23 ottobre 2008
Un nostro volantino
La crisi finanziaria internazionale e i lavoratori
Lavoratori,
per anni ci hanno spaccato i timpani con le miracolose virtù della globalizzazione e del libero mercato: sviluppo e benessere per tutti, ovunque, senza limiti. Abbiamo ora sotto gli occhi i risultati del “miracolo”. Le più grandi banche del mondo crollano l’una dopo l’altra. Le borse, forzieri e santuari di questa società di merda, scricchiolano paurosamente dopo aver perso in un anno il 40%. E dietro l’angolo c’è la recessione. Da qui, dal generalizzarsi del disordine globale, partirà, è già partito un attacco tremendo contro i lavoratori. È bene intenderlo a tempo, senza farsi imbambolare dalle ipocrite rassicurazioni dei governi e dei banchieri centrali.
Come si è arrivati a questo disastro?
Ci dicono: la colpa di tutto è di alcuni finanzieri troppo avidi e super-pagati; bisognava controllarli un po’ di più. Tremonti&C., loro soci in affari da sempre, assicurano: “D’ora in poi li controlleremo ben bene, e se è il caso, li sostituiremo”. Così, tranquilli, il sole tornerà a splendere sui palazzi e sulle capanne. Balle spaziali!
I lupi famelici delle banche e delle borse, che ora si finge di criticare, sono in realtà la massima, la migliore personificazione del capitale. Erano, e sono, i più ricchi e i più potenti esattamente perché incarnano meglio di qualsiasi altra “figura” la brama capitalistica di guadagnare di più, sempre di più, ancora di più, sul sudore e sul sangue di chi lavora e, lavorando sodo, stenta la vita, e spesso la perde. Il meccanismo capitalistico, piaccia o meno, funziona così: se i lavoratori di oggi non danno abbastanza profitti per alimentare la corsa sfrenata a una ricchezza sempre più smisurata, ecco che in borsa si scommette sui lavoratori di domani e di dopodomani, sui profitti futuri che si potranno fare sul loro lavoro, comprando e vendendo la pelle delle future generazioni di lavoratori di tutte le razze e di tutti i colori.
Esattamente questo è successo negli ultimi venti anni sui mercati finanziari.
Se la corsa al rialzo fondata su questa scommessa sta saltando per aria, è perché negli ultimi due anni gli avvoltoi che comprano e vendono il lavoro (e la vita) nostri, dei nostri figli e dei nostri nipoti, si sono via via resi conto che i lavoratori, in specie quelli della Cina e dei paesi “emergenti”, proprio i paesi su cui puntava Wall Street per vincere la scommessa, non hanno accettato e non accettano di essere trattati da schiavi. È perché gli Stati Uniti, la potenza militare incaricata di creare le condizioni ottimali per questa torchiatura globalizzata -anche con le guerre “umanitarie”-, hanno dovuto segnare il passo in Iraq, in Afghanistan, in Palestina, in America Latina grazie alla magnifica resistenza dei popoli di queste aree. I padroni del mondo hanno tentato, nell’ultimo anno, un’ultima spallata, mettendo in azione i loro burattini in Tibet e in Georgia, ma non sono riusciti a fare goal. E il muro di Wall Street ha iniziato ad incrinarsi...
E adesso?
Adesso i grandi poteri capitalistici di Usa ed Europa intendono perseguire lo stesso obiettivo per un’altra via.
Il governo Usa e quelli europei hanno aperto un formidabile paracadute per salvare i boss delle banche e delle borse, accollandosi i debiti da loro contratti speculando sulla futura schiavizzazione dei lavoratori. “Loro”, quindi, sono salvi. Ma chi pagherà questo maxi-regalo? I governi e i banchieri centrali puntano il dito verso di noi, verso il solito Pantalone... E se non bastasse, è in arrivo la recessione, che le imprese industriali intendono usare per ricattarci e costringerci ad accettare quello che finora non abbiamo accettato, a partire da un’intensificazione tremenda dei ritmi di lavoro e dall’allungamento dell’orario di lavoro.
I governi, i governatori delle banche centrali dichiarano che intendono ripristinare la fiducia dei mercati, e che per questo obiettivo dovrebbero darsi da fare anche i lavoratori. Ma qual è la fiducia che desiderano i mercati? E’ la fiducia nella disponibilità del proletariato a farsi torchiare! Ad accettare gli enormi sacrifici richiesti dal finanziamento dei maxi-piani di salvataggio! A cominciare, per quel che riguarda l’Italia, dall’accettazione delle misure già messe in campo dal governo Berlusconi. Tagli –e che tagli!- alla sanità, alla scuola, alle misure di sicurezza sui posti di lavoro; passaggio alle assicurazioni sanitarie private; e, soprattutto, una drastica riduzione dei mezzi di auto-difesa dei lavoratori (che possono essere solo collettivi) attraverso la distruzione del contratto nazionale, il federalismo, il razzismo, la militarizzazione della vita sociale (per ora con lo schieramento dell’esercito nelle strade di qualche città... poi si vedrà...)
