TEORIA E PRATICA |
Solidarietà? La parola sembra assai semplice: qualcuno ha bisogno di qualcosa, qualcun altro gli si sente vicino e gli tende una mano fraterna. Tutto qui.
Nella realtà sociale -come lo è sempre ogni realtà umana-, la cosa si fa un tantino più complicata: la solidarietà ubbidisce ad un criterio politico; non esiste una solidarietà, "la" solidarietà, ma vari tipi di impostazione, finalità o conseguenze politiche in cui essa si manifesta. Non basta mai chiedersi con chi solidarizziamo, ma come e per che cosa lo facciamo.
Di fronte alla miseria ed allabbrutimento che condannano allinferno quaggiù centinaia di milioni di esseri "umani" loggetto su cui si esercita la solidarietà, ad esempio, è lo stesso tanto per noi marxisti che per gli umanitaristi in genere, ma, per essi e per noi, il termine assume un ben diverso significato concreto.
La Chiesa Cattolica, esperta nel ramo, ha da sempre esercitata la sua "solidarietà cristiana" secondo una ben precisa visione ed in vista di altrettanto ben precisi scopi. Il ruolo di tale solidarietà è sempre stato finalizzato alla conservazione sociale, indipendentemente da ogni considerazione sullaffarismo che vi gravita attorno, ed indipendentemente dal sano sentimento di molti fedeli di franco sentire pronti a "dar da mangiare agli affamati e da bere agli assetati". Si poterono così "soccorrere" gli indigeni colonizzati (e, contestualmente, "evangelizzati") per dire ad essi ed ai loro sfruttatori che lubbidienza allordine vigente è dobbligo ed essa sola si merita in premio la carità. Lo stesso si fa oggi nei confronti dei nuovi schiavi di mezzo mondo e delle mille forme di emarginazione nelle stesse metropoli, proponendo sempre, ed invariabilmente, una via duscita caritatevole, individuale al problema (sia dal lato di chi riceve che da quello di chi dà) in luogo di unorganizzazione collettiva di battaglia per uscire da un pantano che è frutto di un determinato sistema sociale e non di eventi pressoché naturali.
Lo ripetiamo: tutto questo indipendentemente dal fatto che una miriade di persone degne si diano (personalmente) da fare sul serio con assoluta dedizione ed anche toccando campi su cui noi marxisti siamo, un po per forza di cose, un po per pigrizia e sordità, latitanti (per dirne una: il lavoro verso drogati, prostitute o rom, da "redimere" od "integrare" secondo la coscienza cristiana). In molti casi noi stessi dovremmo imparare qualcosa da tutto ciò. Imparare a riconoscere un oggetto -ed un soggetto!- su cui esercitare il nostro specifico tipo di solidarietà militante.
Ciò non toglie che lumanitarismo cristiano, come ogni altra sua versione, abbia dei confini ben definiti di conservazione del sistema esistente, ed in ciò si contrapponga al reale senso umano della lotta per lemancipazione sociale: un "giusto salario" al posto dellabolizione del sistema salariale, un pane elargito agli affamati al posto della conquista del pane sottratto dal capitalismo, una personale redenzione dal "peccato individuale" in luogo della messa a morte del sistema di alienazione che ne sta alla base con la riduzione di ogni singolo a merce e la sua separazione dallautentico essere sociale collettivo.
Queste banalissime considerazioni ci introducono al tema attuale della solidarietà coi popoli della Jugoslavia, dellIraq, dellAfrica e di ogni altro luogo martoriato di questo sozzo, capitalistico mondo; e ci soffermeremo qui sullesempio della Jugoslavia, su cui il nostro impegno è assiduo e penetrante da prima ancora che ne emergesse alla superficie pubblica il bisogno.
Su questo punto i conti con la Chiesa sono presto fatti. Le sofferenze, anche reali, del Kosovo sono state da essa prese in carico, come sappiamo, per produrre occasioni di guerra e di nuove sofferenze ingigantite per mille, se basta, e queste ultime per ribadire un "ordine" perfettamente funzionale alle esigenze del capitalismo imperialista. Chi si è, "cristianamente", speso, in perfetta buona fede, per soccorrere le "vittime della pulizia etnica" ha dato una mano a produrre la vera e peggiore pulizia etnica che si possa immaginare, preparando le condizioni psicologiche di massa per lattacco armato allinsieme dei popoli jugoslavi in quanto tali. Non parliamo poi della mascherata "solidaristica" messa in atto dallo Stato, con tanto di fanfaroni venduti del mondo dello spettacolo e del circo "culturale" a sostegno: in questo caso non cè neppure la scusante di aiuti materiali che siano comunque andati a buon fine a favore dei sofferenti, sia pure di parte, ma un maneggio di danari a favore di camarille e mafie interne ed esterne.
Ma veniamo a chi si pone dallaltra parte, a chi ha, perlomeno, realizzato a tempo -anche se, generalmente, a tempo regolarmente scaduto-, che la Jugoslavia ha subito unaggressione e la subisce tuttora, che la Jugoslavia, con tutti i suoi popoli, è dunque una vittima con cui solidarizzare. In questo caso, il problema del con chi solidarizzare è risolto. Resta da comprendere in che modo debba esplicitarsi la solidarietà ed in vista di quali obiettivi.
Su questo punto dobbiamo essere chiari: tanta parte, se non quasi tutta la solidarietà che oggi si esprime, qui da noi, verso la Jugoslavia, ondeggia tra due estremi opposti che, insieme tra loro, sono anche opposti ai criteri di ciò che noi marxisti intendiamo per solidarietà di classe.
Un primo segmento del movimento attuale di solidarietà concepisce la cosa in questi termini: si deve ripristinare la "legalità violata" nel caso dellaggressione alla Jugoslavia premendo verso le forze politiche e gli Stati -gli Stati soprattutto!- di qui, verso lONU (da "riformare" per esser rimessa al patto coi sacri codici della giustizia universale) e poi, magari, dando una mano in Jugoslavia ai "democratici" autentici contro il Satana-Milosevic. È questa, ad esempio, la linea tipica del Manifesto che, anche nei suoi massimi momenti di sdegno "morale" contro laggressione NATO, non dimentica mai di perorare la causa di un "mutamento del regime interno" jugoslavo in consonanza con i desiderata, i diktat, dellimperialismo. Laggressione NATO non è servita a scalzare Milosevic, si dice in buona sostanza, come quella analoga contro lIraq non è servita a toglier di mezzo il "dittatore" Saddam. Lembargo idem. Perciò: no a misure militari e via lembargo, ma allo scopo di meglio -democraticamente, pacificamente- realizzare questo compito, rispetto al quale limperialismo reale si è dimostrato inefficiente. I popoli jugoslavi non devono pagare per le colpe di Milosevic; a pagare devessere solo questultimo. Come se non fosse del tutto trasparente che lobiettivo primo dellaggressione NATO sono, invece, esattamente i popoli della ex-Jugoslavia, dellIraq, del mondo intero.
(È una posizione, tra laltro, abbastanza incoerente: tuttora questa gente non ha alcun dubbio sul fatto che, ad esempio, il popolo tedesco dovesse pagare per le colpe di Hitler e quello giapponese per le colpe del Mikado. Ora, perché mai lo stesso criterio non dovrebbe andar bene per i popoli jugoslavi? Dopo Dresda e Hiroshima-Nagasaki non è cambiato un gran che nell"intervento umanitario" imperialista -lo stesso che ci delizia dal 45 della cosiddetta Liberazione-. Perché oggi, a differenza di ieri, si tratterebbe non di semplice "errore", ma di aggressione imperialista? I nostri umanitari possono, forse, arrivare anche a sussurrare che "da parte degli USA" un pizzico di interventismo imperialista cè (e ieri?); giammai, però, da parte dellEuropa e dei suoi stati maggiori "socialisti" o centro-sinistri, tirati per puro caso dentro l"avventura". Per questi ultimi si reclama solo una maggior "autonomia" di giudizio, di azione e di interessi, ma allo scopo di promuoverli in concorrenza con gli USA a massimi beneficiari dellintervento nei Balcani. Un intervento che, va da sé, data la nostra diversa "cultura", andrebbe fatto non a suon di bombe, ma di euro-moneta ed euro-diplomazia per arrivare allo stesso risultato utile per la nostra "cultura", cioè per le nostre casseforti. Un imperialismo, se mai fosse possibile qualcosa del genere, al di fuori di questo abisso di ipocrisia, dal volto pacifico )
Un secondo segmento, quello più seriamente impegnato nel produrre solidarietà "incondizionata" con la Jugoslavia, commette un errore opposto e speculare. Dice: poiché si tratta di unaggressione imperialista dellOccidente, di tutto lOccidente, Italia in prima linea, "sinistra" italiana in prima linea, e la Jugoslavia ne è lunica vittima, indipendentemente dal regime in essa vigente, non ci è permesso alcun distinguo pre o post-condizionante in merito a tale regime. Giusta considerazione. Come abbiamo spesso ricordato, il marxismo, nel caso di aggressione imperialista a un determinato paese, non si è mai posto il problema del regime interno di questultimo per condizionare la solidarietà allaggredito. La resistenza allaggressore va sostenuta incondizionatamente, quandanche a capo del paese aggredito vi sia un qualsiasi Menelik.
Il discorso va, però, completato. Il tipo di solidarietà che i marxisti offrono a questa resistenza del paese aggredito è rappresentato dallo scatenamento della lotta di classe nelle metropoli per rompere la morsa dellimperialismo e, contemporaneamente, dallestensione di tale lotta di resistenza -da unificare alla propria- proprio per solidificare un autentico movimento anti-imperialista unitario, che può darsi solo attraverso la sua assunzione là da parte di forze autenticamente rivoluzionarie. Unautentica lotta comunista nelle metropoli non esclude, ma al contrario comporta un processo rivoluzionario nei paesi soggetti al dominio imperialista, contro i Menelik, i Saddam, i Milosevic. Chi erige compartimenti stagni tra i due campi nega e calpesta lunica via duscita anti-imperialista, qella rappresentata dal comunismo internazionalista.
Ora, la stragrande maggioranza dei compagni di cui parliamo postula invece la "non intromissione nei fatti interni jugoslavi", il che, a vario titolo, significa precisamente la negazione di cui sopra. Bisognerebbe capire quantomeno che sempre ed in ogni caso ci si intromette nei casi "altrui", in un modo o nellaltro. E infatti: il tipo di solidarietà verso la Jugoslavia che qui si propone manda ai popoli jugoslavi un dato messaggio, indica una data soluzione del problema. La più "estremista" è questa: noi ci diamo da fare qui, contro gli aggressori di casa nostra; voi resistete lì attorno alle vostre intangibili forme di potere, al vostro Stato. Socialisti, anti-imperialisti? Sì, ma ognuno nel proprio paese, ognuno per proprio conto. Stalin insegna (non solo agli stalinisti confessi). Per giustificare meglio questa posizione si può addirittura assumere che la Jugoslavia rappresenti oggi una qualche forma di "socialismo", come non mancherà di affermare qualche brillante, e generoso, giornalista rebelde che, tra un Bella ciao ed un buon sorso di rakia consumati assieme agli attuali "socialisti" jugoslavi, ricorderà le rispettive "lotte di liberazione" di un tempo per concluderne che la lotta continua. Perdente allora (quanto alla liberazione del proletariato e perfino, circa la Jugoslavia, quanto al taglio radicale dei lacci dellimperialismo), catastrofica oggi.
La verità è che non ci si vuol intromettere da comunisti rispetto al proletariato jugoslavo, salutato sì, come dobbligo, per le sue innegabili doti di coraggio "popolare" (e fin qui tutto bene), ma affidato al "socialista" Milosevic, allo stato "socialista" di Belgrado, allalleanza, se non proprio "socialista" presuntamente anti-imperialista, degli stati schierati o schierabili contro la NATO e il suo padrone statunitense. Questa posizione si traduce inevitabilmente qui, in Italia, nella subordinazione del movimento di solidarietà alla logica politica statale, sia pur da "riformare" (Italia indipendente dalla NATO, con una "sua" politica estera di "tradizionale amicizia" -le conosciamo le "tradizionali amicizie" imperialiste!- verso la Jugoslavia etc. etc.); una logica che, di fatto, prescinde dai criteri di classe.
(Dobbiamo qui aprire una parentesi: conosciamo di persona molti bravissimi compagni che, indipendentemente dalle loro idee confuse -se ci è permesso!- sul "socialismo" jugoslavo attuale e sui suoi, ben più sostanziosi, eppur sempre "dubitabili", precedenti, intende "come noi" la necessità di uno schieramento di classe. Le loro confusioni circa l"ambiguità di parte della sinistra e dei movimenti pacifisti" rappresentano, a nostro modo di vedere, un retaggio tradizionalista che gli impedisce di dire pane al pane, vino al vino; ma la loro attitudine, indipendentemente dalle residue illusioni sulla "sinistra" attuale -che è tuttaltro che "ambigua"- non gli impedisce una chiara presa di posizione in senso tendenzialmente internazionalista. Noi non ci indigniamo se essi pensano, allopposto di noi, che Rifondazione Comunista possa essere recuperabile ad una prospettiva di classe; ci piace la loro attitudine militante libera da pregiudizi di schieramento ufficiale e se, su questa base, essi intendono dar battaglia, ciò ci sta bene. Si vedrà in seguito e in conseguenza di ciò, come stanno realmente le cose, e insieme si vedrà perché bisogna andare verso la costruzione, come noi pensiamo, di un diverso ed alternativo soggetto politico.)
Noi, va da sé, la vediamo in tuttaltro modo.
La nostra solidarietà ai popoli jugoslavi è da sempre indirizzata verso il proletariato pluri-nazionale jugoslavo in cui la causa del popolo si riassume coerentemente. Ad esso ci siamo rivolti ben prima del deflagrare dei secessionismi "interni" per indicargli la via dellunità di classe, pan-jugoslavista in prima istanza, internazionalista in termini conclusivi, richiamando a questi temi gli stessi proletari di casa nostra, direttamente coinvolti nella questione dallinizio alla fine. Naturalmente, dando per scontata la difficoltà di smuovere quelli di qui e quelli di là dalla loro inerzia di classe, frutto avvelenato dello stalinismo (e dellimperialismo, di cui lo stalinismo, quello titoista compreso, è il risultato e lagente disfattista nella classe). Questo appello, databile a ben prima del 91, quando labbiamo veicolato, marginalmente, date le condizioni, nella stessa Jugoslavia, comportava -e ancor più oggi comporta- il richiamo a riassumere, lì e dovunque, i propri connotati di classe. I tentativi, che ci sono stati, da parte delle organizzazioni proletarie jugoslave di difendere lunità di classe in Jugoslavia (e per la Jugoslavia), si sono scontrati precisamente con la deriva nazional-indipendentista delle varie rappresentazioni ("socialiste" o anti-socialiste) del potere, quella di Milosevic in primo luogo.
Nessuna di queste poteva figurare, anche solo simbolicamente, neppure quale "jugoslavista". Lo stato "socialista" serbo è stato il primo responsabile di una frantumazione del paese lungo linee di interessi sotto-nazional borghesi che, nellassurda, oltre che distruttiva, visione miloseviciana comportava precisamente una "ragionevole divisione" della "vecchia Jugoslavia" lungo linee di deriva nazionale. La Slovenia se ne vuol andare? Nema problema. La Croazia se ne vuol andare? Nema problema, purché si risolvano i "contenziosi nazionali" tra "comunità nazionali" serbe e croate (e il destino delle Krajne ha poi dimostrato come questa soluzione si è potuta realizzare). Queste le basi minate su cui si è realizzata, allinterno, la divisione del paese per linee nazionalistiche, eterodiretta dallimperialismo.
