L’ombrello dell’euro e dell’Unione Europea non ha salvaguardato

gli interessi proletari in Europa. Non poteva andare che così.

Perché? E come salvaguardarli per davvero?

 

Pubblichiamo di seguito il testo di uno dei volantini diffusi dalla nostra organizzazione sui risultati dei referendum francese e olandese e delle ultime tornate elettorali tenutesi in diversi paesi europei.

Nel testo ci si concentra, ovviamente, sui nodi politici davanti ai quali si stanno venendo a trovare i lavoratori in Europa e di conseguenza si accenna soltanto all’analisi della crisi in cui si è impigliato il progetto dell’Unione Europea centrato attorno all’asse franco-tedesco.

Questa crisi trova la sua origine su più piani.

I monopoli capitalistici francesi, tedeschi ed europei non sono riusciti, per il momento, a costituire un polo in grado di competere con quello statunitense nell’accentramento dei flussi finanziari internazionali. L’introduzione dell’euro è stato sicuramente un passo in questa direzione. Ma un suo vitale complemento, l’acquisizione in corso della borsa di Londra da parte della borsa di Francoforte, è fallito poco prima del referendum francese.

Né la borghesia tedesca e quella francese sono state capaci di assestare l’altro colpo richiesto dal decollo di un’Europa ancora alleata degli Stati Uniti ma autonoma da essi e in grado di competere seriamente sulla spartizione del mercato mondiale: la sottomissione dei proletari in Europa ad un regime di sfruttamento almeno altrettanto dispotico quanto quello statunitense. Non che le borghesie europee non abbiamo compiuto negli ultimi sette anni significativi passi in questa direzione, anche attraverso l’accorto uso dei ricatti connessi alla delocalizzazione. Il timore dello scontro di classe ha però per il momento rimandato la resa dei conti nell’illusione che l’ostacolo dal punto di vista borghese possa essere aggirato indefinitamente.

L’Unione Europea è risultata infine pressoché paralizzata nella sua autonoma iniziativa in campo internazionale e soprattutto sul decisivo terreno della guerra di aggressione al Sud e all'Est del mondo. Chirac e Schroeder non hanno condiviso del tutto le modalità (non la sostanza) del piano di guerra di Bush, Blair e Berlusconi. Ma la difesa degli interessi imperialisti europei non può limitarsi a questa sorta di attesa alla finestra. Lo ha mostrato, ne parliamo nel n. 64 del che fare, anche la vicenda ucraina. Se non si contende il bottino all’imperialismo statunitense sul suo stesso terreno con un’iniziativa collettiva borghese continentale, aggiornamento ai tempi presenti del progetto mussoliniano ed hitleriano, è inevitabile che i singoli capitalisti europei o singoli governi arrivino a trovare più conveniente vie di fuga individuali di ritrovato accordo (al ribasso) con il capobastone imperialista. Ed è quello che è accaduto durante i viaggi di Bush, Rice e Rumsfeld in Europa nei mesi scorsi. È quello che probabilmente andrà avanti più celermente dopo la probabile consegna della direzione del governo in Francia e in Germania, rispettivamente, a Sarkozy e a Merkel.

Questa triplice difficoltà delle borghesie europee e la loro attuale connessa incapacità di dare vita alla formazione di un apparato statale unificato e potente sul piano militare non nasce da oggi. Il marxismo rivoluzionario è intervenuto a più riprese su questa questione e sulle conseguenze che ne discendono per il proletariato. Ad esempio in alcuni degli scritti che Amadeo Bordiga presentò dopo la seconda guerra mondiale nell’ambito della riorganizzazione del movimento comunista rivoluzionario che si ricollegava alla battaglia della Sinistra Italiana nella Terza Internazionale.

La possibilità che un indirizzo politico europeista possa tornare a far presa sui lavoratori europei non va tuttavia sottovalutata. Esso può risorgere da un’iniziativa “dal basso” lanciata in contrapposizione al flaccidume e alla “vigliaccheria” delle attuali direzioni borghesi europee. È quello per cui stanno lavorando alcuni gruppi di estrema destra in varie città italiane e in altri paesi europei attraverso un’attività politica tesa a collegare la prospettiva europeista alla soluzione dei problemi sentiti dal proletariato europeo, come quello della disoccupazione e della precarietà o della casa o della decomposizione "morale" della società occidentale.

Anche questa tendenza politica non nasce oggi. Il suo inquadramento storico ed ideologico è essenziale per impostare un’azione di classe verso i proletari europei affinché traducano la loro delusione verso la sinistra ufficiale e la rabbia per la crescente durezza della loro condizione nell’organizzazione di un movimento comunista autenticamente rivoluzionario e non nell’adesione e nella confluenza in un movimento nazional-comunista. A tal fine riteniamo utile pubblicare una serie di articoli presentati, in un momento politico diverso da quello attuale, su Programma Comunista nel 1974.

 

Il testo del volantino

L’ombrello dell’euro e dell’Unione Europea non ha salvaguardato

gli interessi proletari in Europa. Non poteva andare che così.

