A PROPOSITO DI BLACK BLOC  
E BLOCCHI "PACIFISTI"


A Genova e dopo è puntualmente scattata, da parte del governo e dell’"opposizione", compresa quella di certi "rivoluzionari", un’operazione strumentale di demonizzazione del black bloc per ribadire le leggi dell’ordine costituito.

Dice il governo: il Gsf ci aveva assicurato una manifestazione assolutamente pacifica, di dialogo col G-8, sia pure da posizioni di contestazione ed invece ci siamo trovati di fronte ad azioni violente di una piccola parte del movimento che il Gsf non ha di fatto controllato ed ha, anzi, oggettivamente coperto a misura che non le ha sapute isolare e reprimere in prima persona. Ragion per cui, alle forze dell’ordine è riuscito impossibile distinguere tra l’una e l’altra anima del movimento e non è restato ad esse che colpire "responsabilmente" nel mucchio indistinto.

Protesta l’"opposizione": il black bloc costituiva un irrilevante settore a parte e contro il movimento generale, assolutamente isolato dalla massa. Ragion per cui la responsabilità dei "disordini" è tutta della polizia. Per sovrappiù: questa responsabilità è ancor più pesante, dal momento che c’erano tutti i mezzi preventivi per mettere i cattivi in condizione di non nuocere, ad esempio controllandoli e respingendoli alle frontiere (trattandosi, per lo più, di stranieri malintenzionati privi di qualsiasi relazione col movimento "vero", garantito dal Gsf). Questo, tra l’altro, dopo che, giorni prima, si era tuonato contro la sospensione del trattato di Schengen e l’occhiuta azione di controllo preventivo ai confini (e dentro i confini). Il ridicolo davvero non uccide…

Un Curzi ha dilagato alla tv per rimproverare alla polizia la irresponsabile, e forse strumentale, assenza di controlli preventivi e si è dovuto sentir dire da un alto responsabile della polizia stessa che s’era fatto quel che si poteva e doveva fare (vedi il caso dei greci "rimpatriati" senza troppi complimenti ad Ancona), ma che non si poteva operare un setaccio a tappeto assoluto perché… non siamo (disgraziatamente, ancora) in uno stato di polizia. Quel di tipo di stato di polizia che, se buono, costituzionale, a difesa dell’ordine democratico, forse piacerebbe a Curzi.

La minoranza di sinistra di Rifondazione aveva diffuso a Genova un documento in cui si diceva tra l’altro che il settore cosiddetto "pacifista" "fa poi della non-violenza un pericoloso feticcio, col rischio di legittimare il tentativo dei governi di dividere il movimento in ‘buoni’ e ‘cattivi’ e, dunque, di legittimare in ultima analisi le misure repressive contro il movimento" stesso nel suo complesso. Parole che sottoscriviamo in modo assolutamente… settario. Il pericolo repressivo, infatti, non dipende dalla presenza nel movimento dei "cattivi", ma dall’esigenza statuale di colpire la massa di esso, costringendola a demarcarsi non tanto da essi, ma da ogni e qualsiasi spinta realmente antagonista. Si tratta di un ricatto: non è questione di demarcarsi dai "violenti", ma di abbandonare ogni velleità concretamente "alternativa", di schierarsi direttamente, in prima persona, a fianco od a rincalzo delle forze d’ordine, o altrimenti lo scotto lo pagano tutti. Fate i poliziotti di riserva, onlus, o sappiate quel che vi aspetta. Perché ciò che spaventa non sono le intemperanze di pochi, ma il potenziale eversivo della massa, che va preventivamente controllata, disarmata, deviata.