Nel nostro sforzo di riannodare i fili di unazione di classe noi ci rivolgiamo, invariabilmente, ai proletari in grado di capitalizzare le lezioni degli eventi succedutisi. Con gli operai della Zastava, ad esempio? Sì, ma non limitandoci ad inviare soltanto degli aiuti materiali, bensì richiamando questi compagni indomiti di fronte allaggressione imperialista, al loro dovere internazionalista di classe. Sappiamo che, in questo nostro sforzo, ci incontriamo immediatamente con determinate loro "rappresentanze", che certamente esprimono al meglio (per quel che possono fare delle burocrazie legate allo stato) il potenziale di resistenza, in primo luogo, contro laggressione imperialista. Ma queste stesse burocrazie -e lo dobbiamo ben sapere!- non esprimono alcuna soluzione del problema. Quando ci incontriamo con loro, esse ci invitano invariabilmente ad offrire aiuti materiali (il che sta benissimo) ed a premere verso il "nostro" stato, le "nostre" forze politiche. E, stando a questa ferrea linea statalista, borghese, non fa meraviglia che i nostri sforzi siano salutati con riconoscenza sincera, ma il massimo di attenzione sia rivolto a possibili cambiamenti di orientamento del nostro "quadro politico" ed alla possibilità di un rinnovato rapporto tra esso e lo stato jugoslavo.
Esse espressamente ci dicono: "Noi non possiamo far politica" (vale a dire: unaltra politica rispetto a quella del lealismo, oggettivamente comprensibile, verso Milosevic, visto quel che è l"opposizione democratica" filo-NATO). Non possiamo: cioè, non intendiamo promuovere unazione di classe. Tanto che il potenziale di solidarietà che si profila tra i proletari di tutta la (ex)-Jugoslavia di fronte alla manomissione imperialista viene bellamente trascurato. I movimenti (ancorché piccoli) del proletariato jugoslavista di Slovenia, Croazia, Bosnia etc. etc. non ci coinvolgono, non ci interessano ("dato il loro scarso peso"), di fronte alla nostra causa statale piccolo-jugoslava. Non sono forzature, è la semplice trascrizione di quel che esse ci hanno espressamente detto. Anche quando si è tentato, da parte loro, di promuovere un incontro sindacale europeo, lo si è fatto badando più (od esclusivamente) alle rappresentanze statali dei lavoratori che allesercito di classe, ricevendone, tra laltro, impreviste chiusure.
Se noi ci fermassimo al semplice, sia pur vitale e doveroso, "aiuto materiale", concorreremmo a questa colossale mistificazione del problema, foriero solo di nuovi disastri. Il nostro tentativo è di arrivare direttamente, anche utilizzando questi canali, al cuore della classe operaia jugoslava nel suo complesso. Ad essa noi diciamo: liniziativa di rivolgersi alla classe operaia occidentale è la strada su cui dovete impegnarvi, impegnarvi politicamente. Su questo noi possiamo darvi la mano (piccola, per ora) che vi serve, e nessuno ve ne darà unaltra efficace. La vostra indomita resistenza allimperialismo, quello delle bombe e quello dell"opposizione democratica" da esso foraggiato e diretto, ve ne dà la possibilità, il diritto, il dovere. Per salvare voi stessi, per salvare linsieme inscindibile del nostro esercito di classe.
