27 gennaio 2009
Dal manifesto del 6 gennaio
di Joseph Levine *
Un po' meno che umani
Sciovinismo razziale e colpa collettiva, i due pregiudizi che appannano il
giudizio morale sull'attacco israeliano
L'attacco sferrato in questi giorni da
Israele a Gaza ha suscitato discussioni nella stampa mainstream. Ma sia coloro
che si sono espressi contro l'attacco, sia coloro che lo appoggiano, nonostante
tutte le differenze condividono un assunto fondamentale secondo cui Israele, in
quanto democrazia occidentale industrializzata, accetterebbe il principio
illuministico del valore assoluto della vita umana riconoscendo i diritti
inalienabili che da esso derivano. In questo quadro, gli esponenti del governo
israeliano sarebbero messi di fronte a un tragico dilemma: come affrontare le
forze minacciose che non condividono tali valori - gli «estremisti islamici» -
senza sacrificare i propri standard morali. Così, chi è favorevole all'attacco a
Gaza si chiede in quale altro modo, se non con una micidiale forza militare,
Israele possa proteggere i suoi cittadini dai lanci dei missili, mentre chi è
contrario fa notare che il bombardamento, con i suoi alti costi in termini di
vite umane, è comunque un mezzo inadeguato a garantire la sicurezza di Israele.
Coloro che si oppongono all'attacco, naturalmente, hanno ragione. Ma,
sottoscrivendo tacitamente l'idea dello «scontro tra culture», essi sollevano
Israele dalla sua responsabilità morale. L'aggressione attualmente in corso non
è governata dal doloroso riconoscimento che i diritti umani comportano esigenze
in conflitto tra loro; essa è animata piuttosto da un profondo razzismo, da
tribalismo, e dall'antica dottrina della colpa collettiva.
Per verificare ciò che dico, basta cimentarsi in un semplice esperimento del
pensiero. Supponiamo che i terroristi di Hamas si fossero nascosti a Tel Aviv (o
a Los Angeles, o a Londra - l'esercizio è altrettanto illuminante se applicato
agli Usa e/o a qualunque altro stato occidentale «civilizzato»). Sarebbe mai
stata contemplata una aggressione come quella cui abbiamo assistito nei
confronti di Gaza? I governanti israeliani avrebbero calcolato con la stessa
risoluta freddezza il rapporto costi-benefici relativo a un massiccio attacco
aereo sui quartieri ebraici? I governanti americani ed europei avrebbero
perdonato un simile attacco? E i pundit avrebbero espresso la loro simpatia nei
confronti del terribile dilemma di Israele? Naturalmente no! L'idea stessa di
una simile azione sarebbe stata immediatamente riconosciuta come moralmente
riprovevole, e chiunque l'avesse proposta sarebbe stato trattato con disprezzo.
Sembra di sentirli: Cosa, noi come Hamas? Loro non rispettano la vita umana, noi
sì.
Salvo il fatto, naturalmente, che «noi» - i membri dell'Occidente che si
autodefinisce illuminato - non la rispettiamo più di quanto facciano «loro». Se
davvero mettessimo in pratica i valori che dichiariamo di sostenere, non
reagiremmo al nostro esperimento del pensiero in modo asimmetrico. Oppure
acconsentiremmo alla decisione di sacrificare la popolazione di un quartiere di
Tel Aviv per il bene superiore. O - più probabilmente - dovremmo giudicare
questo attacco a Gaza moralmente fuori dei limiti. Il fatto che le diverse
ipotesi non ci colpiscano immediatamente come asimmetriche - una spiacevole
necessità in un caso, una atrocità morale nell'altro - tradisce l'esistenza in
noi di due impulsi molto primitivi, anti-illuministici: sciovinismo
razziale/tribale e credenza nella colpa collettiva.
Il primo è ovvio. Se siamo onesti, ammetteremo che gli uomini, le donne, i
bambini di Gaza appaiono diversi dagli ebrei israeliani e dagli altri
«occidentali»: loro sono «altro», non pienamente umani. Noi naturalmente
rifiutiamo con veemenza certi giudizi. Ma se non crediamo che le cose stiano
così, che cosa spiega il risultato del nostro esperimento? Perché non saremmo
disposti a uccidere centinaia di «noi» per proteggere gli altri, mentre siamo
pronti a uccidere loro, tanti quanti ne servono? E' semplice: loro non contano
quanto contiamo noi.
O forse no. Qualcuno potrebbe obiettare che c'è una differenza moralmente
rilevante tra le due popolazioni: poiché Hamas è una organizzazione palestinese,
sarebbe moralmente giustificabile mettere a rischio la vita dei palestinesi per
proteggere i cittadini israeliani. Ma questa obiezione, semplicemente, mette a
nudo il secondo elemento anti-illuministico presente nella psiche occidentale
moderna: la nozione di colpa collettiva.
Perché il mero fatto che Hamas è palestinese dovrebbe giustificare che sia messa
a repentaglio la vita di palestinesi che non sono combattenti di Hamas e che non
sono personalmente responsabili degli atti terroristici commessi da quella
organizzazione? Ciò è possibile solo se crediamo che tutti i palestinesi nascano
colpevoli, semplicemente - come dirlo altrimenti? - perché appartenenti alla
stessa tribù di Hamas. In quale altro modo è possibile spiegare la distinzione
tra le potenziali vittime innocenti palestinesi, e quelle innocenti «come noi»?
La colpa collettiva è una nozione moralmente primitiva e odiosa tanto quanto i
principi attribuiti agli «estremisti religiosi». Ecco perché la punizione
collettiva è proibita dal diritto internazionale. Inoltre, abbracciare la
dottrina della colpa collettiva significa abbandonare una posizione moralmente
valida. I terroristi fanno sempre appello ad essa per giustificare la morte di
qualcuno. Al Qaeda considerava le vittime degli attacchi al World Trade Center
adulatori del Grande Satana, così come Hamas considera le sue vittime
collaborazionisti dell'occupazione. Se vogliamo respingere un simile modo di
ragionare, non dobbiamo indulgervi noi stessi.
Se rinunciamo all'idea di colpa collettiva e di fedeltà alla tribù, non resta
niente che distingua le vittime concretissime dell'attacco di Israele a Gaza
dalle vittime immaginarie nel mio esperimento. A dire il vero, non c'è una
differenza moralmente rilevante. Gridare a gran voce la nostra indignazione è
l'unica risposta umanamente decorosa alla brutale aggressione di Israele. Ce lo
impongono quei valori occidentali illuminati che tutti noi dovremmo avere cari.
* Joseph Levine insegna filosofia all'Univ. del Massachusetts, Amherst. Quersto articolo è stato pubblicato in PalestineChronicle.com
Traduzione Marina Impallomeni
27 gennaio 2009
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA