Dossier Pci

 


LA NOSTRA PAROLA AL PROLETARIATO

 

Abbiamo detto che lo scopo di queste elezioni consisteva nell'indebolimento del fronte proletario attraverso un'operazione di indebolimento del PCI, che la seconda parte della manovra borghese è senz'altro riuscita, mentre i destini della prima dipendono da altro ordine di considerazioni.

Destra e centro del PCI si sono subito affrettate a sentenziare che, data la batosta elettorale, "d'ora in poi sarà più difficile lottare" vittoriosamente. Di qui i progetti di ricucitura dell'unità col tanto vituperato Craxi, "parte integrante della sinistra" (alla faccia degli Altan, degli Staino e di Elle Kappa, interpreti di gusto piccoloborghese, ma immediato e genuino dei sentimenti della classe operaia verso la "compagnia" del PSI). Di qui le tentazioni di "gioco a tutto campo", di cui l'esempio palermitano rappresenta l'inevitabile rigurgito di "compromesso storico", per farsi "forza di governo". E su questa base è inevitabile che sia la destra ad affermarsi, nonostante l'emarginazione del suo personale fisico, perché, nella rincorsa ad un impossibile ricompattamento del "blocco sociale progressista" che aveva permesso l'exploit del '76, occorre andare a braccetto, sul piano sociale, con gli strati sociali meno disponibili a fare gli interessi operai e, sul piano politico, con Craxi e… oltre. Se è un Trombadori a far per primo esplodere i fuochi d'artificio per la vittoria "progressista" del PSI, Occhetto non sarà sostanzialmente da meno, andando a consegnare a Martelli il certificato di morte della stessa "terza via". E non si era già prima delle elezioni arrivati al grottesco nattiano di far ammenda di fronte a… Nicolazzi per la scissione di Livorno e tutto il resto; riconoscendo che "Turati aveva ragione" (e "quindi" hanno ragione i socialdemocratici d'oggi, da Palazzo Barberini in qua)? E se è un Turci a gettare sul piatto del CC la forza di pressione e ricatto di un mostro aziendale quali le Coop per sbarrare la porta a qualsiasi "massimalismo" (persino Berlinguer è diventato tale, retrospettivamente!), non è di nuovo l'ineffabile Occhetto ad assumersi la bandiera dei "poveri artigiani" in rivolta contro le "tassazioni inique"?

Lo sgretolamento del "blocco sociale" precedente non fa slittare il PCI dalla parte del proletariato perché, anche quando rappresenta una maggioranza di proletari, il riformismo inevitabilmente lo fa nell'ambito di una finalità, di una strategia, di un gioco di "alleanze" borghesi, epperciò interclassiste. La "questione operaia" può, si, essere riscoperta e, in una certa misura, portata di nuovo avanti conflittualmente, ma entro questo strettissimo ambito; quindi, con tutte le contraddizioni e controindicazioni del caso. II riemergere del contrasto di classe e le "scintille di coscienza" che esso ha riacceso nella massa proletaria e in una parte della base (e di quadri intermedi) del PCI non costituisce l'inizio di una "riconversione" del PCI in quanto tale, perché le due strade - quella delle masse e quella del partito riformista - non vanno in parallelo. Esse si trovano unite all'inizio di un determinato ciclo espansivo del capitale, si intersecano e si discostano tra loro successivamente, tendono - con l'esplodere delle contraddizioni del sistema capitalista cui il riformismo è inchiodato - a dividersi. Già in questa fase quello che per il proletariato è l'inizio di un percorso dal riformismo verso la rivoluzione, per il PCI è solo l'inizio di una serie di difficoltà crescenti a conservare (con un'impossibile rincorsa alle condizioni quo ante) la sopravvivenza del riformismo nel sistema, e per il sistema, vigente. Nella stessa analisi del voto la diversità si avverte netta. Per i dirigenti riformisti la sconfitta elettorale rappresenta una sconfitta tout court che va ricucita con aghi e fili craxiani, confesercenti, confcommerciali etc. etc. Per i proletari più avanzati essa va affrontata sulla base dei rapporti di forza che la classe saprà stabilire su un altro terreno, quello della propria mobilitazione, della propria lotta, per i propri interessi specifici e distinti. Anch'essi, certamente, credono che la questione dei voti e della rappresentanza parlamentare sia vitale; anch'essi si lasciano incantare dalla prospettiva che occorrerà ristabilire un "potere di rappresentanza" istituzionale capace di riportare il PCI ai livelli perduti. Ma lo fanno alla loro maniera, vale a dire mettendo in primo piano una capacità di mobilitazione sociale del proletariato su cui fondare un'egemonia" rispetto alle altre classi e, in particolare, ai tanto decantati "ceti medi". In ciò, per l'appunto, c'è una "scintilla di coscienza" marxista, il cui sviluppo potrà rendersi incompatibile non solo col traccheggiamento interclassista del riformismo, ma col riformismo stesso, affrontato non dalla coda di "certi effetti" distorti, ma dalla testa che inevitabilmente li genera.

A questi proletari disposti a muoversi noi diciamo: sì, non solo è vero che il PCI ha perso elettoralmente, ma è certo che esso perderà ancor di più in futuro, perché la crisi capitalistica, polarizzando la società ai suoi estremi antagonisti, ha di già dato i primi decisivi colpi di piccone al vero "zoccolo" indispensabile alle fortune del riformismo (con epicentro nel "triangolo rosso", asse portante di tutta la merda interclassista del PCI) e questo "zoccolo" non potrà più essere ricostituito "come prima" ("non è alle viste un nuovo ciclo fordista"…).

Di più: se il PCI, per assurda ipotesi, tornasse a far proprio un autentico programma operaio (non parliamo poi di un programma rivoluzionario!) le perdite sarebbero ancor maggiori, affrettandosi l'uscita da esso di tutta una massa di "miglioristi" (per sé) che ancor possono trovarvi comoda collocazione.

C'è, inoltre, un fatto decisivo: nelle metropoli imperialistiche la classe operaia ha cessato di crescere di numero (sia in termini relativi che, spesso, in termini assoluti) e di espandersi elettoralmente di conseguenza: essa è meno numerosa e più isolata che in passato; questo è vero. Ma è anche potenzialmente più forte, concentrandosi in essa, come mai nel passato, il peso e il potere virtuale di tutta la produzione sociale. Le sue battaglie, se ingaggiate colpi di scheda, anche coi migliori propositi programmatici e le migliori organizzazioni di questo mondo (mettiamo pure l'OCI, tanto per dire…) sarebbero perse in partenza. Impostate sul terreno dello scontro di classe è vero il contrario.

Che ne sarebbe stato, ad esempio, del referendum sui 4 punti se, in luogo della sordina fatta calare sulla mobilitazione operaia per andare alla caccia di consensi di "opinione" tra "tutte le classi", si fosse andati ad uno scontro effettivo di forze? La compattezza operaia, manifestatasi nel voto e nella sua preparazione, avrebbe travolto sul campo il "decreto di San Valentino" ed avrebbe profondamente modificato i rapporti effettivi di forza, proiettando tale modificazione direttamente sul piano sociale. E consistenti settori delle "mezze classi" si sarebbero messe alla coda del protagonista della lotta - il proletariato -, anziché pesare su di esso, come di fatto oggi avviene, a tutto servizio degli interessi della grande borghesia.

Vogliamo parlare di "elezioni"? Ebbene, parliamo, metti caso delle elezioni sindacali al Petrolchimico di Porto Marghera pochi giorni dopo le elezioni parlamentari. Qui le "tendenze" sono state capovolte, con un aumento fortissimo per la CGIL come espressione della volontà operaia di riscattare la sconfitta alle politiche sul piano delle lotte. Che ne facciamo di questi "voti"? Li riconsegniamo al "fronte unitario sindacale" con CISL e UIL, contro cui essi si sono espressi, quale cauzione per rilanciare il compromesso politico-parlamentare tra riformismo e forze di governo? Li svendiamo alla "paritaria" UIL perché i Benvenduti provvedano ad ulteriori operazioni di svendita degli interessi operai? O li ricontrattiamo col PSI, in nome dell' "alternativa comune della sinistra" a venire, tenuto conto che il PSI è forza "progressista" di governo (anche se non ha - pour cause! - che un'unica cellula di fabbrica in tutta Italia)? Oppure li facciamo pesare sul serio, nelle lotte, come i proletari, e noi con essi chiediamo? E, in tal caso, quante "espressioni di liberi convincimenti" borghesi a suon di schede sarebbero necessarie per fronteggiare il peso specifico del "solo" proletariato, "isolato" nella società e "battuto" in campo parlamentare? Non è che un esempio. Non il solo né il principale, perché, ben oltre la manifestazione "elettorale" di fabbrica (che pur indica qualcosa, come s'è già avuto modo di spiare alla FIAT di Torino), masse consistenti di lavoratori hanno per conto loro, contro tutti gli inviti alla "ragionevolezza" dei caporioni riformisti di sindacato e di partito, ricominciato a votare coi pugni. E, in questo caso, da Milano a Napoli, da Genova a Roma, i "capi" riformisti non si sono limitati a svendere un patrimonio di "voti", ma hanno lavorato frontalmente o ai fianchi contro lo sviluppo di un fronte di lotta effettivo avvertito come "minaccia" non perché troppo debole o intempestivo, ma perché troppo aggressivo nei confronti di un sistema sociale e del sistema di alleanze politiche e sociali atto a tenerlo in piedi ed a tenere in piedi, con esso, lo stesso riformismo.

È su questi problemi che i proletari devono fare i conti, allargando la propria capacità di autoorganizzazione indipendente ed i propri orizzonti politici. Noi siamo con essi in tutti i passaggi che possono andare in questa direzione, convinti che la "conquista delle masse" da parte del Partito (col preliminare, tuttora assente, di un partito effettivo in grado di porsi tale obiettivo) potrà darsi unicamente come contestuale riconquista da parte delle masse della propria identità antagonista. Questo il significato della frase di Marx, secondo cui il proletariato si costituisce in classe e quindi in partito.

Per questi stessi motivi, compagni proletari!, noi non abbiamo dato né daremo il nostro voto al PCI. Perché.un tale voto (a parte il nostro peso infinitesimale) non avrebbe contribuito al peso infinitesimale) non avrebbe contribuito al vostro rafforzamento, ma - ove avesse potuto contribuire a "pesare" elettoralmente alcunché - ad un ulteriore calvario di mediazioni parlamentari al ribasso sulla vostra pelle.

La vostra ripresa ricomincia di qui. Essa non potrà mai essere la rincorsa ai voti perduti, ma un completo rovesciamento dei metodi e delle finalità di lotta. Nell'esperienza che molti tra i più avanzati di voi stanno oggi facendo nel PCI per "analizzare" il voto e trarne delle prospettive di riscossa questo è il problema che oggettivamente si pone.