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15 novembre 2009

Il nostro volantino alla manifestazione contro la disoccupazione del 14 novembre 2009.

Per una lotta generale contro

disoccupazione, precarietà e licenziamenti

 

Per anni aveva dato l’illusione di essere diventato un fenomeno quasi marginale. Adesso la disoccupazione torna ad essere un gravissimo problema per i lavoratori e ad assumere dimensioni di massa. La Confindustria e il governo dicono che si tratterà di tirare le cinghia al massimo per un anno. Poi, grazie alla ripresa, le aziende riprenderanno ad assumere come e più di prima. Balle colossali! 

Non tanto perché per riassorbire la disoccupazione generata da questi due anni di crisi ci vorrebbero ben altro che i fragili segnali di “ripresa” che qua è là sembrano intravedersi. Ma perché la vera posta in gioco non è “solo”  la quantità dell’occupazione, ma soprattutto la sua qualità. Il padronato infatti vuole sfruttare questa fase per imporre a livello di massa un lavoro sempre più precario, flessibile e sottopagato.

 

Il governo Berlusconi è pienamente schierato con la Confindustria. Si pensi alla gestione degli “ammortizzatori sociali”. Prima è stata un po’ allargata la platea che può usufruirne per frenare una possibile ripresa della lotta operaia. Adesso, per contropartita, si inizia a chiedere che alle aziende sia lasciata mano completamente libera e che la si faccia finita  con ogni rivendicazione di un’occupazione stabile e “garantita” (non è un caso che cominci a far “capolino” la richiesta di baratto tra l’estensione di alcuni “ammortizzatori” e lo statuto dei lavoratori). Detto in altri termini: un’elemosina di stato per farci abituare alla “normalità” del sotto-salario, della sotto-occupazione e della estrema precarietà e ricattabilità  in tutti i luoghi di lavoro.

 

Contro tutto ciò è possibile battersi. La disoccupazione non cade dal cielo. Che lo sviluppo tecnologico si traduca in licenziamenti e precarietà per chi perde il posto, e in carichi, orari e ritmi lavorativi asfissianti per chi resta in fabbrica non è un destino inevitabile. Già altre volte nel passato il movimento dei lavoratori è riuscito a difendere la propria condizione imponendo attraverso durissime lotte la drastica e generalizzata  riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Questa tematica deve tornare a vivere con forza.

 

Certo, non si tratta di un obiettivo oggi immediatamente a portata di mano. Ma già da oggi i lavoratori più attivi possono iniziare ad andare in questa direzione prendendo direttamente in mano l’iniziativa. Cercando di costruire in ogni modo contatti tra gli operai delle diverse aziende in crisi. Tra chi rischia o ha già perso il posto di lavoro o chi non lo ha mai avuto e chi, invece, al momento è (si fa per dire) “al sicuro”. Tra lavoratori italiani ed immigrati. Bisogna volantinare e fare comizi nei quartieri e nei mercati per raggiungere i tanti proletari che, “sparsi” nelle metropoli, vivono condizioni di piena disoccupazione o di estrema precarietà. Bisogna costruire comitati di lotta comuni ai vari settori del mondo salariato che si facciano carico di preparare il terreno per una lotta generale contro il padronato ed il governo Berlusconi.

Muoversi in una tale direzione è, tra l’altro, l’unico modo per poter riuscire a imporre veramente un’estensione ed un potenziamento degli “ammortizzatori sociali”. Facendo sì che non diventino un elemento di pressione e ricatto nelle mani padronali e governative, ma costituiscano un primo argine (politico ed economico) contro i più devastanti effetti della disoccupazione.

 

Dare gambe a tutto ciò significa anche riflettere su come una reale difesa delle nostre condizioni dipenderà solo ed esclusivamente dalla quantità, dalla radicalità e dalla estensione della lotta che si riuscirà a mettere in campo e non certo dal rilancio della competitività e della produttività delle imprese. Anzi. È proprio in nome della competitività e produttività che da un lato si licenzia e, dall’altro, si impongono carichi lavorativi bestiali a chi “salva” il posto. Puntare (come indicano gli stessi vertici Cgil) a tutelare la propria condizione attraverso il rilancio della “propria” azienda e della “propria” nazione può anche sembrare realistico e concreto. In realtà significa andare in bocca al lupo e predisporre il terreno a nuove sconfitte ed arretramenti.

15 novembre 2009

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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