Una cronaca "dall'interno" della settimana di mobilitazioni a Genova


Ci impegniamo a presentare nei prossimi mesi un materiale di documentazione (e riflessione) sulle giornate di Genova più ampio di quanto non facciamo qui. Per adesso, ci limitiamo ad alcuni "appunti di cronaca" scritti, a caldo, sulla base della partecipazione militante della nostra organizzazione alle varie iniziative. Una cronaca fuori dalla cronaca di stato, fuori da quella piagnucolosa del manifesto.


1. Prima giornata (lunedì).

Ci si ritrova alla scuola di via Diaz per i primi dibattiti. Oltre ai rappresentanti "ufficiali" del Gsf e ai giornalisti "accreditati", molti i giovani arrivati da ogni parte, anche dall'estero. Clima di eccitazione per il fatto di ritrovarsi insieme, attenzione nell'ascoltare i relatori delle prime conferenze sugli effetti della globalizzazione nel Sud del mondo, e soprattutto la rappresentante dei Sem Terra brasiliani, che racconta la storia del movimento e le dure lotte portate avanti, ma anche le aspirazioni dei contadini e il senso di comunità che questa mobilitazione ha creato. Non sono novità, ma diverso è sentirle in prima persona da chi insieme alle notizie comunica l'energia della lotta, la voglia di cambiare il mondo.

I presenti si immaginano un decorso tranquillo delle manifestazioni della settimana. Qualcuno già si atteggia a esponente o portavoce di un nuovo ceto politico "no-global" che i grandi poteri non possono non ascoltare, ma... i fatti indicheranno che non è tutto così semplice.

2. Martedì. Partono i veri e propri dibattiti nell'area del Global Forum (tre tendoni sul mare dove si tengono anche tre discussioni tematiche contemporaneamente). L'organizzazione non lascia però molto spazio a interventi che non siano quelli dei relatori (spesso numerosi, sette-otto, tra cui c'è sempre qualche intellettuale di grido). All'inizio il pubblico, sempre con buona partecipazione di giovani, sembra più orientato ad ascoltare e farsi la "propria" idea fra le tante offerte che non a partecipare in prima persona.

I temi comunque ci sono tutti. Dal rapporto globalizzazione-mondo del lavoro al movimento femminile, agli effetti della globalizzazione sui bambini sfruttati. Le denunce sono precise, documentate, soprattutto se svolte da militanti che vengono dal Sud. Confuse e comunque inconseguenti le ricette proposte. Si ha come l'impressione che il Sud oserebbe di più se solo da qui si gettasse un ponte più consistente nella lotta contro i primi responsabili della miseria, delle guerre, della violenza, dello sfruttamento.

Nel dibattito sindacale Cremaschi della Fiom, ancora una volta, dà un quadro realistico di come la globalizzazione oramai si stia facendo sentire sulle condizioni di vita e di lavoro degli operai occidentali (e non solo). Fa anche più di un accenno alla necessità di una risposta sindacale (sull'esempio di quanto sta avvenendo negli Usa) nel senso di una globalizzazione delle lotte per la stessa riuscita della vertenza metalmeccanici. Viene da dire: bene, facciamolo! Ma se andiamo a vedere la prassi concreta della Fiom, sulla questione precarizzazione, terziarizzazioni, delocalizzazioni, ecc. , ci troviamo davanti a una politica... "social-sciovinista" (alla Fiat Mirafiori una settimana prima un volantino sindacale criticava la Fiat-Gm per non aver dato garanzie agli stabilimenti italiani in luogo di quelli polacchi!).

Resta il dato della inevitabile presa d'atto che quanto sta avvenendo nel mondo del lavoro lega oramai strettamente i lavoratori oltre i confini. E anche qualcosina di più: Cremaschi parla di "contaminazione" tra movimento operaio e movimento "anti-globalizzazione", perché da soli non si vince. Bene, ma quale programma di lotta permette una feconda "contaminazione"? non è insufficiente parlare semplicemente nei termini di "fianco a fianco" invece che di fusione tra gli sfruttati oggi impegnati sui diversi fronti di lotta aperti? e come si può giungere a tale fusione senza darsi un comune orizzonte di liberazione? senza individuare la spina dorsale sociale in grado di strutturare un fronte di lotta anti-capitalistico?

