31 maggio 2020
Recovery Fund, scuola, licenziamenti, lavoro da remoto, salute-covid: pur con politiche diverse e contrastanti, il governo Conte e lo schieramento sovranista intendono approfittare dell’emergenza sanitaria ed economica per sferrare un affondo contro i lavoratori, italiani e immigrati !
L’estate-autunno si annuncia per i lavoratori non meno difficile del periodo più acuto dell’emergenza sanitaria. Non solo perché è tutt’altro che risolto il problema della tutela della salute nei posti di lavoro e nella vita sociale in genere, ma anche perché tanti lavoratori non stanno ricevendo l’assegno di cassa integrazione, rischiano di non essere riassunti nelle ditte in cui lavoravano o di esserlo a condizioni peggiori, dovranno fare i conti con una scuola piena di incognite per i loro figli. A questi problemi si aggiungono per i lavoratori immigrati quelli sul permesso di soggiorno e per tanti di loro quelli legati alla mancanza del salario legata alla sospensione del lavoro, spesso al nero, svolto prima della quarantena.
Il governo italiano e i vertici istituzionali invitano i lavoratori ad aver fiducia nelle iniziative del governo, ad attendere fiduciosi le regolamentazioni dall’alto, ad attenersi alle regole stabilite dagli esperti. Il fatto è che coloro che spandono queste rassicurazioni, che si candidano a guidare la “nave per la ripartenza”, che promettono che tutto andrà bene, sono coloro che hanno la responsabilità politica di quanto è accaduto e dei problemi economici che si accentueranno nei prossimi mesi. I grandi mezzi di informazione stanno tentando di passare un colpo di spugna su queste responsabilità. Farne un bilancio è invece della massima importanza proprio per attrezzarsi alla difficile situazione con cui hanno a che fare i lavoratori.
Nessun colpo di spugna sulle responsabilità politiche, istituzionali e sociali dell’emergenza sanitaria!
A sentire i portavoce ufficiali sembra che quanto successo sul piano sanitario e su quello economico sia il frutto di un evento naturale, davanti al quale (come ha tra gli altri affermato anche l’ex-governatore della Bce, Mario Draghi, in un’intervista al Financial Times) “non si poteva fare nulla”.
Non è affatto così. Quello che è accaduto non è un semplice evento naturale. Per almeno tre ragioni, tra loro collegate.
1) Non ci interessa disquisire se si sia trattato di epidemia o di pandemia. Lasciamo stare anche il conteggio dei contagiati, dei positivi asintomatici e dei decessi con o per covid19, sulla cui attendibilità gli stessi esperti ufficiali hanno espresso dubbi e cautela. Atteniamoci al numero totale dei decessi registrato in alcune aree cruciali dell’economia mondiale: quella di Wuhan in Cina, quella della Lombardia in Italia, quelle di New York e di Detroit negli Usa. Nei due mesi in cui la popolazione di ciascuna area è stata investita dalla patologia, si è registrato un aumento rilevante del numero dei decessi rispetto alla media riscontrata nello stesso periodo degli anni precedenti. A Bergamo, ad esempio, il tasso di mortalità complessivo è aumentato del 550%, a Brescia del 300%. A New York il tasso di mortalità è aumentato mediamente del 200% ma i decessi sono fortemente concentrati nei quartieri poveri ad alto inquinamento, quelli abitati da afro-americani e latinos.
Queste aree geografiche hanno una caratteristica in comune: sono aree densamente popolate, con un’alta concentrazione di industrie e di traffico stradale, con aria pregna di polveri e veleni, e con diffuse malattie polmonari già prima del “virus”. Gli stessi esperti ufficiali (lo ha fatto ad esempio la virologa Capua) hanno ammesso che in queste aree l’agente che è stato chiamato “covid19” ha fatto impennare la mortalità per malattie respiratorie, già fisiologicamente allarmante, a causa della contemporanea presenza di queste patologiche condizioni ambientali.
Queste condizioni ambientali non sono un fenomeno naturale: esse sono il frutto dell’organizzazione urbanistica dettata dal profitto, della scelta di costruire palazzi su palazzi per massimizzare la rendita di palazzinari e della grande proprietà immobiliare, della trascuratezza con cui si gestiscono i trasporti e le emissioni dei fumi al fine di risparmiare sui costi e sostenere la competitività delle aziende.
Il governo, le forze politiche di opposizione, i vertici istituzionali che adesso chiedono la fiducia dei lavoratori per la fase di “ripartenza” non sono parti integranti della “classe dirigente” che ha gestito questo sviluppo urbanistico? non assumono come stella polare proprio quel criterio della competitività delle aziende che ha condotto a creare gli inferni metropolitani che compromettono l’attività polmonare e le capacità difensive organiche della specie umana?
2) Gli effetti della malattia sono stati amplificati dall’incapacità del sistema sanitario di curare un elevato numero di persone affette da crisi respiratorie. Alcune trasmissioni televisive e lo stesso Corriere della Sera sono stati costretti a sollevare il velo su questa carenza, sul basso numero di posti letti disponibili in terapia intensiva, sulla mancanza di una capillare ed efficiente rete di medicina preventiva territoriale, sull’assenza di scorte di materiale medico.
Anche queste carenze non sono un fenomeno naturale. In Lombardia, ad esempio, sono il frutto della politica sanitaria portata avanti da oltre due decenni dalle giunte regionali Formigoni, Maroni e Fontana, con l’obiettivo di funzionalizzare le attività sanitarie al profitto delle aziende sanitarie, pubbliche e private, e agli interessi delle assicurazioni e del Big Pharma che ne reggono i fili da dietro le quinte. Se in Veneto la percentuale dei decessi anomali non ha raggiunto il livello lombardo non è dipeso dalla gestione “oculata” del governatore leghista Zaia, ma dal fatto che l’urbanizzazione in Veneto è più rada che in Lombardia e dal fatto che la politica leghista di Zaia non è riuscita a smantellare completamente, come avrebbe voluto, la rete degli ambulatori di base.
Queste politiche sanitarie regionali hanno potuto imporsi a livello regionale perché sono state promosse anche dai governi centrali di Roma, quelli di centro-destra e quelli di centro-“sinistra”, con le loro politiche ispirate alla conquista della fiducia dei “mercati internazionali”, al federalismo e all’importazione del modello “anglosassone”. Quel modello che nelle scorse settimane ha mostrato il suo volto di classe negli Stati Uniti; quel modello che lascia privi di assistenza sanitaria 30 milioni di lavoratori statunitensi; quel modello che in poche settimane ha privato dell’assistenza sanitaria altri 30 milioni di lavoratori per il solo fatto che sono stati licenziati e hanno una copertura sanitaria dipendente dall’esistenza di un contratto di lavoro; quel modello che è stato ed è una concausa della morte “per e con covid-19” di un elevatissimo numero di persone, soprattutto proletari, pensionati, lavoratori afro-americani.
3) Il terzo fattore che ha aumentato il numero di decessi e che ha costretto la popolazione a subire le misure di quarantena e i loro micidiali effetti anti-sociali (soprattutto se, come succede ai proletari, si vive in case piccole e nelle affollate città) è stata la gestione dell’emergenza da parte delle istituzioni regionali, del governo centrale e dei vertici della Confindustria.
Malgrado fossero emersi indizi incontrovertibili sull’esistenza anche in Italia di una patologia poco conosciuta simile a quella che stava colpendo Wuhan, patologia che richiedeva, come misura precauzionale, di adottare misure di igiene sanitaria negli ambienti pubblici e nei posti di lavoro, malgrado ciò gli industriali di Bergamo, l’Assolombarda, il sindaco democratico Sala di Milano, la giunta leghista Fontana della regione Lombardia, il governatore leghista del Veneto Zaia, il segretario del partito democratico Zingaretti, il governo Conte hanno tentato, chi in un modo e chi in un altro, di far girare l’apparato produttivo, il sistema dei trasporti pubblici e la rete sanitaria come se non stesse succedendo niente. Già, il profitto, le quote di mercato a livello mondiale, la competitività non possono certo essere subordinati alla salute!
Adesso si tenta di rimuovere questi fatti, ma non possiamo dimenticare le posizioni espresse dagli industriali e dai loro compari di merenda che siedono presso le pubbliche istituzioni in “documenti” come “Bergamo is running” o “Milano non si ferma”. Né possiamo dimenticare la lettera di Zaia contro l’inclusione del Veneto nella prima zona rossa dopo aver lui detto, con disprezzo razzista, che “da noi le cose che stavano succedendo in Cina non sarebbero mai arrivate...”
Questo apparato di potere, accompagnato dal suo codazzo di esperti ossequenti, rassicurò per settimane e settimane che non c’era bisogno di indossare la mascherina, negli ospedali e nei luoghi affollati, che stava invece risultando e sarebbe risultata una protezione utile (come possono esserlo gli strumenti emergenziali) in Cina e in Corea del Sud. Ci sono volute settimane prima che, dalle stesse pagine del Corriere della Sera, fosse denunciato il fatto che quella negazione (“la mascherina non serve!”) era servita a coprire il fatto che la politica sanitaria portata avanti da anni dall’Italia aveva ridotto le scorte di mascherine. Anche qui, egregio ex-governatore Bce, per effetto della natura matrigna o per effetto del calcolo economico che regna nella sua società del profitto?
Ammesso e non concesso che il “covid19” sia stato il frutto di un processo naturale, che l’equilibrio esistente tra gli esseri umani e il mondo microbico in cui essi sono immersi sia saltato spontaneamente per cause indipendenti dall’umano operare, anche in questo (improbabilissimo) caso, le sofferenze subite da tante persone e la morte procurata a tante altre che, altrimenti, avrebbero continuato a vivere, pur con i loro acciacchi, sono il frutto, diretto e indiretto, di questa gestione, di queste politiche, di questo apparato istituzionale, di questo potere economico al servizio del profitto. E adesso, i lavoratori dovrebbero affidare la tutela della salute sociale a questo stesso apparato? Dovrebbero accontentarsi di tornare a lavorare e a vivere, magari sotto il ricatto del licenziamento o del rifiuto della riassunzione, nelle condizioni precedenti l’emergenza sanitaria? Dovrebbero continuare ad affidarsi nella delicata fase di ripartenza che si apre a coloro che, con cinico disprezzo della vita umana, hanno gettato nelle RSA (nelle braccia - nei bracci della morte) migliaia di persone anziane, in gran parte ex-lavoratori?
La presunta svolta della classe dirigente italiana e della Unione Europea a favore della tutela della salute pubblica
È vero che solo un settore della “classe dirigente” italiana e occidentale dichiara che la gestione sanitaria è stata ottimale o arriva a sostenere che, come fa la Lega Nord, occorra allentare i (già laschi) vincoli normativi esistenti in materia di sicurezza sul lavoro e di tutela ambientale. È vero che, a parte Trump e i suoi amici sovranisti stile ex-generale dei carabinieri Pappalardo, che arrivano persino a negare l’esistenza di una malattia che ha peggiorato il già patologico quadro della salute sociale in Occidente, lo schieramento democratico e di “sinistra” dei paesi europei e degli Usa sostiene ora l’esigenza di una “svolta” nella politica sanitaria e promette il potenziamento del sistema sanitario pubblico. Negli Stati Uniti, ad esempio, l’asse del programma del candidato democratico alle elezioni presidenziali del prossimo novembre si è spostato un po’ più “a sinistra” proprio sul tema della sanità. L’Unione Europea ha varato finanziamenti specifici (MES sanitario) a condizioni “agevolate” per i servizi sanitari soprattutto nei paesi più colpiti, come l’Italia.
Questa ricalibratura nei programmi di queste istituzioni e forze politiche è reale, ma i lavoratori non possono accontentarsi delle loro roboanti promesse o delegare la faccenda all’apparato politico e istituzionale che le sta facendo e che è politicamente responsabile delle scelte che hanno condotto all’emergenza sanitaria. Questa frazione “progressista” della classe capitalistica e dei suoi rappresentanti istituzionali è arrivata ad ammettere questa correzione delle sue tradizionali politiche solo perché si è accorta che lesinare troppo sulla spesa sanitaria a vantaggio della redditività immediata può condurre a danni economici per le aziende notevolmente superiori ai vantaggi derivanti dal taglio dei costi e delle strutture. Se i lavoratori si accontenteranno delle promesse di questo schieramento, le misure per potenziare la tutela sanitaria e migliorare le condizioni ambientali saranno scarne, giocate al massimo risparmio e, in più, scaricate nei loro costi aggiuntivi sugli stessi lavoratori.
