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13 settembre 2013

Il nostro volantino ai mercati e nei posti di lavoro

Giù le mani dalla Siria

 Da settimane è in corso una martellante campagna propagandistica sul presunto uso di gas e armi chimiche che il governo siriano di Assad avrebbe fatto contro il suo stesso popolo e di cui, neanche a dirlo, Washington, Londra e Parigi avrebbero le “prove inconfutabili”.

Si tratta di bugie allo stato puro. Simili a quelle diffuse nel 1999 dai giornali e dalle televisioni prima dei bombardamenti operati dagli Usa, dall’Italia e dalla Nato contro la ex-Jugoslavia, e identiche a quelle profuse a piene mani in vista dell’invasione militare statunitense dell’Iraq nel 2003. Nel 1999 le “prove certe” riguardavano le “stragi” compiute da Belgrado contro la popolazione civile del Kossovo. Nel 2003 invece riguardavano (guarda un po’ le coincidenze) l’utilizzo di armi chimiche da parte del governo di Bagdad. In entrambi i casi si trattava di autentiche invenzioni, e qualche anno dopo (a lavoro sporco effettuato) lo ammisero “tranquillamente” gli stessi governi Occidentali. 

Come nei casi precedenti, l’odierna campagna propagandistica ha un fine ben preciso: oliare al meglio il terreno per una diretta aggressione militare degli Stati Uniti, di Israele e dell’Occidente contro la Siria, “colpevole” di non volersi inginocchiare completamente davanti ai banditeschi diktat di Washington e delle cancellerie europee.

Obama vuole piegare Damasco, mettere in un angolo l’Iran e colpire duramente la capacità di resistenza delle masse lavoratrici dell’area per dare nuovo vigore alla supremazia dell’imperialismo statunitense (e occidentale) nella regione,  per proseguire la marcia di accerchiamento contro l’emergente potenza cinese e per affondare con maggiore forza i propri artigli su quell’enorme forziere di materie prime e, soprattutto, di manodopera che è rappresentato dall’intero continente asiatico. Queste sono le uniche e vere ragioni di fondo che stanno dietro le politiche e i preparativi di guerra in corso.

Al contrario di quanto afferma la propaganda dei giornali e delle televisioni, i lavoratori italiani e immigrati hanno tutto l’interesse a battersi contro queste politiche e a sostenere, invece, la lotta di resistenza anti-occidentale delle masse siriane e mediorientali. 

E la Russia? E la Cina? Si può forse contare sulla loro azione di contrasto alla politica della Casa bianca? Assolutamente no! Mosca e Pechino hanno bisogno di “prendere tempo” per crescere e per poter davvero provare a competere a tutto campo con gli Usa e l’Occidente. La loro politica è interamente dettata dalle esigenze di sviluppo dei rispettivi capitalismi nazionali. E in nome di queste esigenze Russia e Cina hanno interesse a che le masse lavoratrici mediorientali (l’unica forza che nell’area possa davvero contrastare l’imperialismo) restino passive e non prendano direttamente in mano la bandiera della battaglia contro l’aggressione occidentale.

La stessa recente iniziativa diplomatica di Putin (al di là dei risvolti “a breve” a cui potrebbe portare) spinge e lavora di fatto alla passivizzazione degli sfruttati della Siria e dell’area. Mentre, per fronteggiare l’imperialismo, è necessario che gli oppressi della regione scendano apertamente in campo andando verso una loro unificazione oltre i confini statuali, sbaraccando e superando in avanti le locali direzioni borghesi e la loro politica che quand’anche si oppone ai voleri occidentali (come ieri con Saddam Hussein e oggi con Assad) lo fa in maniera incoerente e inefficace.

L’Afghanistan, l’Iraq e la Libia sono lì a dimostrare quanto e come gli sfruttati del Sud del mondo non possano minimamente puntare sull’azione di Mosca e Pechino. Come ancor di meno possono contare sulla presunta “diversità” della politica di governi come quello tedesco o italiano. Se l’Italia e la Germania hanno al momento posizioni leggermente diverse da quelle dello storico alleato a “stelle e strisce” è solo e unicamente perché temono che Washington faccia da “asso pigliatutto” e lasci all’Europa solo minuscole briciole del bottino. La recente storia (dall’Afghanistan alla Libia, passando per l’Iraq) dice ampiamente come poi l’Italia sia sempre stata pienamente partecipe alle guerre contro i popoli del Sud del mondo, con il suo esercito, con i suoi aerei e con le sue basi militari. 

 Lavoratori immigrati, lavoratori italiani,

l’aggressione contro il popolo siriano è in fin dei conti rivolta anche contro tutti noi. Da un eventuale sfondamento in Siria i governi e le aziende occidentali trarrebbero nuova e ulteriore forza anche contro i proletari d’Occidente. Infatti i signori del dollaro, della sterlina e dell’euro utilizzerebbero la sottomissione del popolo siriano e l’ulteriore schiacciamento delle masse mediorientali anche per dare una maggiore spinta alla concorrenza al ribasso tra gli sfruttati dei vari continenti, rafforzando così  una delle loro principali armi di ricatto puntate alla tempia dei lavoratori.

Inoltre, la politica e la propaganda di guerra mirano a incatenare sempre più i lavoratori al carro della “propria” nazione e della “propria” azienda. Un “legame” che oggi è finalizzato a che i proletari si pieghino il più passivamente  possibile alle esigenze e ai voleri delle imprese; e domani,  magari,  ad accettare come una cosa “naturale” di diventare carne da cannone contro altri lavoratori per difendere la “patria”, qualora la competizione internazionale tra grandi potenze dovesse passare dal piano commerciale a quello militare.

Per questi motivi è necessario che nei posti di lavoro e nelle piazze si inizi a dare battaglia per far avanzare una politica che si batta contro l’aggressione degli Usa e dell’Occidente a Damasco e che sostenga incondizionatamente la lotta di resistenza del popolo siriano e delle masse mediorientali contro le armate occidentali.

 13 settembre 2013

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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