Malabarba riprende questi temi ma nell'alleanza da lui configurata tra movimento operaio e movimento "anti-globalizzazione", inquadrata in una prospettiva di lotta solo al neoliberismo (anche se a parole si dice capitalismo), si perde la centralità del proletariato e, quindi, il nodo di fondo dello scontro capitalismo-socialismo cui le scaramucce dell'oggi rimandano. Intervengono anche una lavoratrice, di Rifondazione, della Zanussi (che descrive la storia della lotta ancora in corso e chiama ad una mobilitazione alla scala del gruppo -da noi intercettata ci ha detto che una prospettiva più ampia è all'oggi irrealistica-) e un operaio della Danone francese che ha spiegato che la richesta di boicottaggio di questa grande impresa è partita dagli operai, che aiuta la loro lotta e rappresenta una possibile alleanza con i consumatori.

L'altra faccia della medaglia compare il pomeriggio, nel dibattito sulle alternative alla globalizazione, allorché Agostinelli ripropone la "centralità" del movimento operaio, ma in un'ottica europeista, di difesa del modello socialdemocratico europeo (che è spesso comparsa nei diversi interventi).

Noi siamo intervenuti (coi pochi minuti a disposizione) per dire che il nodo che si pone al movimento è quello del rapporto con le istituzioni nazionali e internazionali del capitalismo, quello di una lotta a fondo contro il capitalismo, e solo rispetto a questo è possibile fondare l'alleanza di cui sopra.

Nel contemporaneo dibattito sulla Marcia 2000 la discussione si è quasi esclusivamente incentrata sui metodi di lotta, per sponsorizzare ovviamente quelli rigorosamente non violenti (era presente un'attivista nordamenricana decana delle lotte femministe, con un buon sovrappiù di energia rispetto alle "nostre"...). La cosa interessante è che dalle donne presenti (molte Ds) è stato colto soprattutto il messaggio: dobbiamo essere in campo anche come donne. Siamo intervenuti ribadendo questo dato, coniugandolo con la necessità di schierarsi anche sui contenuti contro le cause profonde, sistemiche, che condannano la donna al Nord come al Sud ad una situazione di oppressione e inferiorità.

3. Nella diffusione della nostra stampa all'inizio c'è stata qualche difficoltà, sia per il tipo di presenza (c'era milieu e il settore giovanile da poco sulla breccia più interno all'evanescente ceto politico che s'è raggrumato alla testa del movimento "no-global", ancora assente quello ruspante, curioso, assetato, vitale che abbiamo incontrato nei giorni successivi; comunque resta il fatto che di primo acchitto molti vedendo la falce e martello sulla copertina del n. 55 rimanevano scostanti) sia perché erano presenti quasi esclusivamente banchetti dei "gruppi", dai trotzkisti inglesi onnipresenti (però anche con un bel po' di giovani) del Socialist Worker, a Sr, a FalceMartello.

Quando però qualcuno si fermava e iniziava la discussione (il che è capitato principalmente con partecipanti stranieri, alcuni dall'Australia e dalla Nuova Zelanda finanche), l'impressione nostra è che venisse fuori ai loro occhi che non siamo "vecchi arnesi", lì giusto per strumentalizzare il loro movimento ai nostri fini di collocazione nel circo del potere. Abbiamo venduto per esempio a due ragazze slovene anarchiche mostrando l'articolo sulla Jugo. E abbiamo scambiato qualche battuta con dei compagni russi (che si definivano marxisti, non trotzkisti né stalinisti) arrivati circa in quaranta con il gruppo russo di Attac. Dalla Russia erano presenti anche dei sindacalisti "indipendenti" (uno è intervenuto brevemente nel dibattito di cui sopra parlando della mobilitazione contro il recente codice del lavoro varato da Putin).

4. Mercoledì. La partecipazione ai dibattiti diventa più vasta, più giovane, si affacciano anche alcuni tedeschi dei campi che finora non si erano fatti vedere. Bovè funge da richiamo. Diventa un po' più facile la diffusione della nostra stampa. Si moltiplicano i banchetti delle organizzazioni più interne alla rete del Gsf.