Il rispetto delle norme igieniche di base nei posti di lavoro, il potenziamento della rete dei trasporti pubblica richiesta dal miglioramento della qualità dell’aria e dalla riduzione dell’ammassamento della gente nelle ore di punta, l’abbattimento delle polveri emesse dagli impianti industriali e dagli allevamenti intensivi, il rigetto di un vaccino non adeguatamente provato nella sua efficacia e nella sua innocuità, queste e altre misure volte a intaccare le cause di fondo della vita patologica condotta nelle grandi aree metropolitane e/o a tamponarne gli effetti possono essere il frutto solo di una mobilitazione autonoma e ampia dei lavoratori. Se ne è avuta una prova, l’ennesima, nel marzo scorso, quando senza l’intervento dei lavoratori, senza gli scioperi dei lavoratori in alcune importanti aziende dell’Italia settentrionale e senza lo sciopero generale in Lombardia e Lazio dei metalmeccanici del 25 marzo 2020, non si sarebbe arrivato al lockdown di emergenza (in quella situazione inevitabile) e il bilancio dei morti sarebbe stato molto più pesante.
Questa stessa mobilitazione dei lavoratori è richiesta anche dall’altra somma di problemi che sono cresciuti in seguito all’emergenza sanitaria e che diventeranno ancor più acuti nel prossimo futuro: quelli della condizione lavorativa e delle politiche fiscali ed economiche che il governo italiano e l’Ue si apprestano a varare.
Di fronte all’emergenza economica, i padroni e il governo invitano i lavoratori a rimboccarsi le maniche e a collaborare con le direzioni aziendali e con le istituzioni per far ripartire il paese. I provvedimenti che i vertici del potere economico e statale stanno preparando mostrano però che altri guai sono in vista.
Da un lato, ci sono Salvini e lo schieramento sovranista, i quali, come e più di prima, intendono applicare in Italia e in Europa il programma di Trump, basato sul taglio delle tasse per coloro (i padroni grandi e piccoli) che oggi eludono o evadono per centinaia di miliardi di euro, sul taglio delle spese sociali, sul taglio delle residue tutele sulla sicurezza introdotte dalle lotte proletarie dei decenni scorsi e, soprattutto, sul taglio della residua capacità collettiva di difesa dei lavoratori.
Dall’altro lato, ci sono le posizioni dell’ala borghese europeista al momento in maggioranza nel governo Conte. Queste posizioni sono incardinate su due obiettivi non meno antiproletari di quelli dei sovranisti.
La fabbrica, gli uffici e la scuola 4.0
Il primo obiettivo è quello di utilizzare i finanziamenti decisi a livello europeo per trasformare il danno economico che molte aziende hanno subìto nei mesi scorsi in un’occasione per accelerare le trasformazioni del processo produttivo che erano in parte avviate prima del lockdown e che i padroni non riuscivano a compiere anche per la presenza di una resistenza operaia che, ora, sperano di aggirare grazie alla dispersione di una parte dei lavoratori a casa con il lavoro da remoto e al timore che non pochi proletari hanno di perdere il lavoro.
Nel loro insieme le nuove tecnologie robotico-intelligenti-virtuali che i capitalisti si accingono a introdurre nelle fabbriche e negli uffici e che, in un sistema sociale fondato sui bisogni autentici degli esseri umani e non sul profitto sarebbero la base per una drastica e generalizzata riduzione dell’orario di lavoro, saranno usate per rendere il lavoratore (ancor più di quanto non accada oggi) un docile ingranaggio di un gigantesco sistema di macchine, nel quale ogni movimento umano sia incalzato e controllato da telecamere, semi-robot e tracciamento digitale. Sarà funzionale a questo risultato sociale anche la promozione, per alcune mansioni lavorative, del tanto decantato smart-working: benché alcuni lavoratori considerino vantaggiosa questa modalità di lavoro, ad esempio perché riduce i tempi di trasporto e sembra agevolare la cura della vita domestici, essa contribuisce all’isolamento sociale, alla frantumazione della capacità di reazione collettiva di fronte allo strapotere delle direzioni aziendali, alla totale colonizzazione entro il tempo di lavoro del tempo di vita dei lavoratori.
Quello che in tal senso stanno facendo in queste settimane le grandi case automobilistiche, ad esempio Renault, Fca e VW, è solo un pallido inizio.
Inoltre, per formare una massa di lavoratori semi-qualificati e dequalificati provvisti della mentalità giusta per essere incorporati come automi in questo tipo di processo lavorativo, i padroni, i vertici istituzionali e il governo in carica intendono accelerare il passaggio alla cosiddetta scuola digitale, di cui la didattica a distanza dei mesi scorsi è stata una prova sperimentale condotta sulla pelle di milioni di bambini, di studenti e di lavoratori della scuola.
Mentre gli esponenti dei grandi poteri capitalistici organizzano scuole per i loro figli nelle quali l’uso dei dispositivi digitali è ultra-ridotto e ci si preoccupa dello sviluppo delle capacità intellettuali globali dei bambini e degli adolescenti, gli stessi signori intendono inondare la scuola di massa con tablet, lezioni virtuali, sistemi di insegnamento automatizzati, per addestrare sin dall’infanzia le future lavoratrici e i futuri lavoratori ad occuparsi di problemi tecnici di dettaglio e a gestire in parallelo, freneticamente, operazioni manuali e operazioni virtuali sotto il controllo asfissiante dei dispositivi di tracciamento delle performance.
Chi sarà chiamato a pagare i debiti?
L’altro obiettivo della politica del governo e dello schieramento politico che lo sostiene è quello di scaricare sui lavoratori il costo della crescita del debito pubblico contratto durante e a causa dell’emergenza. I provvedimenti già varati arrivano a 70-80 miliardi di euro e ad essi vanno aggiunte le centinaia di miliardi di euro che saranno prelevati dai fondi Ue.
Come hanno specificato l’ex-governatore della Bce Draghi, il governatore della Banca d’Italia Visco e i dirigenti della Confindustria, “i debiti si onorano”. Già: e dove si intende rastrellare le risorse per farlo?
Le misure concrete non sono state ancora decise, ma la melina che le sta precedendo e preparando nei piani alti delle istituzioni e del potere economico deve allertare i lavoratori.
Si parla di far incamerare alle aziende e agli investitori tutti i vantaggi associati all’aumento di produttività che risulterà dall’introduzione delle nuove tecnologie nel processo lavorativo, senza che una parte di essi, come è accaduto in passato grazie alle lotte dei lavoratori, sia destinata alla riduzione dell’orario di lavoro o all’aumento del salario. Si parla anche, come successe nelle precedenti fasi di radicale cambiamento delle tecnologie produttive, di intensificare la prestazione lavorativa, cioè di spremere ancor più a fondo le energie psico-fisiche dei lavoratori.
Tutto ciò potrebbe però non bastare, considerata la quantità di profitti che i capitalisti non sono riusciti a incamerare a causa della sospensione delle attività dei mesi scorsi e del periodo in cui interi settori continueranno a soffrire delle conseguenze del lockdown. E allora, ecco cominciare a sventolare l’ipotesi di nuove tasse indirette sulle merci di largo consumo, che pesano essenzialmente sui salari dei lavoratori, mentre i grandi patrimoni e i profitti delle multinazionali rimangono al sicuro nei paradisi fiscali o nelle scappatoie dell’elusione fiscale. Ecco cominciare a sussurrare nei centri studi padronali che un po’ di inflazione, un aumento strisciante dei prezzi da parte degli industriali e dei commercianti, potrebbe aiutare a rosicchiare il potere di acquisto dei salari a vantaggio dei profitti e delle rendite. Ecco ricominciare a invocare un nuovo ritocco verso l’alto dell’età di pensionamento.
Prepariamoci a fronteggiare l’offensiva
del governo e dei padroni !
Non deve tranquillizzare i lavoratori il fatto che il governo italiano è frenato, per il momento, dai suoi contrasti interni, tra l’ala europeista e quella dei Cinquestelle inclinante al programma sovranista in versione meridionalista. Che a condurre le operazioni in autunno sia ancora questo governo, che a farlo sia l’esecutivo tecnico a guida Draghi invocato da tanti capitalisti, che dal cappello del parlamento esca un governo di unità nazionale tra il partito democratico e l’ala “responsabile” del centro-destra rappresentata da Giorgetti, succeda quel che succeda bisogna preparare il terreno a rispondere nelle piazze ai provvedimenti che saranno presi e a far valere con la lotta gli interessi proletari.
La natura anti-proletaria dell’attuale governo e il senso delle misure che esso assumerà nei confronti dei lavoratori sono d’altra parte ben messi in evidenza dai provvedimenti e dalla politica che esso ha assunto nei confronti dei proletari immigrati. Quando nacque, nell’estate 2019, il secondo governo Conte promise che avrebbe tagliato nettamente con la politica razzista dell’ex-alleato Salvini e del primo governo Conte.