Perché? E come salvaguardarli per davvero? 

 

Negli ultimi mesi in vari paesi europei si sono tenute alcune scadenze elettorali: il referendum sull’adozione della costituzione europea in Francia e in Olanda, le elezioni regionali in Italia, le elezioni nel Nord-Reno Westfalia in Germania, le elezioni generali in Gran Bretagna.

I risultati di queste tornate elettorali hanno mostrato che una parte consistente di lavoratori è disillusa verso la politica dei rispettivi governi (di centro-destra come in Italia o di centro-sinistra come in Germania e in Gran Bretagna) oppure del governo europeo di Bruxelles. Disillusa del tutto giustamente. Perché queste politiche (pur diversamente dosate) hanno portato all’attacco delle conquiste proletarie nel campo della sanità e dei servizi pubblici, alla diffusione della precarietà, alla diminuzione del potere d’acquisto, all’impulso della concorrenza al ribasso tra i lavoratori dei paesi europei occidentali e quelli orientali e del Sud del mondo.

In Gran Bretagna, poi, è vero che nella corsa elettorale Blair si è imposto per la terza volta ma con un numero sensibilmente minore di voti operai e con l’affermazione parallela di alcuni candidati indipendenti votati da lavoratori inglesi e immigrati per la loro opposizione alla partecipazione nella guerra contro l’Iraq da parte del governo Blair.

Nessuna speranza nei ribaltoni elettorali

Questo “messaggio elettorale” inviato dai lavoratori non ha però fatto cambiare linea di marcia ai governi europei e ai grandi poteri di Bruxelles. Né ci si può aspettare che cambieranno linea di marcia i governi prossimi venturi, quello eventuale di centro-destra in Germania oppure quello eventuale di centro-sinistra in Italia. Non lo faranno perché anche questi ultimi hanno come punti di riferimenti la difesa della competitività delle aziende, la buona salute degli indici azionari, il rilancio dei monopoli capitalistici europei. Obiettivi che, nell’attuale situazione di crisi del capitalismo mondiale, possono essere conseguiti solo con l’ulteriore incrudimento dello sfruttamento dei lavoratori e con un ulteriore schiacciamento degli sfruttati dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia.

Nessuna speranza nel ritorno alla lira e nell’Europa delle regioni

Per i lavoratori la via d’uscita da questa strettoia non potrà venire neanche dalla cosiddetta Europa delle macro-regioni, dal ritorno alla lira e dal protezionismo di cui parla la Lega Nord.

Cosa riserverà ai lavoratori l’Europa tratteggiata dalla Lega, lo ha fatto vedere la politica del ministro Maroni, alfiere dell’ulteriore precarizzazione dei rapporti di lavoro e della eliminazione di ogni organizzazione sindacale dei lavoratori non prona alle direzioni aziendali. La Lega tuona contro l’euro ma a vantaggio di una lira agganciata al dollaro, di un’Europa frantumata in regioni e, proprio per questo, inevitabilmente ancor più succube dei centri finanziari con base a New York e a Londra (si sa quanto amanti dei lavoratori!). Lasciamo stare come questo si concilii con un partito che si presenta contro i “poteri forti” capitalistici: i lavoratori non hanno bisogno di sperimentare che il neo-sogno americano leghista sarà per la maggior parte di essi un autentico incubo.

Nessuna speranza nel protezionismo

Certo che pesa sull’arretramento dei diritti e della condizione dei lavoratori in Italia, in Francia, in Germania, ecc. la concorrenza esercitata, loro malgrado, dai lavoratori dei paesi dell’Est europeo e della Cina. La soluzione a questa concorrenza al ribasso non è però il protezionismo, che non farebbe che incentivare la contrapposizione tra proletari di diversi paesi. La soluzione sta nell’elevare i diritti e i salari dei lavoratori dell’Est europeo e dell’Estremo Oriente e dei lavoratori immigrati in Europa occidentale. Questa parificazione verso l’alto non possiamo chiederla ai ministri di Bruxelles, alle commissioni per i diritti umani di Strasburgo o del palazzo di vetro onuista, a chi cioè fa parte a pieno titolo della gerarchia di potere imperialista che ogni giorno si preoccupa di come (con i cannoni del debito estero e con quelli delle guerre “umanitarie”) costringere i proletari dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina ad offrire le loro braccia a prezzi sempre più bassi.

