29 ottobre 2008
Il nostro volantino ai lavoratori della scuola per lo sciopero e le manifestazioni del 30 ottobre
Il decreto Gelmini è stato approvato:
come continuare la lotta?
Il governo Berlusconi-Bossi-Fini non si aspettava di trovare nelle scuole l’opposizione alla riforma Gelmini che è andata crescendo nelle ultime settimane e che, per ora, è culminata nello sciopero del 30 ottobre. L’approvazione del decreto Gelmini al Senato mostra, però, che la mobilitazione finora messa in campo non basta. Per chiarirci le idee su come andare avanti, su cosa si può fare “di più”, va messo a fuoco lo scopo complessivo che il governo Berlusconi-Bossi-Fini intende portare avanti con la sua contro-riforma della scuola.
È vero che essa mira a tagliare l’istruzione per quasi 9 miliardi di euro a vantaggio delle banche, della finanza, dei re dell’industria e delle spese belliche. Il taglio a questo come agli altri anelli della spesa sociale (v. sanità) serve per sostenere il profitto e la competitività (anche militare) del cosiddetto “sistema Italia”. La riforma Gelmini serve anche, però, per riorganizzare complessivamente la scuola, cominciando innanzitutto da quella elementare, per renderla ancor più adeguata alle esigenze di crescente torchiatura del lavoro operaio richiesta dai mercati e dalle aziende.
Il “maestro unico”, il voto in condotta, la demolizione del “tempo pieno”, le classi “separate” per i figli degli immigrati e l’introduzione di una didattica ancor più nozionistica non rappresentano un ritorno al passato. Il decreto Gelmini prospetta una scuola al passo coi tempi e con le necessità del capitalismo italiano ed internazionale. Una scuola che, molto più di quanto non faccia oggi, abbia come principale fine quello di “educare” sin dall’infanzia le future generazioni lavoratrici alla sottomissione nei confronti delle gerarchie (oggi scolastiche, domani aziendali e militari), all’individualismo ed alla divisione e contrapposizione tra lavoratori.
Per mettere a segno questo affondo, la contro-riforma della scuola coopera con altre mazzate assestate o progettate dal governo Berlusconi: la tolleranza zero, il federalismo, l’affondo contro la contrattazione nazionale... Si tratta dei differenti aspetti di un’ unica offensiva che punta a distruggere ogni capacità di resistenza e di organizzazione collettiva dei lavoratori per imporre, a partire dall’industria, un ancor più ferreo regime di sfruttamento della forza lavoro.
Un’offensiva di questa portata (che la crisi finanziaria in corso e la recessione in arrivo non faranno che rendere più tagliente) può essere fermata solo da un movimento di lotta generale che veda fianco a fianco i lavoratori della scuola ed i lavoratori degli altri settori, degli operai in primo luogo. Un movimento che punti a bloccare i singoli provvedimenti nell’unico modo possibile: bloccando il governo Berlusconi-Bossi-Fini, buttandolo giù dalle piazze. Senza permettere che continui a fare macelleria sociale per altri quattro anni.
Lo sappiamo, non è un passo in avanti facile da fare. Da un lato, perché continua ad essere ancora presente l’idea (illusoria) che quello della scuola sia un “mondo a parte”, che può e deve essere tutelato grazie a sue presunte “particolarità”. Dall’altro lato, perché nelle fabbriche e negli uffici del settore privato il ricatto occupazionale e la minaccia di chiusura o di spostamento all’estero della produzione stanno al momento agendo da ostacolo alla capacità di mobilitazione e lotta dei proletari che vi lavorano.
Non è dunque una strada semplice, ma è l’unica (altro che referendum!) che ci può portare a contrastare realmente l’azione del governo anche sullo “specifico” terreno scolastico. Lo dimostra, tra l’altro, l’esperienza storica degli ultimi decenni. Fu soprattutto grazie alla scesa in campo della classe operaia che, negli anni sessanta e settanta, si riuscì a scalfire la rigida struttura classista della scuola italiana. Fu grazie al risveglio di chi spesso sapeva a malapena leggere e scrivere ed era emigrato dall’“arretrato” Mezzogiorno nell’“avanzato” triangolo industriale, che l’ala degli insegnanti più attenta alla formazione da veri esseri umani degli alunni trovò l’ossigeno per lottare dall’“interno” dell’istituzione scolastica, insieme agli studenti, contro la scuola dei padroni, la sua gerarchia, il suo nozionismo. Fu grazie a quell’“onda anomala” incentrata sulla classe operaia mirante a migliorare le condizioni di lavoro, le tutele in campo sociale e la formazione della nuova generazione, che si conquistò il tempo pieno. Non è un caso, d’altronde, che l’“affondo all’istruzione” in corso venga lanciato oggi, dopo che il terreno è stato preparato da anni ed anni di costante attacco (sviluppatosi nella quasi totale indifferenza dei lavoratori della scuola) alle condizioni e alla capacità di resistenza politica dei lavoratori dell’industria.