Cosa è successo dopo un anno? Che la legge razzista Bossi-Fini continua ad essere in vigore. Che il “pacchetto sicurezza” promosso da Salvini e votato dai Cinquestelle è nella sostanza ancora in piedi. Che persino il velenoso “ius soli e ius culturae” è stato accantonato. E ora, di fronte al dramma delle centinaia di migliaia di lavoratori immigrati che hanno perso il lavoro e che, con esso, hanno perso o rischiamo di perdere il permesso di soggiorno, il governo presuntamente accogliente ha sfoderato una finta sanatoria, limitata e ricattatoria: essa non punta a migliorare stabilmente la condizione degli immigrati, ma a sostenere interessi sociali e politici capitalistici (soprattutto nel campo dell’agro-industria) ostili alla tutela dei diritti tanto dei lavoratori immigrati quanto di quelli dei lavoratori italiani.
Per tutto questo, già nelle prime settimane di ripresa della circolazione e della piena attività sui posti di lavoro, è importante cominciare ad organizzarci per affrontare i problemi più urgenti e, prepararci a far valere i nostri interessi nello scontro tra capitale e lavoro salariato che si profila sul pagamento del debito pubblico, sulla ristrutturazione del processo lavorativo, sulla necessità della tutela della salute pubblica e dell’ambiente: no quindi ai licenziamenti, mobilitazione per ottenere il pagamento regolare e puntuale dell’indennità di cassa integrazione, contenimento e contingentamento contrattualizzato dello smart working, controllo diretto nei posti di lavoro per il rispetto delle condizioni minimali di igiene e di sicurezza, potenziamento del sistema dei trasporti pubblici, sanatoria vera e generalizzata per i lavoratori immigrati, opposizione all’introduzione della didattica a distanza come tassello dell’attività scolastica e piena riapertura delle scuole a settembre con la riduzione del numero di alunni per classi, anche per mezzo della requisizione delle strutture abitative sfitte dei grandi proprietari immobiliari, laici o ecclesiastici che essi siano.
Lo scontro sociale e politico in Italia ha anche un versante estero.
La possibilità di spuntare qualche risultato su questi terreni richiede, infine, che si mettano i piedi anche su quello della politica internazionale.
Durante l’emergenza sanitaria si è accentuata l’aggressione degli Stati Uniti alla Cina e questo orientamento trova d’accordo Trump e i vertici del partito democratico statunitense, come ha mostrato anche il gigantesco aumento della spesa militare finalizzato alla costruzione di armi di nuova generazione approvato con voto bipartisan al Congresso degli Stati Uniti. Nello stesso tempo, l’Unione Europea sta cercando di potenziare le strutture comunitarie, anche industrial-militari, con cui mantenere e allargare il suo “spazio vitale” imperialistico conteso dalla protervia degli Stati Uniti e dall’ascesa dei paesi emergenti.
Sia l’amministrazione Trump che la “classe dirigente” dell’Unione Europea invitano i lavoratori occidentali ad appoggiare questa politica di potenza con la neanche tanto implicita promessa che i lavoratori potranno compensare una parte degli arretramenti subìti nella fase 2-3 con la partecipazione, da parenti poveri, all’ampliamento del saccheggio che le potenze imperialistiche compiono sui popoli del Sud e dell’Est del mondo.
Questo programma, che in parte ha trovato attuazione nel XX secolo, questa volta non potrà realizzarsi. Sia perché i lavoratori della Cina e quelli dei paesi emergenti, per il grado di sviluppo capitalistico raggiunto dai loro paesi, non si lasceranno sottomettere, sia perché la conseguente inevitabile resa dei conti militare trascinerà i lavoratori occidentali e quelli dei paesi emergenti in una catastrofe militare, economica ed ecologica che andrà a vantaggio solo del sistema sociale capitalistico e rispetto alla quale l’emergenza da “covid19” sembrerà una cosa da niente.
Alle manovre, differenziate, dell’amministrazione Trump e dei vertici dei paesi europei miranti ad additare nella volontà di riscatto sociale dei popoli del Sud e dell’Est del mondo un pericolo per la vita dei lavoratori d’Occidente, va opposto lo sforzo per sostenere questa volontà e per denunciare che il vero agente patogeno che sta minacciando l’esistenza dei lavoratori e delle loro famiglie è in casa nostra, è quello che con la sua politica, passata e recente, ha gettato i lavoratori dell’Occidente nel pericolo sanitario e nelle ristrettezze economiche che stiamo vivendo.
31 maggio 2020
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA