stabilità imperialista a spese delle masse sfruttate (quelle ebraiche comprese). Come ha lucidamente e cinicamente scritto Shlomo Gazit, ex-comandante dei servizi segreti israeliani, "la posizione geografica dIsraele al centro degli stati arabo-musulmani del Medio Oriente ne fa il fedele gendarme della stabilità di tutti i paesi che lo circondano. Il suo ruolo è quello di proteggere i regimi esistenti, di prevenire e congelare qualsiasi processo di radicalizzazione In questa prospettiva Israele si opporrà, fuori dai suoi confini, a qualsiasi cambiamento che giudichi intollerabile, al punto da impegnarsi militarmente, senza alcuna restrizione, per prevenirlo o sradicarlo a favore degli stati industrialmente avanzati". Non occorrono commenti. E non è un caso che gli ebrei più impegnati in questopera di "stabilizzazione" oppressiva stiano, prima ancora che a Tel Aviv, a Washington. Albright e Cohen sono due nomi eloquenti.
Chi "spera nella pace e nella giustizia" non può che riallacciarsi a una linea rivoluzionaria internazionalista di classe, secondo la tradizione del nostro ebreo Marx, del nostro ebreo Trotzkij, la tradizione di quella lotta comune degli sfruttati senza confini di razza, religione, lingue che visse, fin che poté vivere, nella Terza Internazionale, nel Congresso dei Popoli dOriente di Baku.
Noi sinceramente crediamo nella tua volontà di pace e giustizia. Cosa significhino concretamente queste due parole, e come realizzarle, è largomento su cui fraternamente discutere senza prevenzione alcuna. Su questo siamo sempre a disposizione di chi voglia farlo nello stesso spirito.