La lotta alla contro-riforma Gelmini richiede, quindi, di consolidare la mobilitazione dei lavoratori della scuola e dei genitori realizzatasi in queste ultime settimane e di indirizzarne le energie verso la costruzione, con tenacia, di momenti di contatto, di dialogo, di assemblee e di comune organizzazione con il resto del mondo del lavoro, a cominciare da quello operaio. Che non è affatto scomparso, come vorrebbe far credere l’interessata propaganda dei mezzi di informazione ufficiale. Si è invece allargato. A scala planetaria. Ed anche in Italia, dove ci sono ben cinque milioni di operai. Il giorno successivo allo sciopero generale della scuola, il reparto centrale di questo mondo, i metalmeccanici della Fiom, ha riunito a Roma, in un’assemblea nazionale, tremila delegati contro l’attacco al contratto nazionale lanciato dalla Confindustria e dal governo. Ed ha deciso per il 12 dicembre uno sciopero generale della categoria. Non possiamo permettere che la lotta dei lavoratori della scuola continui a rimanere separata dal resto del mondo del lavoro e dalle iniziative difensive che esso sta intraprendendo.
In questa direzione nessun aiuto verrà dai vari Veltroni ed Epifani. Il dichiarato obiettivo di fondo che muove la loro politica è infatti quello di “salvare l’Italia”, di rilanciarne la competitività e la credibilità internazionale. Ma tutto ciò, al di là di ogni chiacchiera, necessita comunque di una maggiore subordinazione del mondo del lavoro e della scuola alle imprese ed ai mercati: esattamente quello a cui, in maniera più spiccia e dirompente, mira l’azione berlusconiana. La “riforma” Berlinguer e la “riforma” Fioroni non hanno d’altronde preparato il terreno alla Gelmini?
A conferma di ciò, si guardi come i vertici sindacali hanno tenuto accuratamente separati lo sciopero della scuola e quello dello stesso pubblico impiego. O come il segretario del PD ha prontamente offerto al governo la collaborazione dell’opposizione parlamentare per poter celermente prendere tutte le misure necessarie per dare “fiducia e stabilità” ai mercati dinnanzi alla galoppante crisi delle borse. “Fiducia e stabilità”: cioè un ulteriore ed enorme travaso di risorse estorte ai lavoratori e riversate nelle tasche dei finanzieri e degli industriali a sostegno di un sistema sociale, il capitalismo, che per sopravvivere deve nutrirsi con insaziabile voracità del sudore e del sangue della classe lavoratrice italiana e mondiale.
Per portare avanti con efficacia la lotta contro la controriforma Gelmini, occorre, quindi, che si cominci anche a riflettere su quanto sia indispensabile farla finita di affidare le proprie sorti ai Veltroni di turno e quanto, invece, ci si debba battere per conquistare un vero partito della classe lavoratrice. Un partito che, nella lotta, dica con chiarezza che la difesa delle condizioni dei lavoratori e dei loro figli può essere conquistata non accettando ma battendosi contro le esigenze del mercato, del profitto e della competitività nazionale e aziendale. Può essere conquistata attraverso il collegamento delle singole lotte (quella contro il decreto Gelmini, quelle contro la revisione della contrattazione nazionale, il progetto di federalismo fiscale e il razzismo) alla prospettiva di un nuovo sistema sociale, il comunismo, nel quale, a scala mondiale, i mezzi tecnologici e scientifici creati dall’opera di miliardi di lavoratori non siano più finalizzati, come accade oggi, a tenere in piedi un’organizzazione sociale che vive di profitto, sfruttamento, guerre e immani devastazioni sociali e ambientali, ma sia posta al servizio del pieno soddisfacimento dei bisogni dell’intera umanità lavoratrice associata e della crescita armoniosa della nuova generazione.
29 ottobre 2008
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA