27 gennaio 2009
Dal manifesto del 27 dicembre 2008
INTERVISTA | di Alain Gresh* - DAMASCO- Dal manifesto 27 dicembre 2008
Hamas PARLA IL LEADER - MESHAAL: OBAMA SVOLTI, NELL'INTERESSE
DEGLI USA
Il capo del partito islamico che governa la Striscia racconta lo scontro con Abu
Mazen e manda un messaggio al prossimo inquilino della Casa Bianca: «Ci vuole un
cambiamento che risollevi l'immagine di Washington in Medio Oriente e risolva il
conflitto con Israele»
«Hamas e le forze palestinesi hanno offerto un'occasione d'oro per portare una
soluzione ragionevole al conflitto arabo-israeliano. Sfortunatamente nessuno
l'ha colta, né l'amministrazione americana, né l'Europa, né il Quartetto». In
una villa di Damasco, Khaled Meshaal, capo dell'ufficio politico di Hamas,
moltiplica le interviste da quando, il 19 dicembre, è scaduto il cessate il
fuoco con Israele a Gaza, e mentre il mandato del presidente Mahmoud Abbas (Abu
Mazen) giunge al termine all'inizio di gennaio.
Meshaal gode di un'aura particolare dopo essere scampato per un pelo alla morte
nel settembre 1997. Allora risiedeva ad Amman. Su ordine di Benyamin Netanyahu,
il primo ministro israeliano, un commmando dei servizi segreti israeliani gli
aveva iniettato del veleno. Ma l'operazione si risolse in un fiasco, i membri
del commando furono infatti arrestati dai giordani; il re Hussein pretese che il
suo vicino gli consegnasse l'antidoto. Inoltre Israele accettò anche di liberare
lo sceicco Ahmed Yassin, capo spirituale di Hamas (che è stato poi assassinato
il 22 marzo 2004).
Hamas si difende dall'accusa di essere un ostacolo per la pace. «Noi abbiamo
delle riserve rispetto al riconoscimento di Israele. Ciò nonostante, abbiamo
detto che non saremo un ostacolo per la realizzazione dell'iniziativa araba del
2002. Gli arabi hanno moltiplicato le loro iniziative. Hanno rinnovato le loro
proposte nel 2007. Ma, malgrado questo, la direzione israeliana rifiuta
l'iniziativa di pace araba, la spezza in tante parti, gioca con le parole,
moltiplica le manovre».
Il precedente del riconoscimento incondizionato dello stato d'Israele da parte
dell'Olp non spingerà certo Hamas a seguire la stessa strada. Anche alla fine
degli anni '80 gli Stati uniti esercitavano numerose pressioni sull'Olp,
affinché questo riconoscesse ufficialmente lo stato d'Israele (senza mai
precisare entro quali confini). Nel dicembre 1988 Arafat obbedì. Vent'anni dopo,
lo stato palestinese ancora non esiste. Per Meshaal, così come per numerosi
palestinesi, a cosa servirebbero ulteriori concessioni? Dopo tutto Abbas ha già
fatto tutte le concessioni richieste, e i negoziati che porta avanti da anni non
sono avanzati...
Meshaal sembra essere ben determinato. Dopo la vittoria alle elezioni
amministrative nel gennaio 2006, e malgrado tutte le pressioni, Hamas resta
ancora un attore che non può essere ignorato, soprattutto dopo che, nel giugno
2007, ha assunto il controllo della Striscia di Gaza. Tanto più che è riuscito a
infliggere una sconfitta militare ad Israele, che ha costretto quest'ultimo a
cercare un cessate il fuoco.
È questo cessate il fuoco (o piuttosto tahdi' a, «ritorno alla calma», in
arabo), negoziato sotto l'egida dell'Egitto, che è giunto a scadenza il 19
dicembre. Perché?
«Il cessate il fuoco non è terminato a causa di una decisione. Doveva
concludersi in capo a sei mesi, ed è esattamente quello che è successo.
L'accordo comprendeva tre punti: il cessate il fuoco tra le parti; l'estensione
del cessate il fuoco, nel giro di qualche mese, alla Cisgiordania; la fine del
blocco di Gaza. D'altra parte c'era un impegno dell'Egitto ad aprire il punto di
passaggio di Rafah».
«Questi impegni non sono stati rispettati da Israele se non in maniera molto
parziale. Sì, il livello di violenza si è abbassato, le aggressioni contro Gaza
sono diminuite, ma non si sono arrestate ( 25 palestinesi sono stati uccisi dopo
la firma dell'accordo). Quanto al resto, niente è stato concluso. I punti di
passaggio che avrebbero dovuto essere riaperti entro i dieci giorni seguenti il
19 giugno, sono stati aperti in misura molto minore rispetto al previsto. E,
nell'ultimo periodo, la situazione a Gaza è divenuta peggiore rispetto a prima
dell'accordo». «A giugno il 94% della popolazione di Gaza era a favore
dell'accordo. Oggi le persone sono contrarie, perché esso non ha realizzato ciò
che per loro è essenziale: la rimozione del blocco».
Meshaal aggiunge: «In ogni caso la tahdi' a non poteva che essere provvisoria.
Perché ciò che è all'origine della situazione, è l'occupazione, e l'occupazione
genera la resistenza. Noi facciamo una guerra difensiva, non una guerra
d'aggressione».
Sul territorio i combattimenti sono ricominciati. Ai raid israeliani rispondono
i razzi palestinesi. La stampa israeliana evoca un'operazione su larga scala
contro la Striscia di Gaza, e Tzipi Livni, ministra degli esteri israeliana,
dichiara che bisogna sbarazzarsi di Hamas con tutti i mezzi. Ma che cosa si può
tentare d'altro, se non un ritorno all'occupazione diretta di Gaza?
Hamas dispone di sostegni regionali, in primo luogo Siria e Iran. Diversi paesi
del Golfo hanno mantenuto relazioni con il movimento. La Giordania, dopo un
lungo periodo di boicottaggio, ha iniziato un dialogo con l'organizzazione. Con
spirito pragmatico, il re Abdallah ha dovuto tener conto del fallimento dei
tentativi di eliminare Hamas, che dispone di appoggi importanti nel regno, in
particolare l'organizzazione dei Fratelli musulmani. D'altra parte i negoziati
israelo-palestinesi sono in un'impasse, e l'assenza di qualsiasi soluzione per
la questione dei rifugiati - ci sono diversi milioni di palestinesi in Giordania
- fa temere al sovrano la ripresa dell'idea che la Giordania debba essere lo
stato palestinese, idea agitata a più riprese dalla destra israeliana.
Ora, Hamas si oppone sia a questa idea, sia a quella dell'installazione
definitiva dei rifugiati nel paese d'accoglienza.Il problema per Hamas resta la
disposizione dell'Egitto. Il Cairo ha gestito direttamente la Striscia di Gaza
tra il 1949 e il 1967, e ha un'influenza reale. L'Egitto è stato il padrino
dell'accordo della tahdi'a tra Hamas e Israele. Pertanto non considera che Hamas,
che ha vinto le elezioni del 2006, sia l'autorità legittima; lo vede piuttosto
come una semplice estensione dei Fratelli musulmani, la principale forza
d'opposizione, molto repressa, al regime del presidente Mubarak. Inoltre
l'Egitto, firmatario di un accordo di pace con Israele, preferisce la
«morbidezza» di Abbas all'«intransigenza» di Hamas. È forse questo che permette
di comprendere come mai Il Cairo rifiuta di aprire il passaggio di Rafah tra
l'Egitto e Gaza, apertura che consentirebbe di rompere il blocco ma che sarebbe
interpretata come una vittoria di Hamas?
«Noi vogliamo buone relazioni con i paesi arabi - spiega Meshaal - non siamo mai
all'origine della rottura con questo o quell'altro. Trattiamo sempre con i
governi, mai con le forze d'opposizione; non ci immischiamo negli affari
interni».
Un ritorno all'unità palestinese è concepibile? Dopo che Hamas ha preso il
controllo della Striscia di Gaza, i ponti tra gli islamici e il presidente Abbas
si erano rotti.
«Ci sono due tappe nei tentativi di riconciliazione tra il potere di Ramallah e
noi. All'inizio il potere non voleva accordi, a causa dei veti americani e
israeliani: perché pensava che noi saremmo affondati a Gaza sotto l'effetto del
blocco; e che il vertice di Annapolis avrebbe portato ad uno sfondamento. In
seguito, messe in scacco queste speranze - e con l'arrivo al potere di un nuovo
presidente negli Stati uniti, e anche, in febbraio, di un nuovo premier
israeliano - la presidenza palestinese ha cambiato posizione. Gli è sembrato
necessario cercare di ottenere un accordo che permettesse di presentare, sotto
la direzione di Abbas, un progetto palestinese unificato. E, per esser franco,
alcuni sperano che l'accordo garantisca la tenuta delle elezioni e la rimozione
di Hamas dal potere per via elettorale. Ma questo mostra come la volontà di
riconciliazione si appoggi su basi false, e spiega anche perché sia fallita».
La regione attraversa una fase d'attesa. Le elezioni generali avranno luogo in
Israele il 10 febbraio. Tra meno di un mese Barack Obama prenderà le funzioni
presidenziali. Si va verso dei cambiamenti? «All'inizio il nuovo presidente
dovrà ammorbidire la politica americana per due ragioni. Prima di tutto perché
l'amministrazione Bush ha fallito, ha portato l'impasse nella regione. Inoltre
poiché la non risoluzione del conflitto arabo-israeliano, e la non soluzione
della questione palestinese su una giusta base, porteranno l'instabilità non
soltanto nella regione ma nel mondo intero. È dunque nell'interesse degli Stati
uniti sopprimere le cause dell'ostilità agli americani nella regione e nel mondo
musulmano».
Meshaal riflette un momento poi aggiunge: «C'è una terza ragione. Se Obama vuole
ridare un ruolo più effettivo agli Stati uniti nel mondo, deve trattare il
Medioriente in una maniera differente. Su molti dossier si sono allineati ad
Israele e alla lobby sionista. Questo cambiamento si produrrà? In questo stadio,
non saprei rispondere. Ma, per quanto ci riguarda, avremo un atteggiamento
positivo e risponderemo in maniera responsabile a ogni iniziativa americana che
terrà conto dei diritti dei palestinesi».
(Traduzione di Nicola Vincenzoni)
* giornalista di Le Monde diplomatique. Tratto da http//blog.mondediplo.net
27 gennaio 2009
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