La lotta di strada, le azioni di esproprio, la scesa in massa nelle piazze, in una parola la rivolta popolare di cui sono state protagoniste le masse argentine ha portato alla fuga precipitosa il presidente De La Rua e il superministro Cavallo, uomo piazzato al governo direttamente dal FMI, ha cacciato un intero governo affamatore e gestore del paese per conto della finanza internazionale, dei centri di potere delle metropoli, del capitale occidentale. In maniera sempre più evidente per le stesse masse argentine in rivolta, la lotta aperta nel paese è fra proletariato e l’umanità degli oppressi argentini cui si è richiesto, e si richiede, di svenarsi letteralmente ed i detentori del debito argentino cioè i satrapi usurai di Wall Street, della City londinese, di Piazza Affari a Milano ed il loro ordine strangolatorio. Il braccio armato della democrazia argentina che ha ucciso 27 proletari per domare la sommossa ha colpito in difesa di questo ordine capitalistico internazionale, il medesimo per il quale in questi stessi giorni si massacrano senza sosta i palestinesi, si terrorizza gli sfruttati dell’islam a colpi di bombe da 7 tonnellate e si minaccia un eguale trattamento a qualsiasi popolo ed a qualsiasi paese osi non inchinarsi dinanzi al padrone occidentale.
I governi nazionali argentini, fino a ieri quello di "centro sinistra" di De La Rua prima quello peronista di Menem, per quanto talora tentino, per ingannare e stordire le masse, di rivestirsi di una retorica nazionalista, così come quello provvisorio attuale echeggi sotto la spinta della rivolta a discorsi populisti venati addirittura di passaggi "anticapitalistici" tanto ipocriti quanto rivoltanti in bocca a questa borghesia (così come fecero, non inutile ricordarlo, i loro degni predecessori al potere ovvero i macellai delle giunte militari) altro non possono essere che dei fantocci, degli esecutori agli ordini di chi detiene il credito, di chi si è impossessato in questi anni della struttura produttiva del paese cioè appunto dei centri di potere capitalistici nordamericano ed europei.
Attorno alla lotta di classe del proletariato argentino, che ha "turbato" le nostre pacifiche e democratiche "opinioni pubbliche" con la sua violenza che arriva ad assaltare la proprietà privata dei supermarket, delle banche, - mentre esse non si turbano affatto quando nella normalità borghese la violenza è subita dagli oppressi quotidianamente nelle caotiche periferie, nella grandeggiante disgregazione sociale, nell’estrema indigenza che arriva alla fame vera e propria – gli apparati dell’ordine capitalista/imperialista internazionale si accingono ora a stendere un cordone di sicurezza: da un lato tranquillizzare i "mercati" e "i risparmiatori" occidentali circa la tenuta del sistema finanziario mondiale, autentico casinò dove le fiches sono il sudore e il sangue del proletariato internazionale. Allo scopo si potrà rinegoziare e dilazionare il debito argentino per alleviarne il peso delle immediate scadenze fermo restando però che esso in nessun caso potrà essere azzerato ma dovrà rimanere a pendere, come il ricatto di una mannaia sul collo, sui destini della classe lavoratrice argentina. Sono ormai troppi i paesi classificati come "emergenti"- tale era fino a ieri l’Argentina - dalla Polonia alla Turchia, i quali versano sostanzialmente nelle stesse condizioni economiche e sociali del paese latinoamericano o si avviano rapidamente verso quell’esito, perché si possa da parte del capitalismo internazionale dare un segnale "pacificatore" del genere semmai ve ne fossero le possibilità finanziarie. Dall’altro lato occorre per il capitalismo internazionale stendere un cordone di sicurezza attorno all’esempio di lotta del proletariato argentino il quale sta dimostrando che i diktat dei mercati possono essere contrastati, i governi affamatori cacciati via, un esempio che oggettivamente rischia di essere contagioso per milioni di proletari in tutto il pianeta globalizzato vittime dello stesso morso.
L’ITALIA IMPERIALISTA E L’ARGENTINAL’Italia è fra i paesi occidentali più coinvolti nella crisi argentina. In "mani italiane" - banche ed investitori istituzionali ma anche una moltitudine di "risparmiatori" privati - è detenuta una buona fetta del debito argentino i cui interessi, regolarmente pagati, hanno gonfiato i "nostri" portafogli in tutti questi anni con rendimenti eccezionali. "Mani italiane" - Fiat, Benetton, Telecom, i gruppi bancari Comit/Banca Intesa, la Banca di Roma, la BNL per restare ai nomi più noti - si sono posate su ampi settori della produzione e dei servizi argentini e vi hanno tratto lucrosi business. Come nel 1978 in piena repressione da parte delle giunte militari gli occhi della borghesia italiana erano puntati… sui mondiali di calcio, così ai successivi governi affamatori del popolo argentino mai è mancato il sostegno, l’appoggio entusiasta quando si trattava di varare piani d’austerità e di privatizzazioni a raffica, da parte dei nostri governi democratici. Il capitalismo italiano è pienamente responsabile della spoliazione della struttura produttiva argentina, la borghesia italiana ha le mani sporche del sangue del proletariato argentino, anche attraverso la sua bestiale torchiatura ha potuto comprare in questi anni quel poco o quel tanto di "benessere diffuso" e la tenuta della pace sociale in casa propria. La lotta di classe del proletariato argentino rappresenta perciò una grave minaccia per gli interessi del capitalismo italiano e non soltanto dal punto di vista economico/finanziario, tentare di disinnescare la bomba sociale in America Latina è vitale affinché non esploda anche sotto il proprio culo. Ecco allora che mentre ci si spande a tranquillizzare "l’opinione pubblica" ed ovviamente si ripristina immediatamente il black-out intorno alla guerra di classe di atto in Argentina si programma quella che dovrebbe rappresentare una valvola di sfogo per quella crisi sociale: regioni, città, aziende italiane si offrono per dare lavoro ed accoglienza "agli sfortunati compatrioti", l’Italia "apre le sue braccia" per aiutare i suoi "figli lontani", immaginando magari di usarli quali braccia di lavoro disposti ad ogni sacrificio non solo come ulteriore ricatto e divisione verso la massa degli immigrati ma in concorrenza con gli stessi operai italiani e le loro "eccessive protezioni". Sul momento non troviamo parole, né aggettivi adeguati per qualificare una tale manovra in perfetto stile, subdolo e ruffiano, classico della borghesia italiana. Diciamo solo che allo stesso modo in cui l’Italia imperialista sta contribuendo con la sua macchina militare e diplomatica a "portare la democrazia" in Afghanistan, sta "combattendo il terrorismo" in Palestina, come ieri ha portato il vento della sua libertà, all’uranio impoverito, sull’Iraq sulla Somalia sulla Jugoslavia ora si volge ad "aiutare" il popolo argentino… |
La rivolta proletaria di fine dicembre non è che un passaggio della vera e propria guerra di classe in atto da tempo in Argentina. Essa si può definire spontanea in quanto non diretta o "stimolata" da alcuna struttura politica o sindacale ufficiale, tutte in vario grado ed a vario titolo legate a questo marcio ordine sociale presente, corrotte e venute sempre più screditandosi agli occhi delle masse, ma essa non è affatto esplosa improvvisa e nel vuoto dell’azione e dell’organizzazione di classe. Da anni ormai le manovre di austerità/ristrutturazione comandate "dai mercati" e puntualmente applicate dai governi hanno trovato un contrasto di lotta da parte del proletariato argentino, resistenza che negli ultimi mesi è andata rafforzandosi, estendendosi, coordinandosi. Se gli ultimi mesi del 2001 hanno visto la proclamazione di ben 6 scioperi generali, due sono le esperienze di lotta particolarmente emblematiche della crescita del movimento di classe generale nel paese.
La prima. Il movimento di lotta dei piqueteros, proletari che avendo realizzato che la difesa delle proprie condizioni di vita e della propria dignità di popolo lavoratore non possono essere delegate ad alcuna istituzione ufficiale passano all’azione occupando e bloccando a più riprese le grandi arterie stradali che collegano il paese. Contro la diffusione e la radicalizzazione di questo movimento lo stato argentino non ha mancato di lanciare le sue gendarmerie. Nel giugno la polizia spara sulla folla, pallottole democratiche uccidono due piqueteros a Salta nel nord del paese, gli incarcerati si contano a centinaia.
La seconda. La lotta in atto da mesi degli operai ceramisti della fabbrica Zanon in Patagonia. Qui gli operai dapprima hanno lottato per difendere salari e posti di lavoro minacciati dalla proprietà, poi quando questa in base "agli inconfutabili dati di mercato" ha chiesto la chiusura degli stabilimenti, hanno replicato prendendone in mano la gestione, coinvolgendo nella loro lotta in una rete di solidarietà attiva tutta la popolazione lavoratrice della zona e più ancora attorno ad essa hanno richiamato l’intero movimento di lotta argentino, piqueteros, disoccupati, altri settori operai in lotta, a momenti di confronto e di coordinamento in vista d’una unità d’azione che deve necessariamente superare i confini di una singola fabbrica, di una singola provincia del paese, di una singola categoria.
Per certi palati delicati italiani ed occidentali, per certi "sinceri democratici" nostrani contestatori del "liberismo" e della globalizzazione in nome di un capitalismo dal volto umano che impedisca la disgrazia per essi peggiore ovvero la lotta e la violenza di classe degli sfruttati, ci piace ricordare come proprio durante una assemblea nazionale del movimento piquetero tenutasi il 4 di settembre le madri di Plaza de Mayo, autentiche indomabili avanguardie sempre in prima fila nelle lotte a spronarle in avanti a ricercarne un’unità anche al di sopra dei confini nazionali, abbiano preso la parola in questi termini: "Quando quei figli di puttana (puntando il dito verso il palazzo del governo) dicono che siamo terroristi, vuol dire che la nostra lotta è nella direzione giusta. In tal modo, compagni, noi madri continueremo ad essere terroriste più che possiamo e romperemo le scatole più che possiamo."
Alla dura esperienza e alla guerra portata al proletariato argentino dal capitalismo internazionale – ricordiamo che prima della rivolta già si contavano 2800 proletari incarcerati prigionieri in quanto "lottatori sociali" – una parte di esso, certo un’avanguardia, arriva già a replicare come si deve cioè dichiarando la propria guerra di classe!
Il movimento di lotta e le avanguardie di classe sono venuti ponendo oltre che obiettivi fondamentali di carattere immediato - indennità di disoccupazione e salari adeguati, diminuzione delle ore di lavoro per tutti e a parità di salario, libertà per i prigionieri politici ed i "lottatori sociali", non riconoscimento del debito estero - la questione fondamentale di carattere politico più generale ovvero dinanzi alla bancarotta ed al discredito dei poteri istituzionali, la necessità del controllo operaio sulla produzione e del potere dei lavoratori organizzati autonomamente sulla gestione delle cose pubbliche, sullo stato. E’ ben comprensibile allora la paura autentica che si è impadronita delle strutture borghesi internazionali ancorché mascherata dalla parola d’ordine impartita ai media di tranquillizzare e se possibile far dimenticare lo scontro di classe in Argentina: in ballo non ci sono soltanto un bel gruzzolo di miliardi di dollari che rischiano di evaporare, c’è il rischio mortale che una sezione nazionale del proletariato mondiale ponga la sua alternativa di potere di classe contro la dittatura del capitale imperialista.
Il proletariato argentino ha intrapreso il cammino che porta verso la crescita delle sue capacità di lotta, della sua coscienza, verso il formarsi di una sua organizzazione politica indipendente la quale rappresenta la migliore garanzia in vista non solo della necessaria lotta per il potere ma anche per non finire imbrigliato e deviato da possibili "alternative politiche" messe in campo da settori della borghesia argentina le quali riscoprissero i temi della "patria e della dignità nazionali" contro "le intromissioni eccessive degli stranieri", yankee in primo luogo, e tentassero di annegare gli interessi di classe e la lotta degli sfruttati all’interno di un fasullo generale interesse comune "della Patria", degli "argentini onesti"… eventualità che pare remota ma da non escludere a priori.
Il proletariato argentino, sotto la sferza delle incombenze materiali che gli gravano le spalle, non demorderà, farà la sua parte, ne siamo certi. Tocca semmai a noi, proletariato ed avanguardie di classe metropolitane, fare la nostra.
Compagni,
- RACCOGLIAMO IL SEGNALE DI LOTTA DEI PROLETARI ARGENTINI
- GLOBALIZZIAMO LA LOTTA E L’ORGANIZZAZIONE DI CLASSE
- PER LA RIVOLUZIONE SOCIALE, PER IL COMUNISMO
27/12/2001
Le foto di questa pagina sono state prelevate da alcuni siti argentini, in particolare quello delle Madri di Plaza de mayo e da indymedia argentina. In una pagina a parte pubblichiamo altre interessanti foto della rivolta del proletariato argentino.