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         11 gennaio 2020

                   Il nostro volantino ai mercati e nei posti di lavoro

A fianco della resistenza delle masse lavoratrici iraniane

e dell’intero Medioriente!

 Il 3 gennaio 2020 gli Stati Uniti hanno assassinato in Iraq, a Baghdad, il generale iraniano Qassem Suleimani.

Questo assassinio è solo l’ultimo atto della criminale guerra che da decenni gli Usa e i paesi europei, con politiche parzialmente diverse, stanno portando avanti contro i popoli del Medioriente e del mondo musulmano, per saccheggiarne le ricchezze naturali e soprattutto per schiavizzarne i lavoratori, o direttamente nei loro paesi nelle fabbriche affiliate alle multinazionali o qui in Europa come immigrati supersfruttati.

Questa guerra di oppressione e di saccheggio è stata scandita negli ultimi anni da continue banditesche aggressioni economiche e militari: le sanzioni contro l’Iraq, poi i bombardamenti contro l’Iraq e l’occupazione neo-coloniale del paese, le sanzioni contro l’Iran, la distruzione della repubblica libica di Gheddafi, i tentativi di disgregazione della Siria attuati con l’aiuto di forze mercenarie locali, l’assedio infernale mantenuto permanentemente da Israele contro il popolo palestinese, i raids aerei di Israele in Libano e in Siria contro le forze popolari non disposte a piegarsi all’ordine del dollaro e dell’euro…

 Popoli e sfruttati che non intendono piegare la testa.

  Di fronte a questo brigantesco rullo compressore, le masse lavoratrici del Medioriente hanno cercato e stanno cercando di difendersi. A Gaza, in Libano, in Siria, in Iraq, in Iran, nella penisola arabica. L’esigenza di arginare un nemico onnipresente, l’Occidente imperialista, sta spingendo gli sfruttati dell’area a superare gli steccati nazionali e religiosi che li dividono e a coordinare le loro resistenze in un unico fronte dall’Iran a Gaza e allo Yemen.

Questa resistenza proletaria si sta intrecciando con altre due spinte di diversa natura sociale, ma altrettanto spinose per i piani di dominio dell’Occidente: da un lato, la spinta della classe dirigente iraniana, che non intende diventare una marmaglia borghese al soldo degli Usa, come avveniva ai tempi dello scià; dall’altro lato, la spinta della borghesia cinese, che vuole continuare a scalare posizioni nelle gerarchie capitalistiche mondiali e che, a tal fine, ha bisogno di accedere al petrolio mediorientale, di stabilire fruttuose relazioni di affari con i paesi dell’Asia centrale e del Medioriente, soprattutto con Teheran.

Gli Usa mirano ad affossare tutto ciò. A tal fine vogliono gettare nel caos la regione mediorientale, isolare economicamente e militarmente l’Iran e, da lì, prendere alle spalle la Cina, per mettere le mani sulla gallina dalle uova d’oro costituita dalle masse lavoratrici della Cina.

Il generale iraniano Suleimani era uno dei principali dirigenti del tentativo di formare un fronte di resistenza popolar-borghese trans-nazionale e trans-religioso contro la manomissione statunitense ed europea dell’area. È questa la colpa che gli rimproveravano gli Usa e la Ue. È questo il motivo per cui Washington e Bruxelles lo avevano etichettato come terrorista. È questo il motivo per cui l’amministrazione Trump lo ha voluto eliminare. È questo il motivo per cui le masse lavoratrici dell’Iran e del Medioriente hanno giustamente visto nell’assassinio del generale un colpo lanciato contro se stesse, contro la propria irriducibile aspirazione al riscatto nazionale e sociale.

