Unità di classe o unità sindacale?


L'unità della classe è l'obiettivo necessario e possibile in questa fase per far argine all'attacco capitalistico e rovesciare successivamente il fronte di scontro. Quest'unità si identifica o è subordinata all'unità dei vertici sindacali? Per noi è vero il contrario…

Alla fine di luglio, dopo oltre tre anni, sono tornate a riunirsi unitariamente le segreterie Cgil, Cisl e Uil e altri appuntamenti sono stati fissati per settembre.

Che significato attribuire a questi incontri, i primi dopo la rottura dell'84? Siamo forse a una svolta, a un'inversione di tendenza nei rapporti inter-confederali? Sono queste riunioni preludio di una ritrovata unità sindacale? Niente paura! Secondo gli stessi protagonisti restano ancora ampie le divergenze e per ora le tre confederazioni hanno espresso solo la "volontà" di arrivare a definire un nuovo "patto per l'unità". È in atto un progressivo logoramento dell'unità sindacale così come si era andata delineando a partire dal '69. E questa non è certo una novità nella storia sindacale di questo dopoguerra nel rapporto tra le tre "centrali".

Unità e scissione o sindacale nel dopoguerra

La prima esperienza unitaria ebbe inizio nel giugno del '44 con il Patto di Roma e la costituzione del sindacato unitario Cgil promosso da un accordo tra le componenti comunista, socialista e democristiana (prosecuzione dell'unità interclassista del CLN). L'orientamento della politica sindacale risultato da questa convergenza unitaria non tardò a manifestarsi con la ripresa dell'offensiva capitalistica: anche allora le "superiori esigenze" della ricostruzione e il ricatto della rottura dell'unità operavano come elemento di pressione nei confronti di una base combattiva e non disposta a subire passivamente le richieste della Confindustria, che, invece, la Cgil unitaria accolse coi contratti del '45 e '46. Assai prima che le "sinistre" fossero escluse dal governo, l'unità sindacale si andava svuotando per l'influenza esercitata dalla borghesia e dal suo corso iniziale di ripresa all'interno dell’"unitario" movimento operaio ufficiale attraverso la pressione sulle componenti sindacali dell'ex-CLN più direttamente legate alla logica capitalistica e per la contraria pressione, da parte della base operaia tradizionalmente più combattiva, per "contrattare", perlomeno, qualcosa di consistente, in termini di salari, norme di lavoro, occupazione e… "potere" in cambio della disponibilità a fare "il proprio dovere" sull'altare della ripresa stessa.

La rottura non tardò a venire nel '48 e all'inizio degli anni '50 nacquero la Cisl e la Uil. Il loro programma era caratterizzato chiaramente in senso filo-padronale e governativo (significativo, ad es., che uno degli elementi costitutivi del "nuovo sindacato" fosse un NO deciso allo "sciopero generale che costituisce un atto eversivo in quanto paralizza la vita del paese"). Le attuali posizioni di Cisl e Uil hanno un profondo ed inequivocabile radicamento nella loro tradizione: queste confederazioni nascono già "scissioniste" rispetto agli interessi del proletariato.

Gli anni '50 furono quindi complessivamente segnati da un clima di forte repressione antioperaia, dalla divisione sindacale (accordi separati Confindustria-Cisl e Uil) e dalla politica di rigida centralizzazione contrattuale che determinò la latitanza del sindacato dai luoghi di lavoro. Il giudizio operaio sui sindacati filopadronali si sostanziava intanto di sempre maggiori e significativi elementi; nel '62 gli operai di Torino espressero praticamente questo loro giudizio con l'assalto alla sede Uil di Piazza Statuto. Ma già nella seconda metà degli anni '60 iniziò una progressiva ricucitura dei rapporti fra le tre confederazioni, l'unità d'azione diventava un dato caratterizzante l'iniziativa sindacale.

Il veloce sviluppo economico e la grande ondata di lotta del '68-'69 incidevano sugli stessi sindacati, fin dentro alla Cisl e alla Uil, che, sotto la spinta delle categorie operaie, svilupparono ampi processi di ridefinizione e "radicalizzazione", non senza rotture e contraddizioni notevoli; e così sull'onda delle lotte realmente unitarie alla base si rideterminavano anche i rapporti fra le tre confederazioni; fino al punto di prospettare la possibilità di un’"unità organica" di costruire un sindacato unitario. I Consigli generali di Cgil, Cisl e Uil fissarono per il 1972 la data di scioglimento delle singole organizzazioni e per il 1973 il congresso di unificazione. Ma queste date rimasero - e non potevano che rimanere - sulla carta: la rappresentanza di interessi sociali distinti, le diverse strategie sindacali e politiche, le diverse tradizioni non rendevano possibile, neanche allora l'ambizioso progetto di unificazione. Al posto dell’"unità organica" nel '72 si formò la più modesta Federazione Unitaria, il processo di unità aveva raggiunto il suo culmine.