Nella conferenza generale precedente i singoli dibattiti tematici c'è il primo intervento di Bovè che attacca senza mezzi termini i governi europei e la loro politica agraria e alimentare che rovina i contadini medi e piccoli qui (oltreché la gente comune per la qualità del cibo che propina) ed è aggressiva, con gli aiuti all'esportazione della Pac per le grandi imprese dell'agro-alimentare europeo, nei confronti dei contadini del Sud. Rompere con questa politica è l'unica soluzione per gli uni e per gli altri, per i produttori agricoli e per i consumatori. Qui scatta l'attacco agli Usa e il richiamo (giusto) all'azione diretta, seppur limitata contro i MacDonalds, di nuovo a partire da agosto. Sembra sfiorare, ma poi non tocca il problema cruciale della riforma agraria e delle occupazioni di terre... Chiama a raccolta contro il vertice Fao di novembre a Roma.

Di seguito lo stupendo intervento, per energia determinazione ed entusiasmo, di una delle madri di Plaza de Mayo che ha trasmesso ai numerosissimi presenti il senso quasi fisico della continuità generazionale di una lotta che deve durare ("noi siamo state fecondate dal sangue dei nostri figli trucidati... non molleremo fino a che non avremo fatto fuori quegli assassini, in primo luogo i veri mandanti che sono là su quella nave", indicando il mare...).

La più numerosa e diversa presenza si è fatta sentire. Finalmente sono iniziate le prime contestazioni o comunque accese discussioni sulle questioni sul tappeto. Al dibattito sugli Ogm è stato contestato Pecoraro Scanio (lui a parlare della lotta agli Ogm dopo aver avvelenato coll'uranio impoverito la Jugoslavia). Ci siamo uniti alla contestazione. C'è da dire, però, che la maggior parte del pubblico, ancorché critico, voleva sentirlo parlare, non solo e non tanto per spirito di democrazia ("dobbiamo lasciar parlare tutti"), ma quasi per poter uscire di lì con una propria opinione "ben fondata". Il verde-nero ha così parlato, ma non si è certo riconquistato la simpatia dei presenti, che poi non hanno lasciato parlare un responsabile Ds del settore agricoltura. Bovè, presente, ha subito esordito dicendo che è fondamentale sviluppare un movimento contadino anche in Europa, "indipendente" dai partiti che hanno dimostrato di essere sottomessi ai grandi poteri. Anche qui hanno parlato i Sem terra e Via Campesina.

Alla fine -ma davanti ad un uditorio oramai risicato- un esponente di Rifondazione ha posto il problema di andare a conquistare a questo movimento i Cobas del latte e gli allevatori!

Nel dibattito sulle alternative alla globalizzazione, veementi le denunce di una ecuadoregna e di una nigeriana sulle porcherie che anche l'Italia (con l'Agip) stanno compiendo nei rispettivi paesi.

5. Giovedì. Assemblea in mattinata sui crimini della globalizzazione: interventi -con dati significativi- sull'agricoltura nel mondo, sull'aids, sull'energia, sulle privatizzazioni, sulla bio-pirateria, sulla distruzione della foresta amazzonica, sull'Argentina. Presente un migliaio di manifestanti provenienti da tutti i continenti, desiderosi di conoscere lo "stato del mondo", di documentarsi; un settore consistente è costituito da giovani, i quali -spesso- prendono appunti.

Il nostro inserto speciale su Genova in tre lingue viene acquistato più che nei giorni precedenti. Non è raro che l'acquirente voglia discutere, sapere cosa facciamo o pensiamo su questo e quest'altro tema, soprattutto se si tratta di giovani provenienti dalla Francia, dalla Germania e dall'Australia. Di cosa si discute? Del marxismo oggi, delle implicazioni del fallimento del "socialismo reale", della prospettiva di lotta che questo movimento "anti-globalizzazione" è chiamato ad assumere se vuole davvero realizzare le sue aspirazioni.

Nel dibattito non vengono trattati i crimini compiuti dal capitale globalizzato in Jugoslavia (non semplicemente in occasione dell'aggressione militare ma prima di essa -innanzitutto con il trattamento economico cui è stato sottoposto il paese fin dagli anni Ottanta- e dopo, in questi mesi con la pace imperialista sotto il segno dell'ascesa dei democratici burattini e delle manovre di ulteriore disgregazione in Montenegro, in Vojvodina e in Macedonia; l'unico riferimento alla Jugoslavia c'è a proposito del tribunale dell'Aja che non si deve limitare a giudicare Milosevic -applauso a scena aperta per il suo arresto- ma anche chi ha usato l'uranio impoverito) o quelli legati all'alienazione della vita nella società capitalistica (su cui invece sono corrosivi i materiali messi in circolazione dagli ambienti anarchici). Silenzio su quello che sta succedendo in Palestina: forse perché i "black" palestinesi continuano a non accettare il diktat d'Israele a rifuggire dai metodi violenti?

La stragrande maggioranza dei presenti nutre l'illusione che basti denunciare i crimini della globalizzazione (e -ripetiamo- non tutti i crimini vengono visti, il che non è un semplice accidente), esporli alla coscienza del mondo, e il gioco è fatto: i potenti della Terra -che al proposito vengono considerati disinformati della situazione- diranno: "Oh, scusate, non ce ne eravamo accorti, ma ora provvederemo subito".

Ma, ma... nei giorni successivi, e soprattutto sabato notte, questa convinzione comincerà a scricchiolare, almeno in una parte del settore più giovane del movimento. Quello che fa la sua piena apparizione giovedì pomeriggio al corteo dei migranti (che saranno quasi del tutto assenti a parte la delegazione dei curdi: il successo della manifestazione metterà in ombra la questione cruciale del motivo di tale assenza, che fa da pendant all'assenza di gran parte del movimento "no-global" dalle lotte per il permesso di soggiorno sostenute lo scorso anno dagli immigrati, in totale isolamento dal proletariato e dai giovani italiani).

Pomeriggio, corteo. Cinquantamila persone. Sovrapposizione di tante lingue, grande diffusione della nostra stampa soprattutto tra i giovani, disponibili a guardare l'inserto, curiosi di avere materiale non solo di documentazione sui crimini del capitalismo ma anche politico su come lottare contro questi crimini.

Il corteo ha l'aspetto di una fiumana umana, non ci sono spezzoni organizzati. Un solo slogan, corale, rompe ogni tanto il silenzio: "Siamo tutti clandestini". È il balbettìo attraverso cui s'esprime la primitiva presa di coscienza che è in atto nella nuova generazione: siamo clandestini anche noi, anche noi siamo calpestati in questo mondo, non ne siamo contenti, il capitalismo ci ha riempiti di promesse ma la vita che ci offre e che offre all'umanità non è accettabile, stiamo dalla parte dei perdenti e non dei vincenti o dei loro falsi sorrisi anche se noi non siamo ridotti alla fame.

Ogni tanto parte un lungo, liberatorio applauso: per la gioia di vedere che tanti hanno fatto lo stesso passo di "uscire in strada", che forse si può fare qualcosa, che un incubo è finito, quello di dover con rassegnazione subire e ingoiare soprusi nel lavoro, nella scuola e nella vita quotidiana, o un futuro senza prospettive, senza felicità. Sì, un mondo diverso forse è possibile: questa la scossa che percorre il corteo con quell'applauso da stadio che rimbalza più volte dalla testa alla coda...

La "gente comune" di Genova saluta, applaude...

Sta qui, in questa scesa in campo la chiave per comprendere il motivo e il senso dell'intervento repressivo dei due giorni successivi...

6. Nel corso di una lunga discussione avuta con noi durante il corteo, un giovane compagno di Rifondazione ci racconta che in mattinata con un gruppo di amici ha fatto un giro nei dintorni della zona rossa e ha cercato di parlare con alcuni carabinieri, moltissimi di leva, schierati nelle strade. Si sono scambiati -ci dice- più di una battuta, a diversi carabinieri è sfuggito: anche a noi il G-8 non piace, anche noi abbiamo paura di quello che potrebbe succedere...

La sera precedente non pochi giovani carabinieri in libera uscita erano andati al concerto di Manu Chao a Genova ed il giorno dopo erano stati ripresi dai superiori...

Una vera avanguardia di classe non dovrebbe mettere in campo, parallelamente alla promozione di un movimento antagonista contro le istituzioni borghesi e i suoi difensori in armi, un'azione di propaganda anche verso questo settore del mondo proletario costituito dai mercenari al servizio del mantenimento dell'ordine capitalistico?

7. Venerdì, la giornata delle piazze tematiche e dei cortei distinti. Di nuovo grande partecipazione. E nuova prova generale per sabato, questa volta nel rapporto con le forze dell'"ordine". Che assenti giovedì pomeriggio, sono entrate in azione a più riprese durante la giornata di venerdì. Come mai? Per le pretese provocazioni del black bloc, come afferma qualche dirigente del Gsf e come crede una parte non piccola dei manifestanti (almeno fino a sabato notte)? Non scherziamo. Le forze dell'"ordine" sono state fatte entrare in azione per attaccare la massa dei manifestanti, per intimorirli, per svuotarne la protesta e inquadrarla in un alveo istituzionale e moderato. Ne parliamo nelle prese di posizione che accompagnano questi appunti. Qui solo un dato di fatto.

Nel corteo proveniente dallo stadio Carlini, quello promosso dalle tute bianche e dai giovani comunisti di Rifondazione, gli scontri si susseguono per ore e ore. Come mai? Perché una parte dei manifestanti, diverse migliaia!, dopo un primo momento di smarrimento, non si limitano a seguire via radio le gesta della prima linea, come invitano a fare dal camion i dirigenti dei centri sociali, ma si spostano nelle vie laterali e si mettono a fronteggiare carabinieri e polizia. Una reazione istintiva che ha aumentato, dopo il corteo di giovedì, la preoccupazione dei vertici militari e politici dello stato italiano. La repressione s'è dovuta accanire perché la massa dei manifestanti non è stata disposta a subire l'intimidazione fisica di non manifestare. È in questi scontri che è stato assassinato Carlo Giuliani.

Quando la notizia si diffonde, si organizza un'assemblea generale all'area-dibattiti. Un'altra si svolgerà in serata.

I dirigenti del Gsf si trovano in difficoltà ad intervenire, a dare indicazioni sul che fare. Oltre allo spaesamento, l'altra cosa che comunicano ai presenti è la presa di distanza dal black bloc, è un sentimento di estraneità da esso, è la denuncia del fatto che la polizia non ha operato come doveva (!!) nei giorni precedenti per fermare i violenti (!!).

La realtà è che i fatti delle ore precedenti hanno mandato all'aria i loro sogni di convincere pacificamente i potenti della Terra ad eliminare i crimini della globalizzazione senza eliminare il capitalismo. Non se la sentono di parlare? E come potrebbero? Dovrebbero riconoscere il fallimento della loro impostazione politica, il crimine di aver mandato inermi allo sbaraglio decine di migliaia di giovani, inermi innanzitutto sul piano politico a causa della fiducia verso un possibile dialogo con le istituzioni democratiche.

Un simile comportamento dei dirigenti del Gsf è il segno dello scarto esistente (per adesso ancora allo stato potenziale) tra loro e la massa che s'è messa in moto e che al momento li segue, uno scarto legato alla irriducibile contrapposizione tra le istanze dei manifestanti e le possibilità che il capitalismo globalizzato in crisi può permettersi.

Siamo intervenuti in entrambi i momenti assembleari cercando di denunciare il motivo della repressione e di indicare il modo di rispondervi (allargando il fronte di lotta e superando le illusioni sulla possibilità di poter dialogare con le istituzioni economiche e politiche del capitalismo globalizzato).

8. Sabato. Manifestazione oceanica. Il monito a stare a casa viene respinto. Molti dei proletari in piazza hanno deciso di arrivare dopo i fatti di venerdì. Presenza consistente del mondo sindacale di base. Una grande vittoria contro l'intimidazione fisica messa in campo dal governo e dai suoi apparati di sicurezza.

Quello che accade durante il corteo ripropone il copione del giorno precedente.

Al termine del corteo viene diffusa la notizia che i treni partiranno da Quarto nella notte a causa degli scontri che continuano a svolgersi nella zona della stazione di Brignole. Poi improvvisamente -verso le 19.30- la stazione viene riaperta, si fanno partire subito i treni e la gran parte dei manifestanti: la città doveva essere svuotata per procedere all'intervento nel Centro Media del Gsf.

9. La nostra presenza durante la manifestazione di sabato.

Nella mattinata buona diffusione della stampa prima della partenza del corteo. La discussione porta subito a discutere dell'assassinio, della violenza e della non-violenza, a botta e risposta di questo tenore:

"Questa non è democrazia..." No, ribattiamo noi, QUESTA è la democrazia...

"È tutta colpa dei violenti anarchici!" No, la colpa è di chi non vede l'unica vera violenza in campo, quella dello stato e del capitale, quella di chi lascia a se stessa, priva di un'organizzazione e una linea politica rivoluzionarie, la rabbia sacrosanta dei giovani, la loro mancanza di fiducia nel sistema...

"Comunque credo che i governi occidentali, se vedranno tutta questa gente, alla fine accetteranno le nostre richieste, noi abbiamo ragione..." La ragione senza la forza non può nulla contro la forza, contro le istituzioni e il sistema economico che marciano lungo la loro strada qualunque sia il costo del loro progresso sull'umanità; qualcuno disse che chi ha del ferro ha del pane, e dovremmo imparare che...

Quando parte il corteo, ci inseriamo in esso con il nostro spezzone organizzato compreso tra i due striscioni "Globalizzare la lotta e l'organizzazione di classe! Per il comunismo!". Sfiliamo in modo militante gridando slogans (vedi il relativo riquadro). Abbiamo diffuso così, insieme alla nostra stampa, qualcosa di ancor più significativo o da accompagnare significativamente alla tesi presentate sulla nostra stampa: e cioè la risposta fattiva a cosa fare contro la violenza dello stato e a come portare ad effetto le aspirazioni del movimento "anti-globalizzazione". Ci vuole -lo abbiamo detto con il nostro modo di stare in piazza e non solo a parole- l'organizzazione militante delle energie in campo, inquadrata intorno al rifiuto di ogni dialogo col G-8 e alla proposizione di una prospettiva comunista rivoluzionaria; ci vuole la propaganda verso la massa dei manifestanti; ci vuole la compattezza per difendere il corteo non dai giovani arrabbiati ma dall'unico pericolo che lo minaccia: la repressione poliziesca.

Quando il corteo è stato spezzato, ci siamo trovati in coda al settore che ha proseguito verso la piazza di arrivo. Decine di manifestanti, sparpagliati davanti alle cariche della polizia e dei carabinieri, si sono inseriti dentro il nostro spezzone perché vi hanno visto la possibilità reale di tutelarsi e questo solo perché eravamo organizzati all’autodifesa collettiva, il che non sarebbe stato possibile se non ci fossimo organizzati prima di tutto sul piano politico con la chiarezza su chi è il nemico e sulle sue caratteristiche.

A un certo punto un gruppo di un centinaio di giovani radicali -in gran parte tedeschi- si sono avvicinati a noi: non li abbiamo certo allontanati, ci siamo invece presentati, abbiamo offerto la nostra stampa, chiarito la nostra identità di comunisti rivoluzionari, non pacifisti o parlamentaristi. Sono rimasti sorpresi, hanno accettato con piacere il nostro inserto in più lingue.

Voi G 8, noi 6 miliardiIn questo modo di stare in piazza si rivela il nostro rifiuto di distinguere il movimento in buoni e cattivi, nel fare una graduatoria tra loro: il nostro intervento è rivolto a tutto le sue componenti (anche quelle inquadrate dietro pezzi della chiesa: il che fare è stato venduto anche a un gruppo di suore africane...), con l'obiettivo non già di spaccare il movimento ma di far decantare al suo interno una posizione di classe (sia sul piano dell'organizzazione che su quello dell'orientamento politico), di favorirne l'allargamento alla massa profonda del proletariato e la riunificazione (internazionale) in un movimento proletario finalmente ridestato alla sua funzione storica rivoluzionaria.

10. Le giornate di Genova hanno rivelato la frattura che s'è venuta creando, anche nelle metropoli, tra il potere capitalistico, la sua élite dirigente, le sue istituzioni e l'umanità lavoratrice e sofferente. Le grate di ferro hanno rivelato non solo il fossato esistente tra i due mondi, ma il muro che quello dei gangster capitalistici ha rizzato contro quello degli sfruttati e contro la loro protesta. Un muro che il movimento "no-global" è chiamato a buttare giù. E non certo per sedersi accanti ai criminali che oggi reggono il mondo e per gestirlo in comune.

Uno slogan diceva: voi siete 8, noi 6 miliardi. Giusto: noi rappresentiamo i bisogno di 6 miliardi, voi solo gli interessi del profitto. Una contrapposizione oggettivamente radicale, che incuba lo scontro rivoluzionario. Non lo si potrà preparare sin dalle lotte di oggi, non lo si potrà combattere, non lo si potrà certo vincere a mani alzate!