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La nostra attività

Al meeting di Parigi

Per quanto più volte rinviato (inizialmente era previsto quasi a ridosso dello sciopero francese di questo inverno) e ridimensionato rispetto alle potenziali caratteristiche iniziali, si è tenuto lo scorso 11 maggio a Parigi un meeting europeo contro la disoccupazione. Esso ha visto mobilitati militanti di diversi partiti europei, dal Pc francese a Rifondazione Comunista all’Izquierda Unida spagnola. Questo appuntamento è una riprova di come, pur tra molte difficoltà, cominci a farsi strada tra un settore di militanti proletari la percezione della necessità di collegamenti internazionali utili ad affrontare un’offensiva antioperaia sempre più chiaramente generale a scala ben altrimenti che nazionale.

In ragione di ciò l’OCI è intervenuta a questo appuntamento con un’iniziativa di propaganda verso i militanti proletari presenti. Alla diffusione della nostra stampa abbiamo unito un intervento specifico attraverso un volantino diffuso in quattro lingue sui nodi politici di fondo che la manifestazione richiamava. Abbiamo puntato a sottolineare la necessità improrogabile di tessere collegamenti tra le diverse sezioni del proletariato europeo e internazionale come mezzo per affrontare unitariamente il nemico di classe al livello attuale dello scontro. I prossimi scontri esalteranno ancor più questa necessità. In vista di tale obiettivo è però necessità improrogabile per il proletariato abbandonare e combattere punti di vista non suoi, illusorie e pericolose ricette nazionali e compatibiliste utili solo a fargli accettare ulteriori sacrifici, a minare la sua unità. Solo a questa condizione è possibile una effettiva unificazione delle lotte che la classe operaia sarà costretta a ingaggiare da qui a non molto, è già costretta a ingaggiare, in uno scontro che vede contrapposti, al fondo, capitalismo e socialismo.

Il nostro messaggio dunque, nel mentre ha salutato l’iniziativa parigina per la giusta istanza da essa espressa, non ha sottaciuto in nulla la necessaria critica che in quanto comunisti rivoluzionari muoviamo all’impianto di fondo con cui il riformismo (dis-)attrezza la propria base e più in generale la classe operaia di fronte ai compiti che con sempre maggiore urgenza si impongono. Abbiamo inoltre caratterizzato il nostro intervento non astrattamente, semplicemente confidando nella "bontà" della nostra propaganda, bensì basandolo sulle "ragioni" di una presenza organizzata e militante che, possiamo affermare con certezza, non è passata inosservata nè per chi già ci conosce nè per chi ci ha visti all’opera per la prima volta.

Il nostro giudizio politico sull’iniziativa di Parigi non può ovviamente prescindere dal sentire comune dei militanti presenti determinato da una pur confusa e (ancora troppo debole se rapportato alla bisogna) spinta verso l’unificazione delle energie divise e isolate del proletariato (per quanto in una visione limitata, nei fatti, all’Europa o, peggio, alla tanto vituperata Unione Europea). L’essersi trovati insieme, ad un appuntamento internazionale, tra militanti di diversi paesi potrebbe rafforzare, a date condizioni, quel sentire e questa spinta. Ma per la valorizzazione di questo dato non si può prescindere da una valutazione franca della linea disarmante e disastrosa dei partiti riformisti che abbiamo visto sfilare sulla passerella di questo meeting. La prospettiva politica che tutti hanno riproposto con estrema chiarezza, infatti, non si discosta da una rimessa in discussione delle conseguenze negative per i lavoratori europei (e solo europei) dei meccanismi di un sistema internazionale di sfruttamento capitalistico e imperialistico che mai è riconosciuto denunciato e combattuto come tale. Così come mai è chiamata per nome quella classe che ne tira le fila: la borghesia. Disoccupazione, smantellamento dello stato sociale, ecc. sarebbero il prodotto delle politiche di "destra" che malauguratamente hanno preso piede (perché? su quali gambe?) alle quali va contrapposta un'idea di società civile fondata su un "altro" uso delle risorse (come? con quali coefficienti d forza?). Le conseguenze anti-sociali non sono un portato strutturale del capitalismo, bensì di nebulosi poteri forti. Ad esso non va contrapposto un fronte unitario di classe, bensì il fronte di "tutte le persone, anche dei credenti": "solidarietà e amore possono cambiare il mondo". L'appello del meeting del resto si rivolgeva a "progressisti, intellettualità democratica e chiunque sia interessato".

Meno che mai tale prospettiva può rimettere in campo, foss’anche solo formalmente, l’antitesi socialismo-capitalismo; invece ci si richiama a una generica esigenza di "cambiamento". Un oratore non ha esitato a definirla "economia di mercato sfumata"; Bertinotti ha parlato di ritorno del "compromesso sociale" propria della "civiltà europea" (che, chissà perché, oggi lo rimette in discussione).

Quello che rimane, allora, di fronte alla necessità di una risposta politica unitaria all’offensiva in atto è l’opposizione a Maastricht nella forma di una ricontrattazione del trattato (come se le ricette antioperaie originassero da esso e non, Maastricht o non Maastricht, dalle leggi del capitalismo!) da conseguire oltretutto a livello nazionale attraverso l’arma ... dei referendum. Anche su questo, però, nessuno nega l'irreversibilità dell'integrazione europea. Perciò non rimane che la parola d'ordine dell'"Europa dei popoli".

Ma in che cosa si deve sostanziare questa idea? In una identità europea in concorrenza con i capitalismi americano e giapponese: la UE deve essere "liberata dal dominio del dollaro e diventare uno strumento di cambiamento delle relazioni internazionali", ha detto Hue segretario del Pcf. E in un argine contro il "dumping sociale" dei paesi arretrati, come si è espresso il catalano. Per il quale inoltre gli stati-nazione sono oramai anacronistici e da sostituire con una miriade di stati-regione o stati-città. Nessuno ha ripreso ciò, quasi si trattasse di un'ovvietà priva di conseguenze politiche! Quanto poi alla riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a livello europeo, tale obiettivo non solo risulta completamente staccato da un concreto indirizzo politico di ripresa anticapitalistica; di più, esso, è stato ripetutamente detto, è valido solo se ... anche gli altri paesi lo adottano, pena -è dato intendere- la penalizzazione della concorrenzialità della propria nazione!

Questa strada non porta da nessuna parte. E neanche dà un impulso a coordinarsi superando le resistenze particolaristiche radicate nel proletariato. Una conferma si è avuta in occasione della manifestazione del Pcf contro la disoccupazione giovanile tenutasi il giorno stesso del meeting: significativamente questo partito ha fatto di tutto per non caratterizzarla in senso internazionalista, arrivando a scoraggiare la partecipazione delle delegazioni straniere. Rifondazione, per esempio, non ha partecipato al completo e ha lasciato il corteo prima di arrivare alla piazza dove era previsto lo scioglimento. E pensare che l'iniziativa doveva essere un momento per stringere le fila dei lavoratori europei...

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