Come diceva un documento di coraggiosi intellettuali americani a Seattle, "sta diventando pratica comune per animalisti e ambientalisti (e tutta la corrispondente fauna nostrana di agnolotti, n.) ergersi a giudici supremi. Non ci stupiremmo, perciò, di vederli a capo della "grande inquisizione" per i fatti di Seattle… Il prezzo per proteggere se stessi e la propria identità dalla violenza della polizia diventa sempre più alto"; è il prezzo dell’aperta collaborazione con lo stato, il capitale, i famosi G-8 "disposti al colloquio". È quello che noi pensiamo. A Seattle, questa gente aveva costituito dei veri e propri blocchi d’ordine contro il black bloc, addebitando ad esso quei rischi di repressione che, guarda caso!, non vedeva nelle forze di polizia (a meno di una "provocazione"). Ma già in quell’occasione "le truppe antisommossa hanno subito rimpiazzato gli ‘avvocati della pace’, come per dire: ‘ce ne occupiamo noi ora. Voi siete solo volontari nella protezione della proprietà, noi lo facciamo di mestiere’ ". Il bello di Seattle, ciò che ha poi contribuito alla sua prosecuzione ed amplificazione, è che una parte consistente della massa ha capito l’inghippo e, non sentendosela affatto di rinunziare ad una vera lotta contro i G-8, ne ha tirato le conseguenze: nel mirino siamo noi, è il nostro movimento, e a questo fucile che ci è puntato contro possiamo reagire solo dandoci maggior coerenza politica, maggior organizzazione, di difesa e di attacco rispetto alla violenza del capitale. Quella dispiegata in armi e quella, assai più sottile, ma non meno pericolosa, del nostro "coinvolgimento democratico" nel "dialogo" con gli oppressori.

"Il back bloc ha innalzato la tensione il 30 novembre facendo sì che si arrivasse a sparare lacrimogeni e gas irritanti anche contro i manifestanti non violenti", dicevano gli Agnoletto made in Usa. Replicava The Acme Collective Seattle (e si può paro paro riportarne la lezione agli odierni avvenimenti italiani): "Per rispondere a questo, possiamo solo notare che lo sparare lacrimogeni, il gassare la gente col pepper spray, lo sparare i proiettili di gomma è tutto iniziato molto prima che il black bloc iniziasse la distruzione di proprietà. In più dobbiamo opporci alla tendenza a stabilire un rapporto di causa-effetto tra la repressione della polizia e diverse forme di protesta, che prevedano o meno la distruzione di proprietà. La polizia ha il compito di difendere la minoranza dei ricchi…" Esatto. Quello che conta per l’ordine borghese, ciò che va colpito non è una determinata forma di protesta, di lotta, ma il suo contenuto, il suo potenziale esplosivo, "violento" per definizione per il capitale, peggio ancora se non estemporaneo, non individualistico. Purché, ovviamente, si tratti di un reale contenuto anticapitalista, la cui caratteristica intrinseca sta nello scontrarsi con le leggi del capitale e le sue armate di difesa. Se, invece, si tratta di una mascheratura questa può essere bene accetta purché, come s’è detto, si traduca in un effettivo volontariato di polizia a favore del capitale, salvifiche chiacchiere a parte.

Lo hanno ben capito i Ds che, dopo aver organizzato questo G-8, dopo aver banchettato amorevolmente con Clinton, dopo aver contribuito in prima persona alla guerra contro la Jugoslavia -di certo assai poco "non violenta"- si erano apprestati a presenziare a Genova con le proprie truppe tanto per dare qualche fastidio a quel Berlusconi che li aveva estromessi dal vertice, ma se ne sono immediatamente ritratti nel momento in cui il movimento minacciava di dar fastidio sul serio, di non farsi facilmente intruppare nel "dialogo" col nemico. Che c’entravano i black bloc in tutto questo? Assolutamente nulla. Un qualsiasi Fassino, forte delle sue truppe (?), avrebbe facilmente regolato i conti coi "facinorosi". La questione stava piuttosto nel fatto che sarebbe stato preferibile rimandare a casa la massa scalpitante. Perciò: togliamo il disturbo e lasciamo a chi di mestiere di fare meglio il suo lavoro coi pochi rimasti (200.000 o più…, che non hanno tolto il disturbo!).

