America Latina

ARGENTINA: "NI UN PASO ATRAS"

 

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Pubblichiamo un contributo che ci viene da un compagno argentino sulla situazione di questo paese sudamericano. Anche questo intervento ci conferma come sia importante per i comunisti seguire con attenzione lo scenario latino-americano e le tendenze che vi si stanno delineando, per fare i conti con l’insieme di problemi che si pongono di fronte alla ripresa delle lotte e dell’antagonismo.

 

Negli anni ’80 l’imperialismo ha adeguato la sua strategia in Argentina e, in generale, nell’America Latina. Le dittature militari sono state sostituite dai governi "democratici" (prima quello del radicale Alfonsin, poi quello del peronista "annacquato" Menem ed ora quello del socialdemocratico de la Rua) che hanno assecondato le politiche delle centrali estere dell’imperialismo, obbedendo fedelmente ai diktat a suon di "piani di risanamento" del Fmi e della Banca Mondiale. L’applicazione delle politiche ultra-liberiste è stata esaltata dai centri di potere mondiali, che hanno parlato addirittura di "miracolo economico". Il miracolo consisterebbe nella relativa stabilità finanziaria recuperata con l’abbattimento dell’inflazione dai livelli di fine anni ’80 -pari al 2.500%- all’attuale 1% e con il contenimento del deficit pubblico. Ma le cure da cavallo attraverso le quali il "risanamento" è stato imposto e viene proseguito hanno comportato e comportano conseguenze disastrose per la stragrande maggioranza della popolazione.

Gli effetti del ricambio democratico

In realtà l’unica crescita che si è verificata in Argentina è quella del guadagno dei grandi gruppi economici, esteri e in subordine nazionali. Nei processi di privatizzazione, le multinazionali si sono impadronite delle attività più redditizie, quali i servizi di telefonia, elettricità, acqua e altre attività. Inoltre, grazie alle manovre con le quali l’imperialismo domina il mercato mondiale, l’Argentina, che una volta era il primo produttore di carne al mondo, si trova ora nella situazione di dover importare carne. Le istituzioni internazionali del "libero commercio" hanno imposto la riduzione del protezionismo, favorendo -tramite l’abbassamento forzato delle tariffe- i prodotti d’importazione e mettendo fuori competizione le industrie locali. Il debito estero, infine, è salito dai circa 48 miliardi di dollari dell’era Alfonsin agli oltre 77 miliardi del ’97 con un servizio del debito che assorbe circa il 32% del valore delle esportazioni

La borghesia locale, per restare in qualche modo in corsa sul mercato mondiale, segue una sola via: l’intensificazione dell’offensiva contro la condizione dei lavoratori per abbassare i costi di produzione. Nel corso degli ultimi anni sono state penalizzate le condizioni di lavoro nei diversi contratti di categoria, molti dei quali sono stati sostituiti con contratti personali o "per agenzie" o semplicemente dal lavoro nero. La situazione contrattuale è ulteriormente peggiorata con l’approvazione della legge sulla flessibilità, che sancisce la completa precarizzazione della classe lavoratrice argentina.. (Ciò ad ulteriore dimostrazione di come si sia in presenza di un attacco del capitalismo a scala mondiale: le misure di flessibilità e la tendenza verso la precarizzazione della classe lavoratrice in Argentina, come in Italia e in tutto l’Occidente, procedono secondo una direttrice unitaria ferme restando tutte le corpose differenze nella situazione del proletariato tra paesi imperialisti e paesi controllati e dominati). Riportiamo un dato significativo: tra il 1990 e il 1994 l’occupazione nell’industria è calata del 60%, mentre la produttività per operaio è aumentata del 38% a causa di un 17% d’ore lavorate in più, degli incrementi dei ritmi di produzione e dei diversi meccanismi di flessibilità, insomma a causa del brutale accrescimento dello sfruttamento del lavoro operaio. Senza contare che il più delle volte non vengono riconosciute le tredicesime, le ferie, il pagamento dei contributi previdenziali, gli indennizzi per malattie, le assicurazioni. Nel frattempo la disoccupazione e la sottoccupazione aumentano vertiginosamente.

L’effetto di queste misure in seno alla società è disastroso: crollo verticale dei diritti dei lavoratori, smantellamento della sanità e della scuola pubblica, distruzione dello stato sociale, insomma un impoverimento generale della società sul quale lucrano i propri dividendi le centrali estere dello sfruttamento e cerchie ristrette di borghesia nazionale sempre più sottomesse all’imperialismo.

Ecco come l’imperialismo "risana", a proprio esclusivo vantaggio, i conti dei paesi dominati! Ecco che cosa sta rappresentando per l’Argentina, l’ex-"Svizzera dell’America Latina", l’ulteriore sottomissione alle politiche di Fmi e soci!

Prime risposte

In quest’opera di rapina l’imperialismo ha potuto avvalersi della sostanziale collaborazione fornita dalla borghesia nazionale venduta e dai suoi governi, sia menemisti sia socialdemocratici. Al tempo stesso ha fatto leva sulla debolezza della classe operaia argentina, falcidiata, nella organizzazione e negli effettivi, prima dalle feroci repressioni della dittatura militare (il 30,2% dei desaparecidos erano quadri attivi operai e sindacali di base) e poi dalla deindustrializzazione e dall’estendersi della disoccupazione di massa.

Nondimeno il generale arretramento delle condizioni del proletariato non è passato senza resistenza da parte della classe lavoratrice, si sono date anzi mobilitazioni che hanno cercato di collegarsi da un capo all’altro del paese. L’opposizione si è andata organizzando diffusamente in tutto il territorio argentino, assumendo diverse forme di lotta. Le promesse dei diversi governi sono via via cadute, e ciò per reazione ha indebolito l’illusione che i problemi concreti che pesano sulla popolazione possano essere risolti a Buenos Aires, nel parlamento nazionale, sempre più riconosciuto come un covo di mafiosi e corrotti. A tutto ciò i governi democratici hanno risposto con metodi repressivi che per certi versi ricordano il periodo dell’ultima dittatura militare, con arresti di lavoratori e sindacalisti e anche diverse vittime. Ecco gli episodi più significativi di questi ultimi anni.

Nel maggio ’96 gli abitanti di Cutral Co e Plaza Huincul, in Patagonia, bloccarono la strada statale 22. Il blocco andò avanti per 7 giorni e 7 notti, con assemblee popolari in cui si discuteva la grave crisi occupazionale e sociale di queste città. Furono accesi allora i primi Fogones (focolai) per la preparazione in comune dei pasti. Furono giorni di tensione e di affratellamento. Un grande esempio di organizzazione di massa: i dimostranti, di fronte alla minaccia di far intervenire la gendarmeria, rinforzarono i picchetti munendosi di fionde. Si arrivò allora ad un accordo, che però non venne rispettato. Per questo, un anno dopo, il blocco stradale riprese per 3 giorni e 3 notti. E questa volta il blocco fu represso nel sangue. I protagonisti di questa episodio di resistenza sono stati ribattezzati Fogoneros.

Nel ’97, all’altro capo dell’Argentina, a Jujuy nell’estremo Nord, fu privatizzata la compagnia di distribuzione dell’energia elettrica con aumento delle tariffe; al tempo stesso chiuse la fabbrica dello zucchero, lasciando senza lavoro 4000 operai. In risposta a queste misure la popolazione decise il blocco della strada statale 34 che collega l’Argentina con la Bolivia. Furono alzate le prime barricate e organizzati i picchetti. Il giorno dopo l’inizio dei blocchi, assieme ai 200 Piqueteros a bloccare la strada erano in 5000. Anche in questa occasione ci fu una dura repressione attuata da corpi scelti della gendarmeria.

Più di recente, nel dicembre ’99 nella provincia di Corrientes, a Nordest, una massa di manifestanti, che aveva bloccato un ponte per protesta contro il mancato pagamento di stipendi arretrati, è stata attaccata dalla polizia del governo di "sinistra" di Fernando de la Rua. L’attacco che è stato sferrato di notte e a sorpresa ha causato 7 morti. Dopo questa feroce repressione la mobilitazione si è rafforzata e ha lanciato a tutte le realtà di lotta un appello per un congresso popolare che si è tenuto il maggio scorso.

Lo scorso maggio poi vari sindacati e forze politiche e sociali hanno organizzato una giornata di protesta contro il Fondo Monetario Internazionale e la manovra economica da esso imposta: Buenos Aires è stata paralizzata dai dimostranti. Il 9 e 10 giugno la Cgt (Confederazione Generale del Lavoro) ha indetto due giornate di sciopero contro le misure governative con il 64% di adesioni tra i lavoratori. Lo sciopero si è svolto in contemporanea con un’analoga iniziativa assunta dai lavoratori in Uruguay, anche qui contro la politica economica del governo, a dimostrazione di una dimensione potenzialmente non limitata ai confini nazionali della protesta sociale contro le politiche delle borghesie sudamericane e dei loro padrini imperialisti.

