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15 gennaio 2008

     Volantino per la manifestazione del 17 gennaio 2008

 

Per sostenere la Palestina, bisogna lottare contro i governi imperialisti occidentali e contro i governi arabi e islamici collaborazionisti aperti con Israele o parolai incapaci di vera solidarietà.

 

Con la sua aggressione a Gaza, Israele non punta soltanto a completare l’espropriazione della terra abitata dai palestinesi e ad ucciderne la lotta di liberazione. Con la sua aggressione a Gaza, Israele mira a puntellare il sanguinoso e traballante ordine sociale fondato sullo sfruttamento di centinaia di milioni di oppressi che regna in Palestina e nel resto del mondo arabo-islamico. Lo esigono gli interessi capitalistici che hanno sede a Tel Aviv. Ma lo esigono anche e soprattutto gli interessi capitalistici che hanno sede a Washington, a Roma, a Parigi, a Berlino, a Londra.

 

Israele non lavora solo per sé.

I re della finanza e dell’industria occidentali non potrebbero far palate di profitti senza avere in pugno il petrolio mediorientale e senza avere a disposizione, in Medioriente e in Occidente, per pochi euro l’ora le braccia dei lavoratori arabo-islamici. E come possono ottenere l’una e l’altra risorsa senza l’imposizione di una cappa di piombo in tutta la regione? Israele è il vertice di questa cappa e la resistenza palestinese può diventare la miccia unificante della rabbia anti-occidentale che scorre nelle vene degli oppressi mediorientali.

Israele, gli Usa e l’Ue temono come la morte che questa miccia rimanga accesa e catalizzi l’incendio antimperialista dell’intera prateria mediorientale. Negli ultimi anni questa paura è cresciuta. Non solo perché le guerre “umanitarie” lanciate in Afghanistan, in Iraq e in Libano non sono riuscite ad imporre il pieno dominio dell’euro-dollaro. Ma anche perché, contemporaneamente, il Medioriente ha cominciato ad essere scosso da importanti lotte operaie: tali lotte “rischiano” di dare nuova linfa e contenuti più radicali alla lotta contro la dominazione capitalista neo-colonialista dell’Occidente.

Le bombe che colpiscono Gaza sono rivolte anche contro gli operai egiziani, che sulla spinta delle lotte dei lavoratori della fabbrica tessile di Mahallaa, hanno dato vita allo sciopero generale dello scorso aprile contro il Fondo Monetario Internazionale e il pugno di ferro del governo Mubarak. Sono rivolte anche contro i lavoratori di Beirut, che hanno riempito le piazze contro la disoccupazione, i salari da fame, lo schiacciamento dei contadini poveri. Sono rivolte contro i milioni di proletari immigrati negli Emirati del Golfo Persico dall’Asia meridionale: con scioperi, manifestazioni e scontri di piazza proletari bengalesi, pakistani, cinesi, indonesiani, indiani hanno incominciato a lottare contro il trattamento schiavistico imposto loro in Qatar, in Kuwait, ecc. Le bombe lanciate contro Gaza sono rivolte contro gli operai dell’industria petrolifera dell’Iraq, mobilitati contro i piani di svendita del petrolio del loro paese alle multinazionali occidentali. Sono rivolte contro gli operai dell’Iran, protagonisti di scioperi e manifestazioni per rivendicare aumenti salariali e la piena agibilità sindacale.

 

La pace e la guerra dell’imperialismo sono l’una più fetida dell’altra.

Le parole di Sarkozy e quelle di Obama a favore della pace potrebbero far pensare che la causa palestinese possa trovare un aiuto nell’Unione Europea e negli Stati Uniti di Obama. È falso.

Le proposte di pace di Sarkozy sono fondate sull’umiliazione del popolo palestinese, sull’accettazione della schiavitù da parte del popolo palestinese, sul mantenimento di regimi schiavisti come quello di Mubarak. Per quanto riguarda il neopresidente Obama, proprio alla vigilia dei bombardamenti egli ha ribadito pubblicamente il “diritto di Israele a difendersi in tutti i modi”. Adesso sta in silenzio e promette che dal 20 gennaio farà del suo meglio per imporre un “giusto” piano di pace nella regione fondato sul dialogo con l’Iran e la Siria. Grazie a questo piano le armi, forse, taceranno per un po’. Ma a quale prezzo? Quali sono le condizioni richieste da Obama? Per il neo-presidente Usa, i palestinesi dovrebbe cessare la loro lotta di resistenza; Hamas dovrebbe riconoscere Israele e seguire la traiettoria che ha portato da Arafat ad Abu Mazen; negli altri paesi dell’area le masse lavoratrici dovrebbero accettare passivamente il supersfruttamento, la cappa repressiva e l’emigrazione che le attanagliano.

Sarebbe la pace, ma la pace imperialista, che Obama e Sarkozy e D’Alema preferiscono alle “esagerazioni” israeliane perché temono che queste ultime inneschino l’eruzione del vulcano sociale in Medioriente. E perché sanno, incalzati come sono dalla crisi economica mondiale, che la guerra dei trent’anni iniziata da Bush va continuata soprattutto in Asia centrale e in Estremo Oriente, contro le masse lavoratrici e la borghesia della Cina. A tal fine, per Obama e Sarkozy è meglio provare a normalizzare la “retrovia” mediorientale. Anche mettendo a frutto il “lavoro sporco” svolto dall’esercito con la stella di David, che nei fatti non è ostacolato in alcun modo dalle cancellerie occidentali: queste ultime sanno che l’operazione “Piombo Fuso”, se contenuta entro certi limiti, spiana il terreno al loro fetido piano di pace. Che trova un altro essenziale sostegno nella neo-colonialista missione di pace italiana e onuista in Libano.

È per questo motivo che nessun aiuto alla causa palestinese potrà venire dall’Europa o dalla nuova dirigenza statunitense. Nei palazzi del potere occidentali i palestinesi hanno solo nemici. Prendiamone, finalmente, atto! Uno dei più consistenti aiuti che si può dare ai combattenti di Gaza è quello di farla finita con simili illusioni e iniziare a costruire le condizioni per lo sviluppo di un movimento di lotta contro i governi di Roma, Washington, Parigi, Londra, Berlino. A partire dalla lotta contro le missioni militari occidentali in Iraq, in Afghanistan e in Libano!

Questo movimento di lotta deve inoltre trovare uno dei suoi motori nella mobilitazione contro la condizione di semi-schiavitù che i lavoratori immigrati subiscono in Occidente. E va esteso ai lavoratori italiani, davanti ai quali va mostrato che la solidarietà con Gaza non è cosa diversa dalla difesa dall’attacco via via più intenso portato avanti, qui in Italia, dal governo Berlusconi e dal padronato. L’aggressione a Gaza è la continuazione della catena guerra-pace-guerra che l’Occidente e il suo bastione israeliano stanno svolgendo da anni contro i popoli dell’Est e del Sud del mondo: anche questa volta, come è accaduto con le guerre e i relativi accordi di pace in Iraq e nella “ex”-Jugoslavia, il terrorismo dell’Occidente, armato o “pacifico”, contro gli sfruttati extra-europei serve per meglio stringere le catene al collo e ai polsi dei proletari europei.

 

Per la l’unità di lotta antimperialista di tutti gli sfruttati mediorientali

I fatti di queste settimane dimostrano che neanche tra i governi arabi e mediorientali vi sono veri amici della causa palestinese. Tutti hanno fatto chiacchiere, nessuno ha mosso un dito. Chi lo ha mosso, come Mubarak, lo ha mosso contro la popolazione della striscia di Gaza: ne ha sigillato i confini, contribuendo in tal modo al massacro perpetrato da Israele.

La verità è che anche i governi e le borghesie arabe sono terrorizzati dall’idea che le masse sfruttate della regione si unifichino in una lotta all’ultimo sangue contro Tel Aviv: sanno che una simile mobilitazione metterebbe in discussione l’ordine economico e politico su cui erigono i loro stessi privilegi sociali. Le borghesie arabe preferiscono chinare la testa di fronte ad Israele piuttosto che rischiare di essere spazzate via insieme ad esso. Per dare una vera mano alla lotta dei palestinesi bisogna che i lavoratori mediorientali comincino ad affrontare con decisione questo nodo, battendosi senza mezzi termini contro e per rovesciare i loro governi.

L’eroica lotta del popolo palestinese ha bisogno di ossigeno e questo potrà essergli fornito solo dall’estensione e dall’unificazione in tutta la regione della battaglia antimperialista ed anti-israeliana. A tal fine, la resistenza palestinese e arabo-islamica ha bisogno di conquistare una prospettiva politica che superi in avanti quella offerta dalla dirigenza di Hamas, che circoscrive la lotta di liberazione nazionale dentro gli stretti confini della Palestina e ne respinge il legame con la lotta di liberazione sociale dallo sfruttamento capitalistico.

Ci vuole una prospettiva politica che metta in primo piano gli interessi di classe dei proletari e degli sfruttati di tutta l’area mediorientale e che si ponga l’obiettivo di mettere in crisi il consenso interno di cui al momento sembra godere il governo israeliano. Sembra un risultato impossibile, ma non lo è, se si saprà legare la necessaria lotta senza esclusioni di colpi contro Tel Aviv con la mano tesa verso i lavoratori israeliani: questi ultimi potranno sottrarsi ad un futuro di guerre e di distruzione solo rifiutando il ruolo da cani da guardia assegnato loro dall’imperialismo e cominciando a battersi contro il loro stesso governo, il loro stesso stato. C’è un’unica soluzione che può portare ad una vera pace ed ad una vera giustizia in Medioriente: quella dell’unificazione degli oppressi di tutta l’area, sulla base di un unitario programma di liberazione sociale per la distruzione dello Stato d’Israele, la cacciata dell’imperialismo dal Medio oriente e per la costruzione di una fraterna federazione di soviet dei lavoratori (arabi, kurdi,ebrei, ecc.) nella regione.

 

15 gennaio 2008

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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