1 Aprile 2009
Volantino distribuito nei posti di lavoro
Si sente dire quotidianamente dall’opposizione che il Governo Berlusconi non agisce, non ratifica, non vara provvedimenti seri per contrastare gli effetti della crisi: insomma, per dirla con le parole di D’Alema “un governo delle chiacchiere, fatto di annunci e sorrisi”. La realtà è molto diversa. Da quando è in carica, questo governo sta agendo incessantemente a tutto spiano per scaricare sulle spalle dei lavoratori i costi della crisi prodotta dai capitalisti.
Il recente accordo sulla riforma della contrattazione nazionale firmato da governo, Confindustria, Cisl, Uil e Ugl costituisce un importante tassello dell’attacco al mondo del lavoro.
Con questo accordo si attaccano i salari e, soprattutto, si vuole fare un deciso passo in avanti verso la distruzione dei contratti nazionali di categoria. Cioè di quello strumento che, all’interno di ogni comparto, unifica gli operai del Nord con quelli quel Sud, quelli delle grandi con quelli delle piccole imprese. I padroni puntano da anni a cancellare i contratti nazionali perché voglio vogliono che i lavoratori siano separati azienda per azienda, territorio per territorio, stabilimento per stabilimento.
Ci vogliono ancora più divisi per meglio metterci in concorrenza al ribasso l’uno contro l’altro. Vogliono aziendalizzare e territorializzare la contrattazione per incatenare ancor più rigidamente le condizioni salariali e lavorative alle “necessità competitive e di mercato” delle imprese. Cioè a quelle “necessità” che, gira che ti rigira, possono essere soddisfatte solo intensificando lo sfruttamento operaio.
Intanto è già pronto un progetto di legge per limitare il (già molto limitato) diritto di sciopero nei trasporti pubblici. Il governo dice che le nuove norme varranno “solo” per questo comparto e che serviranno a favorire i lavoratori e i cittadini che usano tram e metro. Balle! Il vero ed unico obiettivo è quello di colpire un’arma di difesa fondamentale dell’intero movimento operaio. Si parte dai trasporti per provare poi a passare alle fabbriche, ai cantieri ed agli altri servizi.
Riforma dei contratti e attacco al diritto di sciopero. Due questioni che, insieme a tante altre, danno l’esatta misura dell’obiettivo politico del governo e della Confindustria: una ristrutturazione totale delle relazioni tra capitalisti e operai, un’accelerazione nella riorganizzazione autoritaria e poliziesca dello stato e della società e l’imposizione ai danni dei lavoratori della volontà dittatoriale delle direzioni aziendali.
La Cgil critica l’azione governativa e chiama a scendere in piazza a Roma il 4 aprile. I lavoratori più combattivi devono impegnarsi affinché si facciano assemblee nei luoghi di lavoro e affinché la manifestazione del 4 aprile riesca. Ma allo stesso tempo, proprio per poter davvero mettere in piedi un consistente argine difensivo, è necessario anche riflettere su quanto sia fallimentare la linea politica dei vertici Cgil che è comunque impostata sulla prospettiva di un “diverso” (cioè un po’ più attento alle necessità di chi lavora) rilancio competitivo delle aziende e del “sistema Italia”. Tutto ciò può anche sembrare “ragionevole e realistico”, ma in realtà è solo perdente.
La si può mettere come si vuole, ma il “rilancio competitivo” di un’azienda, di un territorio, di un paese può essere fatto solo a scapito e contro un’altra azienda, un altro territorio, un altro paese. Puntare su una simile prospettiva porta comunque ad aprire le porte ad un peggioramento della condizione operaia (per restare a galla nel mercato devi produrre sempre più in fretta e a costi sempre più bassi) ed alla divisione e competizione (e quindi ad un indebolimento) tra proletari.
Serve tutta un’altra musica. Serve una prospettiva politica che possa davvero gettare le basi per unificare nella lotta l’intero mondo del lavoro a scala nazionale (tra operai delle diverse aziende e regioni, tra italiani ed immigrati, tra “stabili” e precari…) e a scala internazionale. Una prospettiva, quindi, che chiami alla lotta contro le esigenze competitive delle aziende e del “sistema paese”.
La partita che in Italia, come nel resto del mondo, siamo e saremo costretti a giocare ha in palio una posta altissima. Inutile illudersi: questa volta non si potranno “limitare i danni” tramite mobilitazioni tutto sommato dimostrative. Non ci saranno “ragionevoli” stratagemmi che consentiranno di uscire dalla crisi “a braccetto” con le imprese.
I licenziamenti, la disoccupazione, i tagli salariali e il dilagare della precarietà potranno essere combattuti solo se sapremo raccogliere tutta la nostra forza ed impegnarla non per cercare “punti di intesa” con i padroni, ma per difendere con decisione le nostre esigenze di lavoratori in un vero scontro di classe contro i capitalisti ed i loro governi.
Breve scheda:la riforma della contrattazione, tra l’altro, prevede che:
1) la parte economica dei contratti sia rinnovata non più ogni due, ma ogni tre anni (i salari resteranno fermi al palo un anno in più);
2) non si tenga più conto dell’aumento dei prodotti energetici (benzina, gas, ecc.) per calcolare l’indice di recupero salariale;
3) si possano stipulare accordi aziendali e territoriali che peggiorino (è la prima volta che viene sancita una cosa simile) le regole sottoscritte a livello nazionale;
1 aprile 2009
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA