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Diamo continuità e forza alla lotta contro il capitalismo globalizzato

e contro la “guerra permanente” ai popoli del Sud e dell’Est del mondo.

 

Ci troviamo qui a Rostock in questa settimana di mobilitazione per protestare contro gli stati del G8 e tornare a sostenere che “un altro mondo è possibile”.

 

Siamo qui per denunciare alcuni processi sociali devastanti. L’indebitamento e l’impoverimento della quasi totalità dei paesi del Sud del mondo. Il fatto che milioni di lavoratori e di lavoratrici siano costretti ad emigrare dal Sud e dall’Est alla ricerca di migliori condizioni di vita qui in Occidente, e vengano qui colpiti da legislazioni e da prassi razziste che li mettono brutalmente sotto ricatto. I continui e sempre più duri attacchi che i lavoratori dei paesi ricchi subiscono ai loro salari, ai loro orari e alle “garanzie sociali” da loro conquistate. Le discriminazioni e le violenze contro le donne. Le enormi devastazioni ambientali in atto. Le guerre a catena promosse dagli stati del G-8.

 

Tutti questi processi si stanno allargando e approfondendo. I mezzi ordinari e “pacifici” del debito estero, del WTO e delle politiche neoliberiste stanno risultando insufficienti ai governi del G-8 per affrontare e risolvere i nodi intricati che hanno di fronte. Sicché per far ripartire alla grande il proprio processo di accumulazione di profitti, per abbattere tutte le barriere al proprio sviluppo, il capitale occidentale ha bisogno sempre più di ricorrere a metodi “eccezionali” ed apertamente bellici in quella che si configura come una guerra del capitale globale contro il mondo del lavoro globalizzato.

 

Ecco perché, anche se Bush e l’amministrazione yankee sono oggi in difficoltà, grazie soprattutto –non dimentichiamolo mai!- alla magnifica resistenza degli iracheni, dei palestinesi, degli afghani, la “guerra infinita” che essi hanno messo all’ordine del giorno dei prossimi trenta anni, e a cui i governanti europei, da Blair a Berlusconi, dalla Merkel a Prodi, si sono in sostanza, pur se con qualche “distinguo”, associati, deve essere presa molto sul serio. Lo conferma pure la recente vittoria di Sarkozy in Francia, nel paese che è stato uno dei centri d’iniziativa del movimento “altermondialista”.

Come reagire a questa aggressione?

Nella piattaforma che ha convocato questa manifestazione si dice: con una globalizzazione “dal basso”, democratica, capace di globalizzare la “giustizia sociale” e la “sicurezza sociale”. Se questo significa che è solo e soltanto “in basso”, nella grande massa degli sfruttati e di quanti vivono del proprio lavoro, non certo nelle “alte sfere” dei poteri costituiti, che può esserci l’interesse e la forza di opporsi all’attuale corsa verso l’abisso, lo sottoscriviamo in pieno. Ma molto, troppo spesso, in questi anni una simile formula ha espresso l’illusione di poter risolvere i drammi del presente attraverso un rapporto costruttivo, anche se conflittuale, con una parte delle forze presenti nei parlamenti borghesi. Nei movimenti “no global” e “no war”, infatti, è prevalsa finora la convinzione che alle radici di tutte le contraddizioni sociali che ci attanagliano non vi sia – come noi crediamo - il sistema capitalistico in quanto tale, ma solo una certa forma, una certa politica del capitalismo, quella “ultra-liberista”. Ed è prevalsa, di conseguenza, la prospettiva che intende apportare al capitalismo delle riforme che lo rendano un sistema “dal volto umano” o, almeno, un po’ meno “ingiusto”.

Con quali risultati?

In Europa, qualche portavoce dei movimenti è riuscito ad entrare nelle istituzioni. E’ cambiato perfino qualche governo (come in Italia). Ma la musica dei mercati, degli stati, dei governi e dei parlamenti è rimasta la stessa. Precarietà, supersfruttamento, sacrifici, legislazioni anti-immigrati, crisi ecologiche, guerre e preparativi di guerre. E posti davanti a questa evidente refrattarietà delle istituzioni capitalistiche ad ascoltare le istanze dei movimenti di lotta, davanti ai “no” a ripetizione e ai diktat di democrazie sempre più blindate in senso anti-proletario, abbiamo visto gli ex-portavoce dei movimenti e le forze politiche ad essi “vicine” adattarsi a chiedere, con il cappello in mano, elemosine, null’altro che elemosine, senza riuscire in molti casi ad ottenere neanche quelle! E lungo questa strada senza sbocchi i movimenti si sono involuti e indeboliti, e molte potenzialità di lotta sono andate disperse.

Tante contraddizioni, una sola radice, una sola alternativa!

