Dossier Pci

 


IL VOTO AL PCI DAL '46 AD OGGI

Alle prime elezioni politiche del dopoguerra, nel 1946, il PCI, partito egemone nella classe operaia, protagonista in prima e quasi esclusiva persona della "Resistenza" in quanto lotta militare di "massa" e depositario, in sovrappiù, per l'Italia del verbo di Mosca (allora al massimo dello splendore… controrivoluzionario), ottiene - nell'atmosfera di estrema effervescenza sociale e politica del momento - il 18,97% dei voti, contro il 20,7% dei socialisti. Questo 19% scarso rappresentava davvero il massimo dello "zoccolo duro" operaio. II 20% ai socialisti rappresentava un'altra buona quota di voto operaio, maggiormente incline e maggiormente annegata nel comune brodo interclassista e con spunti, talora, di contestazione al PCI "da sinistra" in settori radicali piccolo-borghesi (di cui si sentiranno gli echi sino alla vigilia del '68 con "Mondo Operaio" e "Quaderni Rossi").

Con l'avvio della ricostruzione capitalista in un ciclo espansivo quel 19% non sarebbe mai potuto crescere evolvendo in senso operaio, costituendo di già un tetto massimo entro una fase di grandi agitazioni sociali e politiche. Sarebbe potuto crescere solo spostando verso di sé una maggiore quota di voto operaio più tradizionalmente ancorato al riformismo di vecchio stampo socialdemocratico dal PSI ed acquisendo quote consistenti di suffragi dalle mezze classi. Così è stato dopo la dura sconfitta del '48 allorché PCI e PSI, uniti sotto l'insegna del "Fronte Democratico", toccarono appena un 31,03% dei suffragi (pari al preteso "zoccolo duro" del solo PCI post-"compromesso storico").

Nel '53 il PCI, partito attorno al quale si è coagulata la risposta "operaio"-borghese all'offensiva antiproletaria della DC (con Washington e relativi "piani Marshall" in funzione di supporto e controllo), inverte i rapporti di forza col PSI: 22,64% al PCI, 12,73 al PSI (privato nel frattempo dell'ala "socialdemocratica" del PSDI - 4,52% - in cui si confusero, "curiosamente", agli inizi, filoatlantisti aperti ed "ultrasinistri" in fregola di contestare il PCI "da sinistra" all'ombra di Saragat: tra tutti alcuni protagonisti del futuro "trotzkismo", cominciando dall'attuale nume tutelare della LCR, Livio Maitan). Sostanzialmente eguale il risultato nel '58. Nel frattempo si è venuto esaurendo, in Italia ed internazionalmente, il ciclo della ricostruzione "neo-corservatrice" e della "guerra fredda" con la celere di Scelba e la Magistratura "nata dalla Resistenza" (con lo stesso personale e gli stessi codici Rocco del regime precedente) a supporto di essa. Il tonfo della progettata "legge truffa" segna, emblematicamente, la fine di un'epoca". Con gli anni '60 cominciano a modificarsi in profondità le fisionomie dei partiti "operai", in relazione ai mutamenti strutturali che intervengono nella società borghese da essi sempre lealmente coltivata. Il primo a risentirne è il PSI, punito anche elettoralmente, mentre il PCI riesce ad acquisire ulteriori quote di voto operaio da esso ed il voto di "nuove figure sociale". Nel '63 il PCI va al 25,3107o, contro il 13,8% del PSI e l'oltre 6% del PSDI, che pescano ormai scopertamente da un serbatoio moderato.

Nei successivi anni del "centro-sinistra" PSI e PSDI si ritrovano vicini, sino ad una provvisoria riunificazione nel PSU, nel carrozzone governativo. II PCI resta depositario pressoché esclusivo della rappresentanza operaia abbandonata dal PSI. Quest'ultimo partito cessa qui di essere "operaio"-borghese respingendo da sé la vecchia anima "massimalista" ed il nerbo della sua base sociale operaia: il distacco del PSIUP (in cui si rieditano nuove e antiche istanze "massimalistiche", "a sinistra del PCI" in chiave "operaista") ne è il contrassegno.

Alle elezioni del '68 il PCI tocca quasi il 27% dei voti, il PSIUP ne raggranella il 4.46%, mentre PSI-PSDI uniti si devono accontentare di un magro 14,51 %. La scissione del PSIUP - non voluta, ed anzi sconsigliata da Togliatti - ha l'effetto di bloccare i canali di comunicazione tra riformismo "operaio"-borghese e "riformismo progressista", a caratterizzazione dichiaratamente extra-operaia. Allo stesso tempo, di fronte ad una nuova fase di lotte, il "massimalismo" psiuppino mostra rapidamente la corda: privo di un reale programma alternativo a quello tradizionale del PCI e in forza di ragioni oggettive che non permettono alla massa di saltare oltre il programma riformista, il PSIUP si rincartoccia sul PCI, scomparendo di lì a poco in quanto a forza organizzata autonoma, anche se la sua esperienza lascerà una traccia per i movimenti di "contestazione" futuri.

Nel '72 il PCI raggiunge il 27,21 % (il PSIUP, con un misero 1,95%, scompare prima dalla scena parlamentare, poi da quella politica, immettendosi in massima parte nel PCI); il PSI cala al 9,62%, scontando l'ambiguità del suo rimanere a metà del guado, tra vecchie istanze "anche"operaie ed il "nuovo" di un dispiegato interclassismo fondato sul consenso delle mezze classi; il PSDI va al 5,15%. Fa La sua prima, stentatissima, apparizione l'ultrasinistra (extra) parlamentare" (sotto l' 1 % dei voti, diviso da due formazioni): specchio fedele della "rivoluzione" sessantottina, mai elevatasi come movimento a dimensioni di massa e, politicamente, mai andata oltre i confini istituzionali del sistema borghese, nonostante l'orgia di "poteri" e "contropoteri" "in atto".

Gli anni dal '72 al '75 sono quelli del massimo "mutamento generazionale" e sociale del PCI: la voce della classe operaia tende sempre più a confondersi in coro con quella di altre forze sociali, tutte docilmente dietro il carro "espansivo" del capitalismo italiano e internazionale. La società italiana non è mai apparsa così "aperta" ed unitaria: "tutti" appaiono intenti a cogestire un "unitario" ed unico progetto di "crescita di tutti e per tutti". Borghesi e proletari possono finalmente trovarsi assieme in un provvisorio idillio pacificatore (anche se non per questo la casse operaia resta e si sente distinta dalle altre classi). II '76 segna il top di questo processo (per il quale un Amendola aveva anche disegnato i contorni di un futuro "partito unico della sinistra"): alle elezioni il PCI ottiene il 34,4% dei voti, attingendo a piene mani dalle riserve sociali extraproletarie. È da allora, però, in relazione ad un nuovo e devastante ciclo di crisi in incubazione, che le tendenze si invertono, tanto sul piano sociale che su quello politico. Le classi tornano a polarizzarsi sui propri storici versanti. Il "nuovo PSI" fucinato da Craxi parte decisamente all'attacco del serbatoio interclassista in crisi del PCI e questo, bloccato da fattori oggettivi e soggettivi nella sua strada verso una piena omologazione socialdemocratica, comincia a perdere colpi.

Il proletariato torna, anche elettoralmente, ad essere solo. Tuttora attorno al PCI, come "estrema" trincea difensiva del riformismo "operaio" - borghese. Gli sviluppi successivi scaveranno la fossa anche a questa "ultima" trincea: il proletariato sarà per se stesso sul programma e con l'organizzazione dei rivoluzionari.