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Da Il manifesto del 2 ottobre 2007

I tessili vincenti nell'Egitto affamato, di Michele Giorgio

Gli operai di Mahalla, nel Delta del Nilo, hanno vinto. I 27mila lavoratori della Misr Spinning and Weaving Company di Mahalla, una delle più grandi industrie tessili dell'Egitto, di proprietà pubblica, dopo una settimana di sciopero e occupazione degli impianti, hanno costretto alla resa il consiglio di amministrazione e ottenuto aumenti salariali e premi di produzione, promessi in passato ma mai versati. La protesta, portata avanti al grido di «non siamo schiavi del Fondo monetario internazionale», ha umiliato il sindacato statale che, di fatto, era schierato con il cda e ha ridato ossigeno al movimento operaio egiziano che, se riuscirà ad esprimere una leadership forte, potrebbe diventare una spina nel fianco del regime del presidente Hosni Mubarak. Sale infatti la protesta di tutti i lavoratori dipendenti per la politica economica del governo, improntata al liberismo sfrenato, che sta spingendo in alto i prezzi dei generi di prima necessità e aumentando le schiere di poveri, già tanto folte nel paese.
Lo scorso dicembre gli operai di Mahalla - con uno stipendio di poche decine di euro e costretti al doppio lavoro pur di sopravvivere - avevano scioperato accusando il cda di aver accumulato enormi profitti e di non averli utilizzati per far crescere i salari minimi o garantire premi di produzione a ciascun lavoratore. Gli operai avevano chiesto anche di poter godere degli aumenti promessi dal governo ai lavoratori del settore pubblico, ma si erano ritrovati contro proprio i sindacati statali - formati da militanti del partito al potere, Pnd - secondo i quali i miglioramenti salariali riguardavano solo i dipendenti dei ministeri. Dopo quella protesta il cda e il governo avevano inoltre garantito un premio di produzione pari ad una mensilità e, soprattutto, che il 10% dei profitti superiori a 60 milioni di lire egiziane sarebbe stato distribuito ai lavoratori: in pratica il salario di 150 giorni.
Promesse mai mantenute. Nelle settimane, i rappresentanti dei lavoratori hanno attaccato duramente i sindacati ufficiali e sono arrivati a chiedere l'abolizione della Confederazone generale del Lavoro per lasciare spazio alla nascita di strutture simili ai nostri Cobas. «In Egitto deve cambiare tutto il sistema sindacale perché, così com'è, non fa altro che proteggere gli interessi dei padroni e dei dirigenti delle industrie, senza tenere conto dei bisogni reali dei lavoratori. I sindacalisti devo essere eletti da chi lavora, non dallo Stato», ha spiegato Mohamed al Attar, uno dei leader della rivolta a Mahalla. Lui e altri sette operai sono stati arrestati durante lo sciopero e rilasciati dopo due giorni. «I poliziotti erano tutti dalla nostra parte, anche loro hanno stipendi da fame e non sanno come andare avanti», ha raccontato. Per i lavoratori più consapevoli dell'importanza della lotta cominciata a Mahalla, in gioco è il futuro dell'intero paese, sempre più schierato con gli Stati Uniti in politica estera e sempre più appiattito sulle posizioni del Fmi in economia; eppure in Egitto c'è una «crescita» del 7%, tanto esaltata dal regime, ma vanificata dall'impennata dei prezzi al consumo e dal graduale disimpegno dello Stato dall'assistenza alle fasce più deboli (la politica di ispirazione socialista del presidente Nasser). Si teme peraltro che il governo possa annunciare la fine del controllo sul prezzo del pane e di altri generi di largo consumo, prospettiva che fa tremare una buona fetta di egiziani.
La vittoria dei lavoratori di Mahalla ha dato una scossa alla sinistra egiziana e messo in moto energie nuove, anche nel mondo dell'informazione, strettamente controllato dal regime. Il quotidiano indipendente al Masr al Yom ha seguito con costanza la lotta dei tessili, costringendo anche altri giornali a fare altrettanto. Il contributo maggiore è però venuto dai siti internet, in particolare da 3arabawy del blogger marxista Hossam el Hamalawy, che ha messo in rete una marea di aggiornamenti sulla lotta operaia nel Delta del Nilo. Le ultime notizie riferite da el Hamalawy sono però inquietanti. Un tribunale ha condannato ad un anno di reclusione Kamal Abbas, direttore di una ong che assiste i lavoratori, e l'avvocato Mohammed Hilmi, per attività «illegali» e diffamazione di esponenti politici.

 

 


Organizzazione Comunista Internazionalista

 


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