La riconciliazione è un utopia


Il viaggio di Giovanni Paolo II in Cile ha suscitato le più sdegnate proteste dei democratici occidentali che vi hanno visto il tentativo di dare al boia Pinochet una veste di legittimità come difensore dei principi dell'Occidente contro l'espansione marxista.

Ma non è questo che il Papa voleva, né quello che i cileni hanno capito dalla sua visita e dai suoi discorsi. Il verbo evangelico che il Papa ha diffuso a pieni polmoni era un altro: riconciliazione, ovvero "mettiamo una pietra sul passato, l'amore cristiano perdoni i crimini del tiranno, lui li riconosca e se ne penta, la società si apra a forme di democrazia senza lacerazioni, senza scontri e senza violenza".

Il messaggio papale, lungi dall'essere semplicemente una testimonianza al vento, si inquadra perfettamente in una politica che la Chiesa svolge in Cile da tempo e che si candida a svolgere in tutta l'America Latina.

La dorsale di questa politica è: evitare le guerre civili, evitare che le contraddizioni sociali e politiche esplodano nella forma della violenza di massa. Diventerebbero, altrimenti, incontrollabili e aprirebbero, manco a dirlo, le porte al marxismo.

La Chiesa lo ha sempre detto, ma gli dà oggi un peso particolare, perché sa - da grande cervello i cui terminali arrivano in tutti i gangli della società - che questo rischio (per lei e per il potere di classe che difende) sta divenendo sempre più concreto. In Cile si è più di una volta annunciato. La dittatura di Pinochet non gode di alcun credito, anche vari partitini di destra che lo avevano vivamente acclamatogli hanno voltato le spalle, e soprattutto il proletariato ha ritrovato la forza di tornare sulla scena con scioperi, manifestazioni, di ricostruire una organizzazione sindacale, sia pure diretta anche da elementi democristiani come Seguel.

I vari partiti si sono messi alla testa di questa protesta sociale, ma ne hanno avuto paura.

Hanno avuto paura che essa sfociasse in lotta di massa aperta, e così, pur continuamente evocandola, la trattengono nell'ambito di obiettivi sempre più fumosi, di attesa per future elezioni concesse o contrattate con Pinochet. Neanche quelle rivendicate a viva forza!

Esplosione sociale e impotenza politica dei "democratici" aprono alla Chiesa un terreno reale, o ve essa riesca a contenere i "poveri" tra cui essa ha vasto seguito in un quadro di pacifica rivendicazione democratica, da far seguire ad un, in verità improbabile, perdono dei crimini militari. Ecco perché dove i "democratici" europei hanno gridato allo scandalo perché Woytila legittimava la dittatura "transitoria" di Pinochet (contrapponendola a quelle stabili dei "marxisti" all'Est), quelli cileni vi hanno invece Soprattutto letto che il Papa riconosce come "transitorio" questo regime, legittimando, di fatto, il loro progetto di uscita pacifica, concordata e graduale dagli anni bui della repressione e della reazione.

Al di là del confine, in Argentina, lo scontro tra le classi si gioca su un terreno non dissimile. I militari hanno manifestato la loro volontà di non essere accantonati dall'odio di una società che non ha dimenticato i loro crimini. La legge di Alfonsin sul "punto final" era stata un tentativo di porre fine ad un'azione "di giustizia" contro i torturatori e assassini del regime militare del 76-'82. Prima del suo entrare in vigore centinaia di ufficiali erano stati incriminati per quei fatti. Di qui la loro protesta, dal non potere ammettere di essere puniti da una soci . età alla cui stabilità avevano prestato i loro seppur macabri servizi, e che potrebbero ben presto ridiventare indispensabili.

Alfonsin, costretto ad accettare lo scontro e tentando un suo rafforzamento alle spalle della "casta militare"., senza per questo volerla e poterla umiliare, ha invocato il sostegno delle masse. La Plaza de Mayo è stata invasa più di una volta da centinaia di migliaia di persone convinte di porre un freno alla riscossa dei militari e di escluderli definitivamente da ogni influenza sul potere politico. Ad Alfonsin questa mobilitazione ha permesso di ottenere il consenso di tutti i più importanti partiti e sindacati attorno ad un patto di difesa della democrazia, ma nonostante ciò ha concesso ai militari una sospensione dei processi garantendo che si giunga ad una assoluzione di quanti hanno torturato e ucciso, ma nell'ambito del "dovere d'obbedienza".

Il tema della riconciliazione ritorna. Come contenere i militari evitando l'acuirsi dello scontro civile? Facendo concessioni agli uni e promesse agli altri. Fino a quando quest'equilibrio può reggere?

Non molto, di sicuro. Ma quel che conta è come il proletariato affronta già ora lo scontro e come alla sua evoluzione lo preparano, per il piccolo ruolo che possono avere, le forze rivoluzionarie.

Per ora, e ancora una volta, salutiamo con forza la coerenza delle Madri di Plaza de Mayo e di quei settori di movimento scesi in piazza contro i militari nell'ampia mobilitazione di massa, ma che non hanno esitato a manifestare il proprio dissenso dalla linea di compromesso e cedimento di Alfonsin, indicando, così, una concreta prospettiva di lotta alla reazione.