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SELEZIONE SCOLASTICA, SELEZIONE DI CLASSE!

 

L'antiquata visione classista...

Un recente studio sui laureati alla Sapienza di Roma e alla Ca’ Foscari di Venezia giunge alla seguente conclusione: "la probabilità che un laureato consegua una posizione professionale elevata cambia sostanzialmente a seconda della sua provenienza sociale. In particolare, nelle posizioni di più alto livello (imprenditore, libero professionista, dirigente) si assiste a un auto-reclutamento all’interno dello stesso ceto sociale". Il che è dovuto "solo in parte alla scelta di percorsi di studio con diversa redditività sul mercato, dato che "indipendentemente dalla spendibilità di un titolo, la provenienza sociale può creare delle corsie preferenziali di accesso verso segmenti che si collocano al centro o alla periferia del mercato del lavoro, inserendo il laureato in circuiti professionali più o meno virtuosi" (da I laureati di Ca’ Foscari, a cura di G. Costa, Libreria Editrice Cafoscarina, 1995, p.208).

L’Unità del 26.11.’95, a commento di uno studio del MPI:
"La scuola si conferma come uno dei fattori che tende a perpetuare l’attuale stratificazione sociale. La professione e il titolo di studio dei genitori influiscono fortemente sulla scelta dell’indirizzo scolastico. L’80% dei padri laureati iscrive i figli ai licei, mentre l’80% dei padri con licenza elementare preferisce iscriverli ai tecnici. E sono questi ultimi a registrare il maggior numero di fallimenti scolastici in termini di abbandoni, ritardi e interruzioni".

E la visione classista della società sarebbe poi superata...

Nelle scorse settimane i quotidiani hanno recensito una ricerca dell’Istat sulla selezione scolastica nella scuola superiore. Da essa emerge una terna di numeri magici: 22.9, 18.2 e 9.3. Sono le percentuali di alunni bocciati rispettivamente negli istituti professionali, nei tecnici e nei licei.

Come si vede, i tempi del "diploma-facile" e delle "promozioni assicurate" sono finiti. La ricerca dell’Istat mostra, infatti, che la scuola, a partire dalla metà degli anni Ottanta, è tornata a essere un severo luogo di studio dei (più o meno rinnovati, ma classisti più che mai!) "programmi ministeriali". Non doveva essere questa la panacea per le incerte prospettive occupazionali dei giovani? Così assicuravano negli anni scorsi tutti i benpensanti, per i quali i guai delle "nuove generazioni" si originavano dalla loro scarsa qualificazione e dalla disabitudine ai sacrifici e alla disciplina. Ebbene, la loro ricetta ha trovato applicazione. Ma... non ci sembra che la disoccupazione giovanile sia diminuita: anzi, come mostriamo qui a lato, essa ha continuato ad aumentare. Né ci sembra che la gran parte dei nuovi posti di lavoro (laddove sono stati creati: ad esempio nel Nord-Est) sia caratterizzata da un crescente contenuto tecnologico: sono invece sempre più lavori precari e dequalificati.

Da qui una prima conclusione: per la massa dei giovani proletari e senza riserve, l’equazione "scuola più selettiva=maggiori probabilità di trovare lavoro" ha fatto fallimento. Ma quella terna di numeri magici non denuncia solo questo. Essa mostra che la percentuale delle bocciature negli istituti tecnici e professionali è più che doppia rispetto a quella riscontrata nei licei. "E’ un paradosso, commenta l’Unità: la selezione è più acuta proprio nei corsi di studio considerati meno impegnativi". No, non è un paradosso, ribattiamo noi comunisti. Nei "corsi di studio meno impegnativi" c’è, infatti, una quota di giovani senza riserve maggiore che negli altri. E su questa componente della "popolazione studentesca" il criterio "culturale" del "si promuove chi lo merita" opera una vera e propria falcidia.

Come può, infatti, "meritare la promozione" chi, al di fuori della scuola, vive in un ambiente culturalmente svantaggiato (perché economicamente sfruttato)? Come può prepararsi per arrivare alla fatidica "sufficienza" chi, per aiutare la propria famiglia a far quadrare dei conti sempre più in rosso, è costretto il pomeriggio ad arrabattarsi in lavori e lavoretti? O chi sente che al termine degli studi, per la sua provenienza sociale, diploma o non diploma, lo aspetta un uguale destino di precarietà e disoccupazione? E’ un caso che una recente ricerca sulla condizione giovanile (v. Liberazione del 4.6.’95) riscontri una crescita più accentuata dell’incertezza tra gli studenti dei tecnici e professionali rispetto ai loro "colleghi liceali"?

Attraverso questi e altri mille fili "invisibili", le leggi di funzionamento del capitalismo portano gli studenti provenienti dalle "famiglie più svantaggiate" a incontrare "crescenti difficoltà nello studio" e congiurano all’espulsione dalla scuola superiore di una quota crescente di quella parte della gioventù proletaria che vi fa ingresso. Per andare dove? A infoltire l’esercito dei disoccupati, dei sottoccupati, dei precari, in una parola di quell’esercito industriale di riserva che il capitalismo genera e usa come arma di pressione contro il proletariato occupato. Oltre a favorire la riduzione della spesa per l'istruzione, la selezione scolastica mette a disposizione della borghesia una cartuccia in più per deprimere le condizioni del proletariato e per frantumarne la forza organizzata.

E' allora così misterioso individuare la classe sociale che trae vantaggio dal ripristino della "scuola meritocratica"? La selezione scolastica (con il suo fedele codazzo di autoritarismo) è un tassello dell'attacco generale contro la classe operaia e gli sfruttati che il capitale e i suoi governi hanno sferrato da vent’anni a questa parte. Un tassello nient’affatto compiuto, se è vero che i vertici confindustriali chiedono insistentemente l’introduzione dell’autonomia scolastica. La promessa è sempre la stessa: essa garantirà maggiore qualificazione, maggiore aderenza dei corsi di studio alle richieste del mercato e, quindi, maggiore possibilità per i giovani di trovare lavoro.

La realtà sarà opposta: l’autonomia scolastica comporterà una riduzione drastica della spesa statale per l’istruzione, un’impennata dei costi che le famiglie dovranno sostenere per mantenere a scuola i propri figli, l’ulteriore degrado dei "corsi di studio meno impegnativi"... e una più accentuata selezione sociale della "popolazione studentesca".

Si è vero, qualche giovane proletario troverà in questa riorganizzazione la sua "ruota della fortuna". Ma alla gran parte di quei giovani proletari e senza riserve che, a prezzo di enormi sacrifici, saranno riusciti a superare l’ancor più selettivo percorso scolastico che la classe dominante intende introdurre, a questa massa di giovani l'autonomia scolastica spalancherà davanti lo stesso spettro della precarietà e della disoccupazione incontrato da coloro che si sono "persi per strada". Guardare per credere quello che sta accadendo in quel segmento dell’istruzione italiana dove la riorganizzazione autonomistica ha già fatto seri passi in avanti, e cioè nelle università. Qui l’aumento delle tasse e l’articolazione dei percorsi di studi in più stretta aderenza alle esigenze delle imprese hanno portato non solo a un taglio ulteriore della già ridottissima percentuale di studenti provenienti da famiglie proletarie, ma anche a una "minore spendibilità" sul mercato del lavoro della loro laurea rispetto a quella di pari livello dei loro coetanei borghesi.

Da qualunque punto si guardi la cosa, la classe operaia e la massa dei giovani senza riserve hanno interesse a opporsi a ogni meccanismo che accentui la selezione nella scuola e a opporvisi come parte della resistenza al più complessivo attacco anti-proletario che sta sferrando la borghesia. La classe dei capitalisti sfrutta ogni articolazione del suo sistema sociale per far avanzare la propria offensiva. Al proletariato fare altrettanto per potenziare la propria battaglia difensiva.

Sono state quindi sacrosante le proteste a cui hanno dato vita gli studenti negli ultimi due anni contro i progetti di autonomia scolastica, l’aumento delle tasse e il crescente autoritarismo nelle scuole. Non saremo certo noi comunisti a predicare un disimpegno da questo terreno di lotta con la motivazione apparentemente estremista che esso non investe le "centrali" questioni operaie. Anzi, noi per primi indichiamo la necessità di prepararsi a rispondere anche all’interno delle scuole alla politica anti-proletaria del governo Prodi, il quale avrà anche messo da parte un Lombardi, ma solo per tentare di attuarne la sostanza dei progetti dietro la ridicola bandiera di "un’aula, un computer". Il problema è come portare avanti questa battaglia affinché essa, anziché rinchiudersi in uno studentismo senza prospettive, si ricongiunga alla più generale battaglia contro gli altri aspetti dell’attacco borghese e al soggetto che, solo, può esserne il perno: il proletariato (pur se al momento alquanto "bloccato").

Per muoversi in questa direzione occorre conservare il livello di organizzazione conquistato nelle scuole negli ultimi due anni e rafforzarlo nel senso di una maggiore unità tra i collettivi sorti in vari istituti, in varie città e in varie regioni. Insieme a ciò, è però necessario che, innanzitutto all’interno di questi organismi, si faccia strada la consapevolezza che le contro-riforme scolastiche e l’incerto futuro che aspetta la massa dei giovani al termine degli studi hanno la loro origine fuori della scuola, nella società borghese a cui la scuola è funzionalizzata (già oggi e anche nel suo settore statale). L'opposizione agli attacchi al "diritto allo studio" deve quindi diventare un momento per l’organizzazione e la mobilitazione di quel settore del mondo degli sfruttati che oggi subisce gli effetti della dominazione borghese nella scuola e domani li subirà sul marciapiede del mercato del lavoro. Deve diventare un’occasione per farlo riconoscere come tale e fargli portare forza alla costruzione di quel fronte unitario di classe contro la borghesia e il capitalismo, che, solo, potrà permettere a ciascun singolo reparto proletario di difendersi nel proprio terreno specifico e, domani, di applicare la selezione di classe al contrario, per espellere dalla faccia della terra questo putrescente sistema borghese.

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