Sì, dunque, alla globalizzazione e al potenziamento delle lotte ma su un terreno che di necessità è extra-istituzionale ed anti-istituzionale! Vi è in esse una forza potenziale straordinaria che è stata finora mortificata oltre che dall’istituzionalismo, dal mantenere separate istanze di lotta che possono e debbono, invece, convergere. Già il “semplice” fatto che si incontrino qui a Rostock una molteplicità di soggetti portati da “diverse” ragioni a protestare insieme contro un unico bersaglio: gli stati del G8, è segno evidente che al di sotto di queste spinte molteplici agisce la vitale esigenza di unirsi. Ed in effetti nessuna delle “singole questioni” che ci hanno condotti qui, può essere risolta isolatamente. Tutte, al contrario, ci chiamano a rilanciare alla scala internazionale il confronto sulla causa ultima dei processi contro cui siamo scesi in campo e sugl’interessi di fondo di cui gli stati del G8 si fanno esecutori. E ci chiamano a unirci in un solo fronte di lotta che sia capace, con la sua forza e con la sua cosciente organizzazione, di risalire alla radice unitaria – non riformabile - della totalità dei mali sociali contemporanei: il sistema capitalistico. E tagliarla.

Prendiamo la questione ambientale: non ci sono energie rinnovabili, protocolli giuridici, tetti formali di riduzione dell’inquinamento che tengano fino a quando non andremo a mettere sotto accusa e colpire un sistema che considera l’ambiente, come ogni altra cosa, solo come un mezzo per produrre la massa maggiore di profitti nel minor tempo possibile. La stessa cosa si può dire per la questione femminile e l’antagonismo tra questo sistema sociale e le esigenze di riproduzione della specie umana, che nonostante l’incessante demagogia ufficiale, specie qui in Europa, sul fare “largo alle donne” e gli altrettanto demagogici piani di “empowerment” e di “liberazione” (a suon di bombe…) delle donne “di colore”, sono sempre più minacciate, nelle donne e negli uomini, dall’inquinamento, dall’impoverimento (materiale e relazionale), dalla precarizzazione, dallo stress lavorativo, dalle guerre. O ancora: prendiamo la questione del lavoro, con la precarietà, l’intensificazione e la spirale verso il basso che comprime ovunque diritti e condizioni di lavoro e di esistenza dei lavoratori. Da dove deriva tutto ciò? da singoli provvedimenti di singoli governi e di singoli padroni o non piuttosto, al di là di questi, dalle leggi della concorrenza internazionale tra imprese e tra lavoratori? e queste leggi non rinviano forse a un meccanismo unitario e sistemico?

In realtà, i problemi per cui manifestiamo oggi rimandano tutti, al fondo, ad una sola e stessa fonte: all’antagonismo tra il carattere sociale della produzione e la sua appropriazione privata. Al fatto che nell’economia di mercato capitalistica che domina il mondo, l’enorme energia produttiva sprigionata dal lavoro sociale è finalizzata solo ed esclusivamente alla produzione di profitti, ossia allo schiacciamento dei lavoratori. E’ quest’ordinamento sociale, fatto sempre più, specie nella sua fase di decadenza, di sfruttamento e di guerra che va scardinato, con una battaglia epocale che apra la strada alla sola alternativa possibile: il socialismo internazionale. Una battaglia che può e deve incentrarsi sulla classe del lavoro salariato, il proletariato, e che con la sua radicalità può e deve agire da catalizzatore delle attese di tutti gli oppressi, inclusi quei settori sociali marginalizzati attratti al momento, o che potranno esserlo domani, dalle sirene dei risorgenti nazional-socialismi.  

La centralità del proletariato nella lotta rivoluzionaria contro il capitalismo non è dimostrata solo da una storia secolare – le internazionali operaie, la Comune di Parigi, la rivoluzione d’Ottobre, la storia della partecipazione del proletariato di colore a tutti i più grandi moti anti-coloniali –; essa è pienamente riconosciuta anche in questi giorni dagli stessi funzionari del G8, che ancora una volta, in occasione di questa manifestazione, hanno fatto del loro meglio per criminalizzare il movimento agli occhi dei lavoratori e della “gente comune” così da tenerli lontani da esso.

Globalizziamo la lotta e l’organizzazione di classe!

E’ per questo che la presenza alla manifestazione dei lavoratori dell’IGM e del DGB è molto importante, come lo fu quella dei lavoratori statunitensi alle giornate di Seattle, così come lo è ogni tentativo di tessere veri legami internazionali di solidarietà tra i lavoratori. Lo diciamo sotto questo solo profilo, sapendo bene che, invece, molteplici accordi firmati dal sindacato tedesco con l’obiettivo di evitare le delocalizzazioni nell’Est e nel Sud del mondo vanno in tutt’altra direzione. La strada per costruire un efficace argine difensivo all’attacco del capitale multinazionale e dei suoi governi non è certo quella della contrapposizione tra lavoratori di diversa nazionalità; è quella della globalizzazione delle lotte e dell’organizzazione sindacale di classe, sollecitata anche dalla ripresa degli scioperi industriali in Polonia, in Cechia, in Russia, in Ucraina… E’ urgente rivolgerci anzitutto proprio ai lavoratori dell’Est, che stanno sperimentando sulla loro carne cos’è stata e cos’è in realtà la “liberazione” dal falso “socialismo”, da cui erano stati per decenni amministrati e dominati; una assai strana “liberazione”, che li ha resi una riserva di braccia per il capitale occidentale, europeo in particolare, che li torchia lì, per mezzo delle delocalizzazioni, e li torchia qui in modo differenziale in quanto lavoratori immigrati. Dobbiamo farlo respingendo e denunciando ogni forma di politica social-sciovinista nei confronti di questi lavoratori, venga essa dalle destre xenofobe e razziste o dalle sinistre ”sociali” alla Linkspartei.