Problemi che si pongono

Le masse dunque hanno iniziato ad attivizzarsi, come per istinto e necessità, iniziando a dar vita a forme proprie di organizzazione. Comincia a farsi strada il richiamo alla necessità di una lotta vera consacrato nelle parole d’ordine delle Madri di Plaza de Mayo: "Ni un paso atras"("Nessun passo indietro") e "La unica lucha que se pierde es la que si abandona" ("L’unica lotta che si perde è quella che si abbandona). "A problemi concreti soluzioni concrete": è l’altra idea che comincia a prevalere tra gli strati coinvolti dalle politiche del governo. Questo atteggiamento è tanto più significativo di fronte al fatto che i tradizionali partiti e organizzazioni della "sinistra" -quella istituzionale e buona parte di quella "rivoluzionaria"- non si sono degnati di prender parte, organizzare, indirizzare le mobilitazioni. I vertici della sinistra istituzionale, ma anche un settore della cosiddetta estrema, hanno esaurito la propria "combattività" nella recente battaglia elettorale dentro le regole della democrazia parlamentare, trascinando dietro di sé gran parte della militanza, che con impegno e volontà si è data da fare, ma sul campo tracciato dal nemico di classe. Questi settori della sinistra si sono totalmente tuffati nella contesa elettorale, dove erano presenti ben sei opzioni di sinistra estrema, con risultati peraltro molto poco lusinghieri (nessuna è arrivata all’1%). Tra i militanti han preso piede sfiducia e delusione, conseguenze della illusione di poter recuperare sul terreno elettorale quello che non si è stati e non si è in grado di fare sul vero campo di battaglia.

La realtà è che, mentre le condizioni oggettive di oppressione e sfruttamento, unite al fenomeno della corruzione istituzionale (del tutto intrinseco al sistema capitalista), si acutizzano, scuotendo la società e mettendo in crisi l’intero sistema istituzionale, un ampio settore della sinistra "rivoluzionaria" si è istituzionalizzato, ha accettato le regole del gioco imposte dalla classe dominante, ha voluto illudere le masse sulla possibilità di poter risolvere i problemi per questa via elettoralistica, piuttosto che affrontandoli nello scontro reale che si apre.

In tal senso hanno pienamente ragione le Madri di Plaza de Mayo a mostrare disprezzo per il "partitismo" mummificato di una "sinistra rivoluzionaria" senza alcun contenuto di effettiva opposizione al capitalismo. Mentre la loro battaglia, che mai è cessata in questi anni contro la borghesia argentina e i suoi governi, si inserisce e confluisce oggi dentro un reale movimento, sebbene dai tratti ancora confusi. Certo, questo "movimentismo" (di assoluto rispetto, però) non può dare pienamente risposta ai nodi che pure si trova davanti allorché aggredisce certi aspetti e si scontra con certi effetti del sistema capitalistico. Ma reca in sé, come ogni movimento che non si ritrae dai suoi compiti, una domanda di prospettiva e di complessivo orientamento, teorico e politico, della lotta stessa, al di là del suo grado di consapevolezza immediata. In questo senso evocando di fatto la necessità del marxismo come partito, come viva arma di lotta di una battaglia che per essere portata fino in fondo deve affrontare il capitalismo, deve aggredire alla radice l’intero assetto della dominazione mondiale dell’imperialismo. La creazione ad opera di Las Madres de Plaza de Mayo, dopo anni di dura lotta, dell’Università Popolare e, in essa, della cattedra sul Che Guevara, esprime, a suo modo, il bisogno -ma ancora solo questo- della formazione di quadri politici capaci di elevare sé e le masse a un programma di classe.

Anche questi primi segnali di lotte di massa in Argentina, che devono fare a meno dei capi "tradizionali", esprimono dunque la necessità per chi scende in campo di dotarsi di una propria teoria e di un proprio programma. Esprimono la necessità di una "direzione", che sappia valorizzare a fondo tutta la capacità del movimento spontaneo e il decisivo protagonismo delle masse, senza limitarsi però ad esserne il mero megafono. E ciò a cominciare dall’esigenza vitale del collegamento -non solo locale, ma internazionale (non solo di area o continentale)- delle lotte dei "Piqueteros" argentini e del mondo intero compresi quelli che si stanno riorganizzando nel cuore dell’imperialismo dominatore, in quegli Stati Uniti che vanno "latino-americanizzando" fasce sempre più estese del proletariato locale.