Noi non siamo soliti edulcorare le amare pillole. Sappiamo benissimo che, anche ove potessimo rivolgerci direttamente alla massa proletaria, incontreremmo oggi, sia pure in modi diversi, le "stesse" incomprensioni con cui ci scontriamo quando ci troviamo a tu per tu con le sue rappresentanze ufficiali. Labbiamo detto in più di unoccasione: il tito-"stalinismo" è responsabile di un crimine storico innanzitutto, quello di aver deprivato (dopo averlo chiamato a lotte eroiche, dopo essersi appoggiato su uninstancabile energia proletaria, dopo aver molto "concesso" corporativamente a questa sua base sociale costitutiva) il proletariato jugoslavo dei suoi connotati indipendenti ed antagonisti di classe: autogestione come "buon affare di mercato" per tutti, dispotismo illuminato di stato ("socialista") per tutti, nazionalismo per tutti (pan-jugoslavo sin che si è potuto e poi quel che è stato). Questa la spirale che deve essere spezzata. E che non sarà spezzata dalla "naturale" evoluzione della situazione con la ri-acutizzazione dello scontro di classe interno e di quello con limperialismo, ma solo a condizione che unavanguardia comunista lì e qui si impegni a tracciare un bilancio di classe di questa interminabile deriva (non semplicemente jugoslava, ma internazionale) e ponga basi teoriche e politiche chiare per la ripresa dellautonomia della classe. La "contestazione" che muoviamo qui a determinati indirizzi a-classisti di "solidarietà con la Jugoslavia" e lì a un determinato "jugoslavismo" non è di non vedere già presente in scena un proletariato protagonista e antagonista (che al momento non cè), è di non saper e voler preparare il terreno al suo ritorno in campo, anzi di contribuire -al di là delle intenzioni- a ritardarne il ritorno in campo.
"Noi siamo innocenti, non facciamo politica; le colpe sono tutte dei politicanti". Questo ritornello, ricorrente tra i lavoratori jugoslavi, ci dice perché di tutto quel che è successo non si riesce a cogliere il senso e tanto meno a dargli una risposta. Ma chi "non fa politica" ne fa sempre una, quella degli altri. I proletari jugoslavi, brutalmente sbattuti dinanzi allimprevista e tuttora "inspiegabile" aggressione imperialista, devono riacquisire la capacità ed il gusto di fare la propria politica ed è in questo che noi, soprattutto, dobbiamo essere solidali con essi.
A questi principi è commisurata la nostra solidarietà. Raccolta di fondi, medicinali, beni di consumo? Naturalmente sì, e noi possiamo tranquillamente asserire di aver fatto e di fare su ciò la nostra parte, non secondi a nessuno in relazione ai nostri effettivi. Ma, in primo luogo, questa raccolta non si fa in modo neutro: essa è parte di una battaglia di contro-informazione, denunzia, mobilitazione di forze di classe da condurre in seno al proletariato ed alle masse per unautonoma azione indipendente ed antagonista. La si fa, ad esempio, rivolgendosi con forza ai lavoratori immigrati mostrando ad essi come lo schiacciamento della Jugoslavia da parte dellimperialismo faccia il paio col loro schiacciamento qui da parte della borghesia nostrana; la si fa cercando di rompere il muro che divide gli immigrati jugoslavi qui dai nostri lavoratori e la conseguente loro disorganizzazione in quanto soggetto di classe (o, magari, la loro aggregazione attorno alle proprie ferite bandiere nazionaliste). La si fa anche rivolgendosi, come abbiamo fatto noi e militanti USA, agli assoldati della NATO di estrazione popolare per tentare di rompere, comè possibile, il loro asservimento ai criminali che li sfruttano come cani da guardia.
Può questa azione, mettiamo il caso, arrivare allabolizione dellembargo contro la Jugoslavia? Sì, potenzialmente, se essa sarà in grado di contrapporsi alla logica dellimperialismo. No, se essa dovesse rimaner subordinata alle "prospettive" dei giochi politici e governativi interni od esterni, a meno che questi ultimi non vedessero nellabolizione una carta a proprio favore. La fine dellembargo non è per noi lo "scopo"; lo è, invece, la lotta contro gli embargadori che da questa lotta vanno piegati. Non cè nessun "diritto internazionale da ripristinare", perché, ove non si aggredisse a fondo il quadro del dominio imperialista attuale, non ci sarebbe comunque posto per alcun tipo di ritorno allantico "diritto" (alla vecchia Jugoslavia "sovrana" nel presunto concerto di tutti gli altri stati "egualmente sovrani"): limperialismo embarga, e sempre più di fatto, tutto il mondo.