Intervista con due sindacaliste della Zastava

 

L’intervista che segue è stata realizzata il 15 luglio scorso a Mestre con due rappresentanti sindacali della Zastava presenti in Italia per un giro di incontri pubblici. Essa costituisce un buon esempio dell’attitudine delle burocrazie sindacali jugoslave di cui parliamo nell’articolo. In particolare della loro tendenza ad enfatizzare, nel rapporto con gli organismi di "solidarietà alla Jugoslavia", il dato degli aiuti materiali e ad eludere i nodi politici decisivi che sono dinanzi al proletariato jugoslavo. Lo scioglimento di tali nodi anzi, viene delegato (in termini disastrosi per la classe) alle istituzioni statali jugoslave: si veda, ad esempio, la totale sottovalutazione della nuova aggressione imperialista in incubazione via Montenegro. Un altro modo di eludere i compiti di classe è quello di fornire una rappresentazione edulcorata o addirittura falsa della realtà: ad esempio, a noi non consta affatto che ci siano, come esse affermano, "ottimi rapporti con i sindacati delle repubbliche ex-jugoslave", bensì piuttosto dei rapporti pressocché inesistenti, nonostante non mancherebbero di certo le ragioni per lavorare a ripristinarli -in campo sindacale e politico- su nuove basi meno fragili di quelle titoiste. È invece questa la direzione di marcia che noi non ci stancheremo di indicare.

Domanda - Vorremmo partire, sulla scia del vostro intervento di oggi, dal tema degli aiuti materiali che avete ricevuto, per chiedervi da chi avete ricevuto solidarietà e come sono stati gestiti questi aiuti.

Risposta - Gli aiuti sono venuti soprattutto, anzi soltanto, dall’Italia e dalla Germania. Il sindacato italiano, o meglio le Rsu della CGIL, hanno avviato i progetti di solidarietà.

Per quanto riguarda l’attrezzaggio del presidio sanitario della Zastava, hanno già consegnato un apparecchio per la mammografia che purtroppo adesso non funziona, ma speriamo di attivarlo quanto prima. È un apparecchio molto importante, perché a Kragujevac una donna su due ha il cancro al seno, e i medici già avvisano che sta iniziando una vera e propria epidemia dei tumori. La situazione è molto grave perché mancano i farmaci e le apparecchiature per la diagnosi.

Questo progetto è nato con la consegna delle medicine, abbiamo creato una "farmacia umanitaria" nell’ambito del presidio sanitario della Zastava. Le consegne delle medicine vengono severamente controllate. Questo lo dico perché, e lo sanno tutti, con gli aiuti umanitari si fa un grande business.

Per questo noi controlliamo tutti i malati, i lavoratori e i loro familiari che vanno dal medico e che ottengono delle ricette, e che poi vengono al presidio sanitario per la consegna delle medicine.

C’è un altro progetto che riguarda i farmaci prioritari di cui abbiamo bisogno, per i diabetici, i cardiopatici, gli epilettici e gli asmatici, tutte malattie causate dallo stress. Con questa situazione, l’embargo, che dura già da dieci anni, si capisce a quali condizioni di stress è sottoposta tutta la popolazione.

C’è un altro progetto che all’inizio non abbiamo pensato perché non lo conoscevamo, che è quello delle adozioni a distanza. Per noi, per i nostri lavoratori, è un aiuto prezioso, perché se si tiene conto che il salario di un lavoratore disoccupato è pari a 20.000 £ al mese, potete capire che con 50.000 £ al mese viene aiutata l’intera famiglia, e grazie a questo molti hanno potuto sopravvivere all’inverno scorso. Purtroppo non sappiamo cosa succederà in futuro, perché molte adozioni finiscono a settembre-ottobre. Ci sono già degli amici della FIOM di Lecco e altri che vogliono continuare in questa attività, invitando gli aderenti a proseguire, perché la situazione, invece di migliorare, è peggiorata.