L’Italia e gli altri paesi europei non hanno approvato l’atto di guerra di Trump, ma solo perché ritengono più vantaggioso, per imporre il loro pieno controllo sulla manodopera e sulle risorse dell’area, seguire una tattica diversa, basata sulle pressioni economiche, sulle manovre ordite dietro le quinte dai loro contingenti militari in Medioriente, sul sostegno ai settori delle borghesie mediorientali disposte a piegarsi al volere dei signori del mondo. Il governo italiano e gli altri governi europei concordano però con Trump sul punto fondamentale: deve essere vietato ai popoli dell’area di resistere alla dittatura dell’Occidente e al terrorismo di stato occidentale. Prova ne sia, se ce ne fosse bisogno, la criminale condanna da parte del governo italiano e di Bruxelles della sacrosanta risposta con cui, l’8 gennaio 2020, l’Iran ha colpito due basi statunitensi e occidentali in Iraq. Prova ne sia il rifiuto del governo italiano di accogliere le richieste del governo iracheno, del governo iraniano e dei popoli dell’area di ritirare i contingenti militari occidentali dall’Iraq e dagli altri paesi mediorientali.

                                             La guerra in Medioriente riguarda anche i lavoratori dell’Occidente, autoctoni e immigrati.

I lavoratori italiani, europei ed occidentali hanno interesse a respingere il patto avvelenato offerto dai loro governi.

Questi ultimi danno ad intendere che, se i lavoratori italiani, europei ed occidentali sosterranno le loro politiche di soffocamento della resistenza dei popoli e delle masse lavoratrici mediorientali, potranno guadagnare qualche briciola dal banchetto che i finanzieri e gli industriali occidentali imbandirebbero in caso di vittoria sulla pelle degli sfruttati del mondo musulmano. La partecipazione oceanica ai funerali del generale Suleimani ha mostrato che i popoli e gli oppressi mediorientali non si lasceranno spellar vivi senza combattere, senza portare la guerra anche in Occidente, senza costringere anche i lavoratori occidentali a pagare un prezzo di sangue devastante, che potrà riservare qualche briciola solo a una selezionata minoranza e lacrime e sangue alla larga maggioranza.

I lavoratori dell’Italia e dell’Occidente, autoctoni e immigrati, hanno invece interesse a sostenere incondizionatamente la resistenza delle masse lavoratrici mediorientali, qualunque sia la bandiera politica e religiosa che esse sono al momento costrette a impugnare per non arrendersi. Perché solo insieme ai fratelli di classe mediorientali, solo costruendo un fronte di lotta comune con loro, i lavoratori dei paesi occidentali potranno difendersi da un nemico, l’imperialismo, che, pur se in forme e misure diverse, opprime gli uni e gli altri.

La solidarietà incondizionata e militante alla resistenza degli sfruttati mediorientali anche soltanto da parte di una ristretta minoranza di lavoratori qui in Europa e negli Stati Uniti avrebbe un enorme rimando sullo scontro in Medioriente: darebbe forza ai tentativi con cui gli sfruttati mediorientali stanno cercando di superare gli steccati nazionali e religiosi che ancora li dividono e che sono coltivati ad arte dall’Occidente, come è emerso ad esempio lo scorso anno con la contrapposizione in Siria tra arabi e curdi e turchi; renderebbe meno insidioso il tentativo dei paesi occidentali di strumentalizzare a loro favore, con la collaborazione degli strati sociali borghesi locali affittati all’imperialismo, le proteste popolari contro il carovita che ci sono state nei mesi scorsi in Iran, in Iraq e in Libano; renderebbe meno difficile per gli sfruttati mediorientali aprirsi la strada verso una politica antimperialista realmente efficace, svincolata dalla “moderazione” delle attuali direzioni anti-imperialiste, anche di quella iraniana, e dall’illusione di poter contare nello scontro con la crociata imperialista sul sostegno della Russia o della Cina. Per quanto le borghesie russe, cinesi e iraniane abbiano interesse ad opporsi ai piani degli Usa e dell’Occidente in Medioriente, esse temono e sono inconseguenti nel mettere in campo e nell'organizzare l’unica forza in grado di disarticolare e tagliare alle radici la mano rapace dell’imperialismo: la lotta unitaria delle masse lavoratrici del Medioriente dietro un programma di coerente unificazione di classe!

 Per il ritiro delle truppe italiane e occidentali dal Medioriente!

Per l’unità di lotta internazionale e internazionalista fra i lavoratori occidentali, gli immigrati dal Sud del mondo in Europa e negli Stati Uniti e le masse lavoratrici del Medioriente!

 

 

         11 gennaio 2020

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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