Allo stesso modo, dobbiamo dare senza esitazioni e timidezze di sorta la nostra più incondizionata solidarietà alle lotte dei lavoratori immigrati, che non sono solo delle vittime del mercato globale ma ci hanno dimostrato e ci dimostrano – con le enormi mobilitazioni per il primo maggio 2006 negli Stati Uniti, con le sollevazioni delle banlieues parigine, con le iniziative di lotta in Italia – la loro grande dignità ed energia di lotta.

E se la guerra contro i “popoli canaglia” del Sud del mondo è, come è, uno strumento permanente per garantire il dominio del capitale alla scala mondiale scagliando gli sfruttati gli uni contro gli altri, allora le iniziative contro il G8 debbono mettere al primo posto, senza ambiguità, la lotta per il ritiro di tutte le truppe di occupazione occidentali dai fronti di guerra e dare il proprio attivo sostegno ai popoli che resistono all’imperialismo, a partire da quelli arabo-islamici in Afghanistan, in Iraq, in Libano, in Palestina. Popoli che, con la loro resistenza, stanno ponendo una barriera all’ordine di sfruttamento e di rapina mondiale dell’imperialismo. Queste masse sono i nostri veri compagni di lotta. Non vanno lasciate da sole, come finora abbiamo fatto, esposte alle manovre di divisione dei nostri governi, a cui le loro direzioni nazionali sono impotenti e indisponibili a rispondere. Vanno al contrario sostenute con decisione e in questo modo aiutate a sganciarsi dalle loro attuali direzioni islamiste, così come la loro resistenza ci sta aiutando a sganciarci dalle menzogne latte e miele dei nostri governanti sulle “missioni umanitarie” e delle guerre fatte “generosamente” dall’Occidente per esportare ovunque la nostra “democrazia” e la nostra “libertà”.

Per portare a termine questo processo di unificazione dei fronti di lotta e di resistenza al capitale globale, è necessaria un’azione concorde. E’ necessario dar vita ad un organismo politico capace di svolgere un’azione pianificata in questa direzione. Lavorare già oggi, a partire da molto lontano, in vista della ricostituzione del partito comunista internazionale attraverso lo scambio di esperienze di lotta, la creazione di coordinamenti internazionali, la discussione sul bilancio dell’esperienza storica del movimento operaio, il confronto aperto sui nodi centrali dello scontro di classe attuale, la circolazione dei militanti, etc. Una necessità intrinseca, come bisogno, ai movimenti attuali: il movimento contro la “globalizzazione” e contro la guerra, gli scioperi e le lotte dei contadini e dei braccianti, le lotte contro l’intensificazione del lavoro e la precarietà, le battaglie contro i dissesti ecologici, etc.

Sappiamo le (comprensibilissime e in parte perfino giustificate) riserve che questo nostro appello suscita, data l’esperienza catastrofica dei partiti riformisti e opportunisti che ci sta alle spalle. Ma è un fatto: la sola spontaneità delle lotte, essenzialissima, non è sufficiente a battere un nemico di classe ben organizzato e “sapiente” (specie nella metodica della divisione e della repressione). Tanto più poi se all’esaltazione della spontaneità si unisce l’implicita o esplicita delega alle sinistre parlamentari europee, sospingendo il movimento, com’è accaduto negli anni passati, verso una caduta libera che lo ha portato dalla parola d’ordine “un altro mondo è possibile”, a quella “un’altra Europa”, “un’altra Italia, Francia, …” sono possibili (possibili?) per via elettorale, fino a rinunciare completamente anche solo a parlare di un’alternativa quale che sia…

Ed invece mai come ora una vera alternativa di sistema sociale – il socialismo - è possibile e necessaria, e per conquistarla serve la forza di un grande movimento proletario globale in cui confluiscano tutte le molteplici spinte anti-capitalistiche e di un nuovo partito comunista mondiale. Movimento e partito non sono in contrasto, anzi: si completano a vicenda, nella misura in cui l’auto-organizzazione dei lavoratori sia veramente tale, nata e costruita dalla massa, da e per coloro che vi partecipano, e nella misura in cui l’organizzazione che si dice comunista sia anch’essa veramente tale, interna al movimento degli sfruttati e degli oppressi e distinta da esso solo perché rappresenta nelle lotte particolari l’”interesse generale” della classe e nei conflitti del momento “l’avvenire del movimento” stesso.

28 maggio 2007

 

 

 


Organizzazione Comunista Internazionalista

 


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