L'unità sindacale era nata su un ciclo economico in espansione che permetteva delle "concessioni" da parte del capitale; dal momento in cui, dalla metà degli anni '70 e in modo progressivamente più acuto negli anni '80, quel ciclo economico si è andato esaurendo e al posto delle "concessioni" è subentrato un attacco sempre più duro alla classe, quell'unità ha perso le sue basi di esistenza. Un conto infatti è seguire e "controllare" la radicalizzazione proletaria in periodi in cui è possibile una qualche forma di "redistribuzione dei redditi", altro è farlo in periodi in cui la borghesia, per salvaguardare e rilanciare il profitto, deve attaccare in tutti i campi il proletariato. E la crisi stessa rende via via impraticabile l'unità sindacale: interessi operai e interessi borghesi si divaricano, gli spazi di mediazione si riducono, riemergono le vecchie e mai scomparse differenze di fondo fra le confederazioni, si accentuano le divaricazioni. I sindacati storicamente filopadronali e filogovernativi si attrezzano organicamente a contrastare la possibilità di una radicalizzazione della classe, mentre le forze "operaio"-borghesi possono, in certi casi, essere spinte persino ad anticiparla e promuoverla, proprio per dar forza alla propria prospettiva "operaia" di gestione del sistema borghese (che è questione non solo ideologica, ma di basi sociali di riferimento, e supporto).

La vicenda della scala mobile ha rappresentato, in questo senso, un primo ben preciso indicatore. Cisl e Uil accettano "tranquillamente" il taglio della scala mobile, si schierano apertamente col fronte padronale e governativo e sabotano attivamente quello proletario. La Cgil, in quanto forza "operaio" -borghese, non può aderire all'intesa con il governo pena l'impossibilità di mantenere un rapporto con la sua base sociale, in quanto quell'accordo (senza concessioni!) non offre alcuna contropartita immediata e, anzi, impone il metodo del "decisionismo" governativo, rompendo con la prassi della "ricerca del consenso".

E oggi (e domani)?

Ritornando all'oggi, i rapporti tra CGIL, CISL e UIL rimangono effettivamente difficili e, nonostante i buoni propositi espressi, non sono mancate polemiche e fratture nelle relazioni fra le tre confederazioni. Polemiche e fratture che si sono, anzi, approfondite sotto la spinta impetuosa di alcune significative lotte. Prima a Genova, con la vertenza-porto, che ha acceso nuovi conflitti tra Cgil, Cisl e Uil, e che ha visto ben differenti atteggiamenti: Cisl e Uil schierate apertamente con l'iniziativa del CAP di D'Alessandro, immediatamente disposte all'accordo separato; si sono distinte nella furibonda campagna contro i camalli e per le infami dichiarazioni rilasciate (è indicativo che siano state chiamate come testi d'accusa nella relazione che motivava il commissariamento della compagnia) e di conseguenza sono state le più bersagliate dalla rabbia operaia.

Il comportamento della Cgil è stato più contraddittorio: prima non sta all'accordo, poi salva l'unità sindacale e firma, ma le tensioni non si placano e così cerca di recuperare un rapporto con la Culmv - non senza acute contraddizioni, e questo è inevitabile! - e, sotto la pressione dei delegati, riconosce a questa il diritto di trattare in prima persona con il Consorzio.

Poi, nella trattativa all'Alfa-Lancia, si è rischiata di nuovo la rottura: Cisl e Uil nazionali pronte ad accettare sin dall'inizio le condizioni poste dalla FIAT, decise a chiudere in tutta fretta l'accordo, minacciano la firma separata; la loro prima preoccupazione è che 1'Alfa non diventi incontrollabile come il porto di Genova". Anche all'Alfa, Cisl e Uil sono state dall'inizio alla fine dalla parte del padrone! Davanti ai primi timidi tentennamenti Fiom a firmare l'intesa e dopo la sospensione delle trattative, Fini e Uilm nazionali si scatenano: "è stato un errore sospendere il negoziato, significa creare confusione tra gli operai" (Fini). "Si sta perdendo tempo e il ritardo non gioca a favore di un buon risultato" (UILM). Durante gli scioperi, poi, c'è stata un'aperta e attiva opera di sabotaggio da parte di Cisl e Uil. Alla fine a poco è valso alla Fiom "giustificare" i suoi cedimenti alla FIAT con il ricatto dell'unità sindacale: gran parte degli operai ha detto NO a quell'accordo e alla politica sindacale!

Anche di fronte alla mobilitazione di insegnanti e ferrovieri, si sono espresse valutazioni discordi sul rapporto da tenere con i movimenti di lotta. Se a pochi giorni dalla manifestazione nazionale COBAS, il comitato esecutivo di giugno della CGIL era costretto a parlare di "esplosione del malessere operaio" di "forti sintomi di disagio", di "crisi profonda delle organizzazioni sindacali", promettendo di "rilanciare l'azione sociale, aprendo una grande stagione di lotte" (Bertinotti); Cisl e Uil condannavano - invece - sia queste lotte, sia le "aperture" Cgil. Secondo la Cisl "non c'è crisi del sindacato per cui non serve indulgere nell'autocritica, anzi dobbiamo dare una più decisa e coerente attuazione alla nostra impostazione di fondo" (Gabaglio, Cisl); la Uil di Benvenduto non perde l'occasione e, amplificati da stampa e televisione (uniche tribune da cui ormai può tenere i suoi comizi!), lancia con protervia duri attacchi e moniti di guerra ai lavoratori in lotta, chiedendone il pubblico linciaggio e riproponendo con forza la regolamentazione per legge del diritto di sciopero.

Non certo secondaria poi la questione dei rinnovi dei Consigli di fabbrica sulla quale si registrano punti di vista e prospettive non poco differenti e di cui diremo in altra parte. Risulta evidente come in tutti i più significativi momenti di lotta, rispetto a tutte le più rilevanti espressioni di resistenza e mobilitazione proletaria di questi ultimi tempi si siano manifestate in modo esplicito divergenze di un certo rilievo fra Cisl e Uil da un lato e Cgil dall’altro, tali divergenze sotto i colpi della crisi e sulla spinta delle lotte non potranno che accentuarsi sempre più vedendo divenire sempre più esigue le possibilità di ricomposizione.

Con questo vogliamo forse accreditare una (impossibile) conversione della Cgil verso una inequivoca politica di classe, capace di difendere realmente, "fino in fondo" gli interessi operai? No di certo, perché ciò significherebbe né più né meno che fare una politica rivoluzionaria e la Cgil, ovvero il riformismo "operaio"-borghese, al di là di tutte le possibili svolte in senso "radicale" non può che inquadrare la "difesa" della classe all'interno e in subordine ai "superiori interessi nazionali", interclassisti, borghesi, ovvero in un quadro di "difesa" del tutto inconseguente. Il che non esclude affatto che le diverse ipotesi sindacali e le relative diverse collocazioni rispetto alla classe si facciano sentire ed entrino in conflitto fra loro.

Dopo la rottura dell'84 si sono andate definendo con nitidezza, seppure in modo contraddittorio, differenti strategie sindacali e politiche in risposta al profondo attacco capitalistico contro il proletariato.

Per la Cisl va riproposta la pratica concertativa, cioè gli accordi governo-padroni-sindacati; la linea è quella della "politica dei redditi" e dello "scambio politico" tracciata dagli accordi di gennaio '83 e del febbraio '84. La Uil di Benvenuto si va costituendo come "sindacato dei cittadini, difensore degli interessi generali degli utenti più che organizzatore di lotte e della contrattazione sui luoghi di lavoro".

Ci vuole un sindacato "nuovo", un sindacato che giudica ormai superato anche il ricorso allo sciopero, così come anche la Cisl con la proposta di "nuove relazioni industriali" incentrate sulla "conciliazione e l'arbitrato" per risolvere i conflitti.

Dal canto suo la Cgil, di fronte all'offensiva capitalistica contro l'organizzazione economica e politica del proletariato e ai primi segnali di ripresa del movimento di classe, non può non tener conto - in un quadro che è e rimarrà "operaio" borghese - degli interessi immediati della classe operaia e dei lavoratori in genere.

Così al patto neo-corporativo della Cisl, al sindacato dei cittadini della Uil, la Cgil contrappone "il sindacato dei lavoratori" e rilancia, seppur verbalmente, "la contrattazione aziendale su condizioni di lavoro, salute, organici, carichi e ritmi di lavoro" (direttivo di luglio). Alla giusta rabbia operaia del dopo Ravenna è costretta a rispondere con un'autocritica, condita abbondantemente di demagogia, sull'aver fatto "della condizione lavorativa una variabile dipendente rispetto alla competitività delle imprese".

La ripresa delle lotte in un periodo di crisi economica non spinge verso l'unità delle confederazioni, ma, al contrario ne approfondisce tutte le differenze. Quindi la prospettiva dei rapporti sindacali - al di là dei momentanei e comunque instabili "patti di unità" non può che essere di duro scontro e rottura tra Cisl e Uil da un lato e Cgil dall'altro; non solo: ormai il conflitto è all'interno della stessa Cgil. In tutte le più recenti discussioni la componente socialista (in alcuni casi affiancata dall'ala "destra" di quella comunista) ha manifestato il suo disaccordo con la linea maggioritaria: dalla questione della regolamentazione del diritto di sciopero alla rielezione dei Cdf, alle "aperture" verso i movimenti, ponendo l'accento sul ruolo "istituzionale" del sindacato e sull'importanza del rapporto con Cisl e Uil e con il governo. Se le difficoltà unitarie, le sempre maggiori contraddizioni del rapporto interconfederale sono spesso avvertite alla base in modo più acuto e diretto, e se quindi va crescendo in settori proletari e d'avanguardia la consapevolezza dell'impossibilità di un ritorno all'unità sindacale, è pur vero che molti lavoratori vedono nella divisione tra Cgil, Cisl e Uil un elemento di debolezza per la classe, un limite all'azione che va rimosso. Il sentimento di unità, l'intuizione che "divisi si è deboli" è da sempre patrimonio del movimento operaio e in quanto tale è positivo, ma… l'unità di classe non va confusa con l'unità tra i vertici delle diverse confederazioni. L'unità sindacale non è un valore "in sé": la vera forza operaia è sempre stata espressa dall'unità dal basso, capace, essa sì, di imporre un "unitario" terreno di classe agli stessi vertici sindacali (obtorto collo, questo è certo, e sempre in vista di futuri rovesciamenti di fronte) e di isolare di fatto lo scissionismo e i ricatti delle bande gialle. Se quindi nella massa la rottura dell'unità sindacale può essere vissuta all'immediato in modo negativo fomentando contrapposizioni e lacerazioni nello stesso tessuto di classe, sicuramente ben più negative sono le conseguenze della rincorsa, all’indietro di questa unità. Oggi (abbiamo concretamente visto come) l'unità delle tre confederazioni costituisce nei fatti un alibi per far passare una linea di continui cedimenti e sia un freno per le lotte; oggi un'unità siffatta è solo motivo di debolezza per il proletariato.

Né del resto è stata, o può essere, la Cgil "da sola" - una volta liberatasi dal soffocante rapporto con Cisl e Uil, - a condurre la classe sulla via della ripresa, portando avanti un programma di coerente difesa classista. Fino a che non saranno le masse operaie e proletarie a dire basta alla politica dei cedimenti e dei compromessi, imponendo con forza i loro autonomi interessi di classe, per Pizzinato l'unità sindacale sarà sempre la "via obbligata" la necessità primaria a cui sacrificare gli interessi operai! E non può essere altrimenti dato l'interclassismo di fondo della politica sindacale della stessa Cgil, la cui pretesa di conciliare le esigenze padronali, la competitività, i "rilanci produttivi" e i piani di risanamento con gli interessi operai sempre più compressi. L'unità di cui ha bisogno il proletariato per contrastare e bloccare l'offensiva capitalistica non è l'unità (inseguita dai vertici della Cgil) con i portavoce più coerenti degli imperativi borghesi nella classe, ma l'unità della massa operaia e proletaria nella difesa dei propri interessi, al di là delle divisioni artificiose, al di là delle tessere sindacali!

L'unità della massa operaia non si dà a partire da un'unità sindacale "a perdere", ma a partire dalla lotta su obiettivi di reale difesa degli interessi proletari, a partire da un programma effettivamente di classe che unifichi al di là delle formali differenze i vari settori e strati proletari. Le lotte costruite sulle reali esigenze proletarie, nate dalla spinta e dalla diretta iniziativa operaia, sono sempre state e non possono che essere unitarie rispetto alla classe. Quali dimostrazione migliore di ciò, del movimento degli autoconvocati dell'84? Mai negli ultimi anni la classe è stata più unita e più forte! Infatti stesse sono le esigenze operaie, comuni gli interessi, si sia iscritti a questo o quel sindacato, si abbia o no la tessera sindacale; così come comuni sono gli interessi con gli altri lavoratori coi disoccupati, con tutti quei settori proletari attaccati oggi nelle loro condizioni di vita e di lavoro.