27 settembre 2012
L’attacco ai lavoratori Almaviva è parte di un attacco più generale portato avanti da governo e aziende contro tutto il mondo del lavoro. Negli ultimi 15 mesi, è stata introdotta la possibilità di stipulare accordi aziendali peggiorativi rispetto ai contratti nazionali e alle leggi, indebolendo di fatto il Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori. Con la controriforma delle pensioni operata dal governo Monti, si andrà in pensione più tardi e con meno soldi. A luglio è entrata in vigore la controriforma Fornero che rende più facili i licenziamenti e ridurrà nei prossimi anni la durata di applicazione degli ammortizzatori sociali.
Nel settore delle telecomunicazioni, questa offensiva si manifesta nel mancato rinnovo del Contratto Nazionale (Confindustria-Asstel vorrebbe imporre più “flessibilità”, non pagare i primi 3 giorni di malattia, buttare fuori i call-center dal settore e svuotare le “clausole sociali” per strangolare a piacere gli appalti), con i 632 licenziamenti annunciati in Almaviva, con le mobilità in Vodafone, Teleperformance e 4U, con le cessioni di ramo in atto o previste in Telecom e in Wind, con la cassa integrazione in Sielte, con le delocalizzazioni fuori o dentro i confini nazionali. Il tutto finalizzato a spremere il maggior profitto possibile dai lavoratori.
Di fronte ad un attacco così generalizzato, non ci si può difendere efficacemente stabilimento per stabilimento o territorio per territorio. Quello che sta avvenendo in Almaviva non è un “caso a parte” dovuto alla particolare inettitudine o rapacità della dirigenza aziendale. Ciò che il padrone di Almaviva sta facendo è cercare di sostituire lavoratori relativamente più “costosi”, perché con più anzianità, meglio pagati, con più diritti e più sindacalizzati, con lavoratori che costano meno, con meno diritti e più ricattabili (in Calabria il tasso ufficiale di disoccupazione è il 19.5%). Non a caso venerdì scorso Almaviva si è detta disposta a fare qualche passo indietro, a patto che i lavoratori del sito di Roma accettino di diventare ancora più produttivi e soprattutto più competitivi fra loro. Cioè accettino di rivedere al ribasso le proprie condizioni di lavoro avvicinandole a quelle del call center di Rende.
Questa spirale di concorrenza al ribasso di per sé non ha limiti: dopo Rende (o Tirana…), ci sarà sempre un “sud” (o un “est”) più “a sud” (o più “a est”) della Calabria (o dell’Albania). Un concreto argine a questa deriva lo si può mettere solo con la lotta, l’unità e l’organizzazione dei lavoratori.
Infatti, se l’azienda finora non ha potuto portare a pieno compimento i suoi piani, è stato solo grazie alla mobilitazione che i lavoratori Almaviva dei siti romani hanno saputo mettere in piedi.
Ma la dirigenza aziendale vuole comunque andare avanti per la sua strada. Per impedirglielo bisogna che la sacrosanta rivendicazione della difesa dei posti di lavoro sia accompagnata dalla rivendicazione del netto miglioramento salariale e normativo per gli operatori che sono impiegati e saranno impiegati in futuro nei call-center, come quello calabrese, che di volta in volta vengono usati come arma di ricatto.
Solo la battaglia per l’adeguamento verso l’alto dei diritti e dei salari di tutti i lavoratori del gruppo potrà infatti mettere un reale bastone tra le ruote ai piani aziendali e allo scatenarsi di una rincorsa al ribasso tra lavoratori.
Per avere più forza per andare in questa direzione, è necessario battersi per allargare il più possibile la mobilitazione, puntando a coinvolgere tutti i call-center Almaviva, spingendo affinché si giunga all’unificazione di tutte le vertenze oggi in piedi nel settore telecomunicazione e negli altri settori (Fiat, Alcoa…) e mettendo all’ordine del giorno la necessità di una lotta più generale contro il governo Monti.
27 settembre 2012
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA