Davanti alla repressione delle forze dell'"ordine", i membri dirigenti del Gsf invocano la democrazia. "La democrazia è morta", ha detto qualcuno. No, signori: quella che abbiamo visto all'opera nelle giornate di Genova (il che è ancora solo un assaggio) è la democrazia. Esagerazione dei soliti "vetero-marxisti"? Vediamo.
Per quanto riguarda il Sud del Mondo la democrazia significa Vietnam, Iraq, Jugoslavia, debito estero, embargo, medicinali a prezzi vertiginosi da monopolio, biopirateria, nuova tratta delle schiave, turismo sessuale, sfruttamento negriero del lavoro (anche minorile)... Il fascismo? No, no: tutto ciò non è opera del fascismo, è opera delle democrazie con alla testa il faro della libertà statunitense. Non che il fascismo non compirebbe simili crimini, ci mancherebbe, si limiterebbe però a coprirli con minore ipocrisia... Dov'è dunque la funzione benefica del democratico Occidente per i popoli del Sud del Mondo? Sfidiamo a trovare un esempio, che sia uno, in cui la democrazia è stata dalla parte dei popoli oppressi e delle masse lavoratrici diseredate. Non c'è. Questo significa che ogniqualvolta voi sinvoca la democrazia per affrontare i problemi del sottosviluppo, del debito estero, ecc., si consegna (volenti o nolenti poco importa) il movimento "anti-globalizzazione" nelle mani del nemico. Si socializza un'idea di esso che disarma la lotta.
Però, però... -potrebbe dire qualcuno- non vorrete negare che qui nelle metropoli la democrazia non abbia avuto anche una funzione benefica o non possa essere usata, tramite il meccanismo parlamentare, per portare al governo la nostra voce.
Benefica?
Ma ci siamo resi conto o no di come le democrazie occidentali si sono rapportate al movimento "anti-globalizzazione", tanto per rimanere all'attualità? Dobbiamo rifare l'elenco delle false (perché irrealizzabili) offerte di dialogo e delle veraci manovre repressive messe in campo da Seattle a Genova? dai governi di centro-sinistra e da quelli di centro-destra? Ma questa è solo la punta di un iceberg. Mettiamo il viso sotto l'acqua e vedremo apparire una strage e un apparato poliziesco orwelliano.
C'è una carneficina quotidiana sui posti di lavoro che lo stato democratico protegge, per la quale non si sogna nemmeno lontanamente di mettere sotto accusa i relativi carnefici: negli Stati Uniti ci sono ogni anno 10mila morti in incidenti sul lavoro, in Italia sono 1300, in Giappone il karoshi ammazza 10mila lavoratori all'anno...
Nellultimo venticinquennio i cosiddetti regni della libertà hanno visto aumentare la propria popolazione carceraria (oltre un milione e mezzo negli Usa!), restringere la legislazione sui diritti associativi e di sciopero, ingrossare l'apparato di sorveglianza (in Inghilterra c'è un milione di telecamere puntate su luoghi all'aperto, una su cinquanta abitanti!), moltiplicare le forze di polizie. Un immenso apparato di coercizione rivolto innanzitutto contro gli sfruttati e mantenuto dal lavoro di questi ultimi!
E che dire del sistema di apartheid in cui sono mantenuti nelle libere democrazie i milioni di immigrati costretti dal saccheggio occidentale dei loro paesi a fuggire qui alla ricerca del pane e della libertà? Che dire del ruolo che svolge la democrazia verso la violenza quotidiana, fisica e psichica, che viene esercitata nella società capitalistica contro la donna? O quello messo in campo verso la violenza e la morte disseminata dalla prima industria del pianeta, ossia la criminalità organizzata?
Basta questo, o cos'altro si vuole per comprendere cos'è davvero la democrazia?
Sappiamo bene che i manifestanti di Genova e i proletari in genere mettono dentro questo nome aspirazioni ed esigenze sacrosante, che con tale parola intendono un potere che garantisca la libertà e lemancipazione degli sfruttati, dellumanità. La democrazia esistente è però tuttaltro, e quellaspirazione la si può realizzare non attraverso bensì contro di essa. Possiamo farlo attraverso il diritto di voto? Anche qui guardiamo in faccia alla realtà. Se si guarda alle tendenze generali in atto nei vari paesi occidentali, si vede che il potere di condizionamento del voto è sempre più accentrato nella mani non semplicemente della classe borghese, ma della sua cupola. Negli Usa per correre per la presidenza occorrono migliaia di miliardi, un centinaio per conquistare un seggio parlamentare. Senza parlare poi dei mezzi di manipolazione dei crani, mai stati nelle mani di pochi come oggi, e non solo in Italia, mai come oggi legati -in pieno libertà, naturalmente!- ai dettati delle borse e dei centri di comando del capitalismo. Non è un caso che, in contrasto che gli inviti a recarsi alle urne dei partiti parlamentari e dei mezzi di (dis)informazione, i lavoratori e la "gente comune" tendano vieppiù a disertare il voto. Vedono omologate -e a ragione!- le posizioni dei vari poli elettorali ad un unico programma, quello imposto dalle esigenze della competizione capitalistica.
La voce in capitolo i lavoratori e gli sfruttati non possono averla attraverso la via elettorale e parlamentare. Ma solo collocandosi sul terreno dell'azione diretta e militante sia contro il potere borghese che contro la razza capitalistica di cui esso difende gli interessi.
Mercato e stato non sono due cose che stanno in opposizione, come tende a far credere la montagna di merda scritta sulla cosiddetta globalizzazione dall'editoria democratica con l'affermazione che gli stati nazionali sono stati svuotati. Sono stati svuotati -e solo entro certi limiti- solo sul piano economico: oggi essi non controllano più i movimenti di capitali come è avvenuto in una fase critica del capitalismo mondiale quale quella che esso ha attraversato tra le due guerre. Le democrazie sono però più di prima strumenti di coercizione al servizio di tali capitali, e agiscono -nei Balcani, in Palestina, a Genova e in ogni dove e quotidianamente- come tali. La funzione fondamentale dello stato borghese non è quella di regolamentare i movimenti del denaro, ma quella di controllare e reprimere i movimenti della classe sfruttata.
Ecco cosa ci dicono le giornate di Genova. Democrazia e mercato sono due facce della stessa medaglia. E giustamente ideologi borghesi come un Luttwak chiamano questa medaglia con il nome di dittatura, la dittatura del capitalismo.
Possiamo allora imporre le nostre rivendicazioni per un mondo diverso a questo apparato economico e politico con le mani alzate?