Era una proposta molto "ragionevole". Peccato non sia stata capita dalla massa!

Ad ogni modo, molti tra i "leader" dell’ "opposizione" rimasti si sono incaricati di fare lo stesso lavoro presenziando. Tutti in nome della democrazia, del rispetto delle regole concordamente stabilite, e lamentandosi poi dell’"incompren-sione" poliziesca e berlusconiana. Ma se ci sono state violenze poliziesche "indiscriminate", di chi la colpa? Dei "cattivi", che la polizia non ha saputo distinguere e reprimere selettivamente a favore dei diritti lesi dei "buoni". O, al massimo, dei cattivi "infiltrati" dalla polizia stessa tra la massa dei buoni per cogliere il "pretesto". Il pretesto per colpire i bravi democratici? E perché mai? Forse perché (ma questo loro non lo dicono!) la stessa protesta "pacifica" rappresenta di per sé, per il suo potenziale antagonista per l’appunto, il pericolo principale. Non si sarebbe, allora, trattato di una svista, ma di un’operazione repressiva a ragion veduta contro il reale antagonismo anticapitalistico covante tra le ceneri della massa. Siamo al punto di partenza: che c'entra in tutto questo il black bloc? Un fico secco. Il capitalismo mira al cuore del movimento e non ha bisogno, per questo, di "pretesti", tolti i quali si lascerebbe liberamente agli antica-pitalisti di fare gli anticapitalisti, ma "democraticamente" (a mani alzate, o con qualche spranga antisommossa…, questo è!).

La posizione del governo Berlusconi, da questo punto di vista, è perfettamente chiara e coerente: non si può contestare realmente i G-8, non si può contestare realmente l’Occidente, il capitalismo; un movimento che sia sul serio tale va represso direttamente se i suoi tutori prezzolati (o a prezzo zero che siano) non sono in grado di controllarlo. Complimenti dal "socialista" Blair e dal "socialista" Schroeder, compagni di banchetti e guerre "pacificatrici" con D’Alema. "Tolleranza zero", ha ammonito il capo della Spd. E tolleranza zero è stata. Se ne tirino le conseguenze.

Disgraziatamente, a parte le posizioni scontate di Agnoletto e soci, tutta una selva di "contestatori" (a mani alzate sempre!), si è messa a piangere sulla "provocazione" del black bloc, chiudendo entrambi gli occhi su quella del capitale, addebitando esclusivamente ad essa la causa dei "disordini".

Aveva parlato bene la minoranza di Rifondazione. Ma, subito dopo, ecco che un volantino dei giovani comunisti che vi fanno riferimento, scrive che "il cosiddetto "blocco nero" è nemico di questo movimento da ogni punto di vista" e le "autorità preposte" (da chi? da pincopallino? dal popolo?) "non hanno saputo o voluto operare per isolare i violenti e tutelare la città e i manifestanti", operando "una repressione indiscriminata". Già, perché una repressione discriminata potrebbe servire ad assicurare città e cittadini "alternativi"; anzi, ne sarebbe la precondizione!

Un gruppo "trotzkista" indefettibile (povero Trotzkij!) ha scritto che "lo spauracchio del "blocco nero" o di presunte frange di violenti pronti a tutto, infiltrate nei cortei" è servito da alibi contro "il nostro legittimo dissenso" (bella parola questo "dissenso"!, bella parola questo "legittimo" da costituzionalisti democratici!). E così il governo Berlusconi "ha ora le mani sporche del sangue di un giovane italiano" (italiano soprattutto!, e, visto che non si muoveva troppo da pacifista –cosa che noi non gli imputiamo- non si dovrebbe annoverarlo tra gli "infiltrati contro il movimento"?!).

Addirittura un gruppo "anarchico" centrosocialautogestito ha il coraggio di scrivere: "Tutta la gente comune si chiede: perché la polizia non ha fermato le "tute nere"?… I servizi segreti sapevano benissino quali erano le intenzioni del black bloc e ha fatto di tutto perché queste intenzioni potessero esplicarsi fino in fondo"; si trattava di ben individuabili "ragazzini terribili (quasi tutti stranieri)" dalla "testolina vuota". Stranieri innanzitutto! Quando si dice "nostra patria è il mondo intiero"! Degli intrusi "infiltrati" tra la massa di italiani dalla testolina piena (di sviscerato amore per la democrazia imperialista).

Siamo da tempo abituati a passare noi stessi per "provocatori". Secondo la vulgata corrente, portata avanti con particolare accanimento da certi centri sociali del nord-est, "coprivamo" Hussein quando ci opponevamo alla guerra all’Iraq, "coprivamo" Milosevic nel caso jugoslavo (mentre costoro coprivano i bombardieri Nato), così oggi finiremo per essere accusati di "coprire" il black bloc. Chi ci conosce, e soprattutto ci ha visti e sentiti a Genova, sa come stanno le cose e sa dove e chi siano gli infiltrati veri, quelli del capitale.

Rispondiamo a costoro sempre con un pezzo dell’ACME USA a Seattle: "La reazione alle attività del black bloc ha evidenziato alcune delle contraddizioni e dell’oppressione interna che vivono gli ‘attivisti non-violenti’. A parte l’ovvia ipocrisia di quelli che fanno violenza contro chi è a volto coperto e vestito di nero (molti dei quali sono stati aggrediti malgrado il fatto che non siano mai stati coinvolti nelle attività di distruzione di proprietà), questo è il razzismo degli attivisti privilegiati che possono permettersi di ignorare la violenza perpetrata contro la maggior parte della società e della natura in nome del diritto di proprietà privata". Esatto al 100%.

A Seattle il black bloc così si espresse in materia: "Portare avanti il ‘libero mercato’ vuol dire far arrivare questo processo (di sfruttamento ed oppressione) alle sue logiche conseguenze: una rete di poche industrie monopoliste con un controllo completo sulle vite di tutti noi. Portare avanti un "mercato giusto/equo" vuol dire aspirare a vedere questo processo mitigato dalle leggi dei governi", ma "la proprietà privata -e quindi il capitalismo- sono intrinsecamente violenti ed oppressivi e non possono essere riformati o mitigati". Vogliamo prendere le distanze dal black bloc quanto ai modi del suo operare? Certo, purché partendo dal riconoscimento della profonda verità che sta in queste parole. Come lavorare per abbattere l’irriformabile capitalismo è questione primaria per noi, purché si sappia che questo è il nostro compito, assolutamente non equo né solidale col potere!

Quanto alle azioni del black bloc nel concreto vorremmo tornare a suggerire il commento che ne fece Mumia Abu Jamal: "Molto può essere detto sui bistrattati anarchici che hanno sconquassato il centro della città, attaccando gli splendenti edifici del Capitale. La stampa ha colto al volo l’opportunità di chiamarli ‘delinquenti’ o ‘hooligan’ coinvolti in ‘violenze’. Ciò che manca nei servizi, ovviamente, è che quei giovani attaccavano la proprietà, non altri esseri. Nel frattempo, lo stato, attraverso la sua polizia, attaccava le persone, le prendeva a calci, le gassava, le picchiava e le incarcerava. Quale, ci si chiede, è la più grave forma di violenza? Ma, nel mondo proiettato dai media corporativi, la violenza dello stato non è vera violenza. Solo gli individui che non sono integrati nello stato, quindi, possono essere dei veri violenti".

E speriamo che, adesso, qualcuno della sinistra, magari "rivoluzionario", non chieda l’esecuzione immediata dell’"infiltrato" Mumia! Noi stiamo dalla sua parte.