.D. - Ritornando un po’ indietro e ripercorrendo anche i passi della vostra lotta, della vostra resistenza all’aggressione occidentale, voi l’anno scorso avete indetto un’assemblea a Kragujevac, presso la fabbrica della Zastava, invitando rappresentanti degli altri sindacati delle ex repubbliche jugoslave e di altri paesi europei. Erano anni che non ci si ritrovava insieme. Secondo noi, bisogna continuare in questa prospettiva, rivolgervi agli altri lavoratori, fuori dalla Jugoslavia, nonostante ci sia stata una ben scarsa solidarietà verso di voi, durante la guerra e dopo. Perché questo "aprirsi" verso i lavoratori degli altri paesi, l’appello alla solidarietà e all’unità internazionale del proletariato ha un significato politico molto importante. Anzi decisivo.

R. - No, non aprirsi, noi siamo stati sempre aperti nei confronti dei lavoratori, perché abbiamo capito molto bene, come hanno evidenziato gli amici che sono stati a Kragujevac, che non c’è un briciolo di odio o di qualcosa del genere nei confronti degli amici stranieri che sono venuti, perché la gente ha capito molto bene che non sono stati i lavoratori dei paesi occidentali a decidere l’aggressione.

Siccome noi non possiamo decidere sulle decisioni dei nostri governi, così neanche voi potevate decidere. Allora non è colpa dei popoli, dei lavoratori, della gente comune. Sono le decisioni dei padroni della guerra e dei padroni del capitale. Noi siamo sempre stati aperti per costruire questi ponti di amicizia, perché siamo noi che dobbiamo decidere sul destino nostro, sui nostri governi, sulle decisioni, sulla vita dei nostri bambini e del nostro futuro. Siccome noi non possiamo scegliere i padroni e i governi stranieri, così vogliamo essere noi a decidere del destino del nostro paese.

D. - Con gli altri lavoratori della Jugoslavia, della ex Jugoslavia, ci sono dei rapporti di solidarietà ?

R. - Si, abbiamo ottimi rapporti con i sindacati delle ex repubbliche jugoslave. È la cosa più importante, perché noi siamo sicuri che non è stata la popolazione a decidere sullo sfascio della ex Jugoslavia, così come siamo sicuri che questo non sarebbe mai successo senza l’aiuto e il fuoco che è stato acceso da fuori.

D. - E rispetto all’IG Metal della Germania ?

R. - I sindacati regionali dell’IG Metal delle dieci città più importanti della Germania hanno pure loro avviato dei progetti di solidarietà che sono stati espressi in vari modi, con spedizioni di aiuti umanitari di materiali di prima necessità. Sono anche arrivati dei materiali un po’ di lusso, per noi che siamo gente abituata a niente, eccetto quello che riteniamo fondamentale.

Poi un altro aiuto preziosissimo è stato il regalo di un tornio modernissimo, ce ne sono solo due nel paese di questo modello. Questo tornio con dodici metri di superficie di lavoro ci ha consentito di fare un contratto e di far lavorare molti lavoratori. È l’aiuto più prezioso di tutti, perché come dice quel vecchio proverbio cinese, se un uomo non ha da mangiare e gli dai un pesce è sazio per un giorno, ma se gli insegni a pescare è un aiuto per sempre. Così questo impianto per noi ha un significato particolare, perché così si può guadagnare, che è la cosa che desiderano tutti i lavoratori, guadagnare e fare una vita degna di un uomo.

D. - Leggiamo tutti i giorni sui quotidiani nazionali, e c’è un editoriale anche oggi, in prima pagina sulla Stampa, in cui s’invita l’Europa, ad agire in profondità, insomma a tornare all’attacco contro la Jugoslavia, in particolare attraverso la secessione del Montenegro. Come vi collocate rispetto a queste nuove aggressioni in preparazione?

R. - La gente comune questa tensione della quale parlano i media occidentali non la sente perché la gente è sempre stata insieme come nella ex Jugoslavia. Tenendo conto che in Serbia ci sono 600.000 montenegrini e in Montenegro soltanto 450.000, questo significa che ci sono più montenegrini in Serbia. Siamo stati insieme da secoli, ma con tutte le cose che sono state fatte da fuori, possiamo solo sperare che non accendano un altro fuoco come hanno già fatto. Rimane il fatto che la gente che ha lo stomaco vuoto non può fare politica, ma deve pensare a sfamare i bambini, e può comunque essere facilmente manipolata.

Allora non si sa, non possiamo prevedere; ma speriamo nel fatto che abbiamo buonissimi rapporti con il sindacato montenegrino, e che il popolo non sente queste cose. Non sappiamo cosa succederà.