Quelle rivendicazioni possono essere realizzate solo attraverso l’iniziativa autonoma dei lavoratori. Le possiamo ottenere se la concorrenza tra lavoratori la cominciamo a rifiutare in casa nostra: battiamoci nei posti di lavoro per rigettare le richieste padronali di maggiore sfruttamento a favore della competitività delle “nostre” aziende; per organizzare la denuncia e la lotta contro le politiche che aiutano il mercato capitalistico a far prosperare in Italia le divisioni tra i lavoratori: la precarietà riservata ai giovani dalle leggi Treu e Maroni; il razzismo e la legge Bossi-Fini ai danni dei lavoratori immigrati; le politiche federalistiche e leghiste (anche quelle che impazzano dentro i sindacati); i tentativi del governo Berlusconi e del padronato di aziendalizzare la contrattazione nazionale; l’aggressione neo-coloniale ai popoli dei Balcani e del Medioriente attraverso la partecipazione dell’Italia alle guerre contro la Jugoslavia e contro l’Iraq. Nello stesso tempo e su questa base, proiettiamoci oltre i confini per costruire un’organizzazione sindacale unitaria con i lavoratori dell’Est e del Sud del mondo, a partire dai lavoratori dei distretti dell’Est in cui maggiore è la delocalizzazione dei “nostri” padroni.

Ci vuole un vero partito proletario!

Certo, l’organizzazione di un simile argine difensivo delle condizioni proletarie non si realizza in un giorno. Né per essa è sufficiente un’azione limitata entro i confini delle singole aziende e al piano sindacale o al solo momento in cui è in atto una lotta. C’è bisogno di un’azione politica sistematica che s’incarichi di collegare e indirizzare le iniziative di lotta in corso, di allargarle al resto della massa dei lavoratori e di farle incontrare con quelle degli altri lavoratori occidentali, dell’Est e del Sud del mondo (a partire dalla mobilitazione dei proletari in America Latina e dalla resistenza popolare nell’Iraq occupato dagli Stati Uniti, dall’Italia e dalla Gran Bretagna).

Questa azione politica, a sua volta, richiede un partito politico che assuma su di sé questo compito e la cui costituzione non può più essere rimandata dai lavoratori più combattivi. Un partito che metta fine alla politica fallimentare dietro cui negli ultimi 30 anni i lavoratori hanno tentato di difendersi dall’attacco capitalistico cercando di realizzare l’impossibile equazione di salvare la competitività delle imprese e gli interessi proletari. Una politica fallimentare che ha subordinato a questa impossibile equazione, e proprio per questo disperso e portato alla disfatta, le lotte difensive messe in campo, dalla lotta dei minatori inglesi a quella contro i quattro punti di contingenza scippati da Craxi, a quella del 1995 in Francia, alle iniziative di lotta contro i licenziamenti degli ultimi anni in vari paesi europei.

Nessuna speranza nell’Europa Nazione

Alcune tendenze politiche (nella “sinistra” europea e... nell’estrema destra) affermano che questa equazione è rimasta irrisolta solo perché se ne è tentata l’applicazione entro i confini dei singoli paesi europei, che essa può trovare uno sbocco positivo se viene applicata alla Nazione-Europa, se al posto dell’odierna Unione Europa fondata sulla coalizione concorrenziale tra le borghesie di Roma, Berlino, Parigi, ecc. si fa strada (magari con il protagonismo del mondo del lavoro e contro la riottosità delle stesse attuali classi dirigenti) una vera potenza europea in grado di contendere il dominio mondiale agli Stati Uniti e all’Inghilterra.

Una prospettiva sarebbe la ripetizione di quello che tentarono di fare Mussolini ed Hitler... Oggi come negli anni ‘30 e ‘40 questa politica richiederà ai lavoratori sacrifici continui (magari conditi con la propaganda della lotta contro il parassitismo) e sangue. E sarà una politica di saccheggio per i popoli del Sud e dell’Est del mondo, anche se al momento (come già successe durante la seconda guerra mondiale) essi possono vedere in un’Europa anti-americana un salvagente nella loro lotta contro il dominio imperialistico avente il suo centro nella Casa Bianca, nel Pentagono e in Wall Street.

Per i lavoratori europei, così come per i lavoratori del mondo intero, non c’è salvezza entro i confini del capitalismo, oramai entrato in una nuova crisi storica generalizzata da cui può uscire, come accaduto altre volte nel passato, solo al prezzo di una barbarie generalizzata e di cui la “guerra infinita” di Bush, Blair e Berlusconi è solo un pallido annuncio.

La salvezza sta nello sviluppo di una lotta globalizzata contro le politiche portate avanti dai governi europei e dai monopoli capitalistici e nella preparazione, in questa lotta, della forza di classe in grado di aprire la strada, attraverso la rivoluzione, ad un nuovo sistema sociale, al comunismo internazionalistico.

 

Contro l’Europa dei capitalisti, contro gli indirizzi anti-proletari della Banca Centrale Europea!

Contro l’Europa delle macro-regioni, contro il sub-nazionalismo padano! Contro l’Europa Nazione!

Per il ritiro dei contingenti italiani dall’Iraq, dall’Afghanistan, dai Balcani e da ogni dove sono dislocati!

Contro la contrapposizione tra lavoratori europei occidentali e lavoratori immigrati dal Sud e dall’Est del mondo!

Per la sistematica tessitura dei fili e dei sentimenti unitari tra proletari europei e tra questi e il proletariato mondiale, a cominciare dai proletari immigrati dal Sud e dall’Est del mondo!

Per il socialismo!

 

5 luglio 2005

 

 


Organizzazione Comunista Internazionalista