Ci salverà un patto tra destra e centro-sinistra, tra padroni e sindacati?
In nome della gravità della situazione, Veltroni, il partito democratico e la quasi totalità delle dirigenze sindacali invocano un patto di unità nazionale con Berlusconi, Bossi, Fini&C., un patto per “salvare l’Italia”.
I governi e i patti di unità nazionale sono stati sempre una sventura per i lavoratori: a partire, nella storia recente, dal 1977, quando il governo Andreotti (con l’appoggio “esterno” del Pci) allungò di 7 giorni l’orario lavorativo annuo, varò prime misure anti-sciopero e quant’altro. Oggi lo sarebbe ancora di più: perché il rilancio della competitività delle imprese, la salvezza del capitalismo italiano ed europeo, il ripristino della fiducia dei mercati, possono avere due soli carburanti: la terribile intensificazione dello sfruttamento dei lavoratori e la blindatura dell’apparato statale contro ogni forma di resistenza al piano di schiavizzazione che il capitale ha in programma. Il governo di unità nazionale, se dovesse formarsi, sarebbe chiamato a gestire proprio questa politica in stretta collaborazione con i centri finanziari rimasti in piedi, e diventati ancor più potenti di prima.
C’è un solo modo per fermare il governo Berlusconi-Bossi-Fini!
C’è un solo modo per salvarci dall’uragano in arrivo.
Respingere il tentativo di accollare ancora una volta ai lavoratori le conseguenze disastrose di questo sistema sociale sempre più decrepito. Rifiutare ogni forma di delega ai poteri costituiti. Ritirare la delega anche ai vertici sindacali, pronti a nuove svendite dei nostri diritti e delle nostre condizioni di vita. E prepararci da subito alla lotta. Alla lotta auto-organizzata, di piazza, contro la misure che intende imporre il governo Berlusconi. Alla lotta unitaria tra operai e salariati, tra lavoratori immigrati e italiani, tra dipendenti pubblici e privati, tra lavoratori e giovani in agitazione nelle scuole e nelle università. Alla lotta contro il governo Berlusconi-Bossi-Fini nel suo insieme per fermarne gli affondi nell’unico modo possibile: buttandolo giù dalla piazza. L’approvazione del decreto Gelmini mostra che chi ci attacca conosce solo il linguaggio dei rapporti di forza.
Certo, oggi come oggi non siamo in grado di dare una spallata al governo per farlo cadere. Ma il rilancio dell’iniziativa di lotta dei lavoratori è, invece, più che possibile. E se ad essa si accompagnerà una piattaforma di lotta sindacale e politica che corrisponda agli interessi generali della classe lavoratrice e che perciò respinga gli imperativi schiavisti della competitività e del mercato, se così sarà, buttare giù nelle piazze il governo Berlusconi non sarà un’impresa impossibile.
È in gioco la prospettiva di un altro sistema sociale
Ma rifiutandoci di pagare le tragiche conseguenze di questo “folle” sistema sociale, non “rischiamo” forse di metterlo in discussione?
Certamente sì. Ma è lo stesso sistema capitalistico che si sta mettendo in discussione da solo, perché mostra di non essere in grado di permettere a chi lavora una vita dignitosa, sicura, serena, neppure nei paesi più ricchi, figurarsi negli altri! Gli straordinari mezzi di produzione creati dal lavoro universale debbono essere rimessi collettivamente nelle mani dei lavoratori, e debbono essere usati, secondo un piano razionale collettivamente deciso, nell’interesse dell’umanità, della specie, della natura. Possiamo, dobbiamo cominciare a “dirlo” già nel corso delle lotte difensive che siamo chiamati a intraprendere da subito per impedire che ci accollino il costo dei tracolli finanziari avvenuti e da avvenire. Da settimane i capitalisti e i loro rappresentanti sono riuniti in una sorta di congresso permanente per puntellare insieme, anche se l’un contro l’altro armati, il loro decrepito sistema di sfruttamento e per lanciare una nuova, grande sfida al lavoro mondializzato. E il lavoro mondializzato come potrà rispondere? Solo gridando:
No al piano euro-statunitense di salvataggio delle banche!
No a nuovi sacrifici, alle divisioni e alla competitività tra lavoratori, al disciplinamento degli spazi di lotta collettiva! No a nuove guerre imperialistiche contro i lavoratori di altri paesi!
Sì alla ripresa della lotta anti-capitalistica, del movimento proletario internazionale, dell’organizzazione di classe!
23 ottobre 2008
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA