6 aprile 2009
Volantino distribuito alla manifestazione della Cgil del 4 aprile 2009
Con l’accordo separato sulla “riforma della contrattazione” si attaccano i salari ma, soprattutto, si vuole fare un deciso passo in avanti verso la distruzione dei contratti nazionali, in quanto strumento che, all’interno di ogni comparto, unifica gli operai del Nord con quelli quel Sud, quelli delle grandi con quelli delle piccole aziende. Si vuole che i lavoratori siano separati impresa per impresa, regione per regione, stabilimento per stabilimento. Si vuole aziendalizzare e territorializzare la con-trattazione per incatenare ancor più rigidamente le condizioni salariali e lavorative alle “necessità competitive e di mercato” delle imprese. Cioè a quelle “necessità” che, gira che ti rigira, possono essere soddisfatte solo appesantendo lo sfruttamento operaio.
Con il progetto di legge teso a limitare ulteriormente il diritto di sciopero nel trasporto pubblico, il governo vuole far passare (magari con il consenso del "cittadino utente") un "principio" da far poi valere contro il “bersaglio grosso”: i lavoratori nelle fabbriche, nei cantieri e negli altri servizi.
Con il razzismo a base di ronde, manipolazioni dell'informazione e “pacchetti sicurezza”, il governo mira a deviare la rabbia e l’inquietudine dei proletari italiani dai veri responsabili dei propri guai (i capitalisti, il loro ceto politico e i loro intellettuali prezzolati) verso il falso bersaglio costituito dagli immigrati. Con tale pacchetto, inoltre, il governo Berlusconi punta a gettare le basi (la spinta istituzionale alla costituzione delle ronde ne è un esempio) per una mobilitazione di stampo popolare e reazionario a sostegno degli interessi dei grandi industriali e dei grandi finanzieri da usare come massa d'urto sia sulla scena politica interna che su quella estera: da un lato, contro una possibile futura scesa in lotta aperta dei lavoratori in Italia contro i licenziamenti, la cassintegrazione, il taglio dei salari, ecc.; dall'altro lato, per sostenere le politiche di guerra ed aggressione che l’Occidente (e l’Italia) conducono e condurranno (dall’Afgha-nistan guardando alla Cina) contro i proletari e i paesi dell'Est e del Sud del mondo.
Un attacco globale
La politica di Berlusconi, quindi, non è per niente (come invece continua a dire l’opposizione parlamentare) “inefficace e chiacchierona”. Il governo Berlusconi, non diversamente da quello che nella sostanza stanno facendo i governi degli altri paesi occidentali, intende utilizzare la crisi capitalistica per compiere una profonda ristrutturazione delle relazioni tra padroni e operai a tutto vantaggio dei primi, riorganizzando in modo autoritario e poliziesco lo stato e la società. I padroni ed i governi in tutto l’Occidente sentono arrivato il momento per regolare i conti con le tutele strappate dai lavoratori nel corso del novecento. Emblematica la sorte che il "progressista" Obama intende riservare -anche con l'aiuto di Marchionne- ai lavoratori statunitensi del settore dell'auto, messi di fronte al ricatto: "O il licenziamento; o la drastica riduzione del vostro salario e il drastico appesantimento dei vostri ritmi di lavoro".
La partita che in Italia, come nel resto del mondo, siamo e saremo costretti a giocare ha in palio, quindi, una posta altissima. Inutile illudersi: questa volta non si potranno “limitare i danni” tramite mobilitazioni tutto sommato dimostrative e finalizzate a fare un po’ di pressione. Non ci saranno “ragionevoli” stratagemmi che ci consentiranno di uscire dalla crisi “a braccetto e concordemente” con le imprese.
Questa crisi non è come un temporale che dipende “solo dal cielo”. Questa crisi è figlia di un sistema sociale (il capitalismo) che vive di mercato, profitto, sfruttamento e concorrenza. È stata preparata e prodotta dai pescecani della borsa, delle banche e dell’industria, e dai loro governi. Bisogna costruire la forza necessaria per imporre che siano loro a pagarne i costi. Tale forza ci può venire dall'unica arma che i lavoratori, come insegna la storia del movimento operaio, hanno a disposizione: quella della lotta e dell'auto-organizzazione.
Se questa è la posta in gioco e se questa è la politica del governo, c'è allora da chiedersi: è possibile tutelare i bisogni dei lavoratori accettando la linea politica dei vertici Cgil che è incardinata sulla prospettiva di un “diverso” (cioè un po’ più attento alle necessità di chi lavora) rilancio competitivo delle aziende e del “sistema Italia” ?
Assolutamente no! Cercare di trovare punti di intesa con il governo e la Confindustria su tale terreno può sembrare “ragionevole e realistico” ma è solo perdente. La si può mettere come si vuole: il “rilancio competitivo” di un’azienda, di un territorio, di un paese può essere fatto solo a scapito e contro un’altra azienda, un altro territorio, un altro paese. Puntare su una simile prospettiva porta comunque ad aprire le porte ad un peggioramento della condizione operaia (per restare a galla nel mercato devi produrre sempre più in fretta e a costi sempre più bassi) e alla divisione e concorrenza tra proletari.
Ci vuole tutta un’altra musica.
La forza dei lavoratori deve essere raccolta ed impegnata per rifiutare e respingere ogni licenziamento comunque mascherato o motivato, ogni taglio salariale comunque “giustificato”. Ci vuole una politica che metta al centro la difesa intransigente dei bisogni operai a prescindere e contro quelli delle aziende e del “ sistema paese”. Una politica che combatta ogni contrapposizione tra lavoratori italiani ed immigrati, tra operai del Nord e del Sud, tra chi ha il “posto fisso” e chi è costretto alla precarietà.
A tal fine, serve anche iniziare a guardare oltre i confini nazionali ed alle lotte che, non senza difficoltà e contraddizioni, si stanno sviluppando (dalla Francia alla Grecia, dalla Lituania alla Cina) di fronte alle prime conseguenze della crisi globale del capitalismo. Dal ricatto delle delocalizzazioni e dalla messa in concorrenza al ribasso con gli operai degli altri paesi ci si potrà difendere efficacemente solo stringendo con essi legami organizzativi e politici e battendosi comunemente per la difesa e il miglioramento dei “loro” e dei “nostri” diritti, delle “loro” e delle “nostre” condizioni salariali e lavorative.
Cominciando a prendere di petto tutte queste questioni, si potranno gettare le basi per riconquistare un partito che rappresenti politicamente i bisogni autentici della classe lavoratrice e che, di fronte alla vastità della crisi, combatta ogni senso di sbandamento ed impotenza, ed offra l'unica valida prospettiva di lotta internazionale contro il capitalismo e i suoi disastri: la prospettiva del socialismo internazionalista.
6 aprile 2009
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA