Un dibattito su Indymedia (note a margine)

Nei giorni successivi alla manifestazione di Genova, si è svolto su Indymedia un dibattito sullo scontro (da noi non provocato, né voluto) che ci ha opposti ai "disobbedienti". Nel ringraziare questo sito e i compagni che hanno partecipato alla discussione telematica, ci consentiamo alcune rapide note di commento su di essa.

Due le cose più significative che emergono dalla maggior parte degli interventi.

Anzitutto una critica sul metodo seguito dai "disobbedienti", per il fatto che essi considerano il movimento o le manifestazioni in cui sfilano come cosa loro, loro proprietà esclusiva, con la pretesa di dettarvi le leggi e di risolvere a calci e pugni le divergenze interne alle lotte. Uno degli intervenuti dice: "in quanto compagni, sarebbe ora di capire che le manifestazioni sono libere [democrazia e polizia permettendo… -n.], e non è certo picchiando e strappando i giornali degli altri che si risolvono i problemi. In senso generale accettare le critiche fa parte di un movimento di compagni, anche perché la nostra produttività sta nel saper criticare determinati fattori e soprattutto nel rispondere alle critiche degli altri con fatti concreti".

Sottoscriviamo, e -sia chiaro- senza trincerarci in alcun modo dietro il "diritto costituzionale" al pluralismo. In tutti i movimenti di massa, e nel movimento del proletariato per primo, se è un fatto obbligato che siano compresenti più linee politiche e ideologiche, più organizzazioni, lo è altrettanto che esse siano in fiera "competizione" dialettica per l’egemonia. Ma che questa dialettica debba implicare l’uso delle armi fisiche (e da sparo) è "scoperta" e metodo dei Noske, degli Stalin e dei loro epigoni d’oggi, non è mai stato costume dei comunisti rivoluzionari. Non ci siamo tirati indietro e non ci tireremo indietro rispetto alla critica, anche la più radicale, di altre componenti del movimento, una critica basata per l’appunto su "fatti concreti", ma lo faremo seguendo il metodo che ci pare più istruttivo e positivo per lo sviluppo della lotta in direzione della rivoluzione sociale: quello della discussione aperta di massa, nella massa, intorno alle condizioni, ai compiti e alle prospettive rivoluzionarie della lotta. "I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni", è detto nel "Manifesto" di Marx ed Engels in relazione al nemico di classe, ma la cosa vale anche in relazione alle altre tendenze politiche operanti nei movimenti "diretti contro le situazioni sociali e politiche attuali". Anche nei loro confronti noi rivendichiamo e difendiamo il "diritto" a preparare il terreno per la vittoria del comunismo.

La seconda cosa significativa è che alla critica sul metodo abituale seguito dai "disobbedienti" si accoppia la critica, sia pur sommaria, del loro indirizzo politico. C’è un crescente numero di giovani (e non solo) no global (e non solo) che sta aprendo gli occhi sul fatto che i capi dei "disobbedienti" hanno "aspirazioni nel mondo della politica istituzionale". Del resto non è un segreto per nessuno che essi siano ben interni, a cominciare dai finanziamenti, dalla partecipazione alle sagre elettorali e dalla stretta relazione con il mondo massmediatico, alla logica del sistema capitalistico che per ora, in via transitoria, fa finta di prenderne le distanze, dopo avere staccato gli assegni, ma in realtà li coccola, li sponsorizza, li "auto"-promuove, eccome. Altro che "spazi liberati"! Né è un mistero che la piattaforma politica dei "disobbedienti", se di piattaforma politica si può parlare, sia di impronta smaccatamente riformista ("un opportunistico miscuglio di cagate riformiste", scrive uno degli intervenuti). Della sua ultima revisione in senso ulteriormente municipalistico parlava appunto il volantone distribuito a Genova, quello che ci si voleva impedire di diffondere (e diffuso poi in migliaia di copie), spiegando perché il municipalismo è l’opposto di quello che abbisogna al movimento proletario, poiché il nemico che ci troviamo a fronteggiare è un sistema mondiale, il capitalismo mondiale, e la sola battaglia che abbia senso è quella che si prefigge di saldare, di unire, di fondere tutte le lotte "particolari", settoriali, nazionali o locali in una sola lotta massimamente centralizzata nei suoi programmi e nella sua organizzazione.

Non scambiamo la ripulsa del riformismo e dell’elettoralismo dei "disobbedienti" per adesione alla nostra prospettiva; ma ci fa egualmente piacere che nel movimento stia crescendo l’insofferenza, oltre che verso i metodi, anche nei confronti dei contenuti di questa tendenza.

Due battute, infine, ai tre tipi di "disobbedienti" intervenuti nel dibattito.

A chi ci dice, con un calore che apprezziamo, che è stanco di veder dipingere la sua tuta bianca come una camicia nera e ci domanda di spiegare cosa proponiamo, rispondiamo: siamo prontissimi a dare ogni e qualsiasi spiegazione a chi ce la chiederà (cerchiamo di darla anche a chi non ce la viene a chiedere) su ciò che, a nostro parere, va fatto per potenziare il movimento no global e tutta la lotta contro il capitalismo globale. Ma davvero il minimo che dobbiamo chiedere, in via preliminare, è che ascoltiate, leggiate i nostri testi, e non vi facciate un titolo d’onore di impedirne la diffusione. Altrimenti…

A chi ci avverte con tono di minaccia che "i giornali come Che fare e Falce e martello non dovranno mai più essere distribuiti nei cortei che riguardano i disobbedienti" replichiamo, per quel che ci riguarda: togliti dalla testa una simile fantasia.

Infine a chi, con allusività in stile più da mafiosi che da compagni, scrive che ci sono delle "ragioni politiche, storiche, giudiziarie e pratiche" in base alle quali, a suo dire, dovremmo "stare alla larga" e "smammare", ragioni che però costui ritiene di non esporre in pubblico "per questioni di stile", diciamo: se è per noi, parla pure; anzi parla subito e dì tutto quello che hai da dire, con la massima pubblicità. Con la sua coerenza di comportamenti politici e pratici, l’OCI rappresenta una delle rare eccezioni rispetto al brutto spettacolo di trasformismo politico messo in scena negli ultimi decenni da fior di gruppi "ultrarivoluzionari". Parla, pippotto, parla. L’OCI saprà cosa rispondere. E ne uscirà non bene, benissimo!